Ad Otranto : un approdo, finalmente.

di Michela Becchis.

 

Capita. Capita che quasi ci si trovi in imbarazzo a fare qualcosa che pure non è certamente da condannare. Capita specie alle persone che sentono quotidianamente il disagio dell’attuale dismisura tra sfruttati e sfruttatori, tra cittadine e cittadini di una parte di mondo che rimane pur sempre un luogo privilegiato e “gli altri”, tra chi può decidere di restare e chi deve andare.

Capita, certo, ma prendersi qualche giorno di vacanza si può fare senza colpa e ci si può allontanare da Roma , o Milano, o Torino per andare in un luogo bellissimo del Sud Italia ( Otranto ) e ritagliarsi un po’ di tempo dentro il riposo per riconnettersi alla migrazione trasformata in tragedia per il tramite di una bellissima opera d’arte, grazie alla quale ci è concessa quell’emozione fortissima, catartica e che, magia dell’arte, disegna dentro il nostro sguardo quella partecipazione e quell’empatia che dovrebbe essere doverosa verso chi, appunto, deve andare e forse non arriverà.

Vent’anni fa più o meno, la tragedia della Kater I Raider. Una motovedetta albanese, o meglio ciò che ne restava, partì da Valona in piena guerra civile e  fu speronata nel canale di Otranto da una corvetta della Marina militare italiana. Era già buio quel 28 marzo 1997 (18,57), il mare mosso, le donne e i bambini cercarono riparo sottocoperta e quel gesto naturale trasformò la stiva nella loro tomba, poiché l’imbarcazione colò a picco rapidamente. 57 morti, quelle donne e quei bimbi in gran parte, 24 mai ritrovati. Tre giorni prima di quella tragica serata, erano state varate dal governo italiano le “azioni cinematiche di disturbo e interdizione”. In una parola i “respingimenti”. Per chi ci crede era il Venerdì Santo, per chi scrive il giorno in cui suo figlio era nato e di cui non riuscì a gioire fino in fondo. Per chi voglia ricordare con cura quello strazio e le scandalose vicende che ne seguirono, c’è un bellissimo libro di Alessandro Leogrande, Il naufragio.

Qui, ora, parleremo di arte. Cominciando dal relitto che, una volta ripescato, fu messo a disposizione della magistratura nel porto di Brindisi. Nella prima sentenza veniva ordinata la restituzione all’Albania e i familiari delle vittime chiesero che diventasse un monumento, all’emigrazione albanese, alle politiche europee. Nella sentenza di appello, si revocava la restituzione e se ne ordinava la rottamazione. Nessuno sapeva che farsene di quel relitto e poi cancellato il relitto, dimenticare è ancora più facile. Ma il comune che dà il nome a quel canale, ha deciso nel 2012 che del relitto della Kater I Rades se ne sarebbe fatto carico e che su quel molo sarebbe sorto dai resti di quella imbarcazione un monumento.

Cosa può essere oggi un monumento?

Gli artisti si pongono il problema di come strappare l’eventuale coltre retorica dell’idea stessa di monumento e sottolineare invece la funzione evocativa attraverso una dimensione di testimonianza.

È così che è nata L’Approdo l’opera dell’artista greco  Costas Varotsos eseguita come se fosse una cerimonia collettiva, quella cerimonia che i familiari di chi il mare non ha più restituito hanno inutilmente tenuta pronta per anni. Quella cerimonia collettiva che da quando viviamo in gruppi rappresenta uno dei modi di elaborazione del lutto. Semplici cittadini, artigiani, carpentieri, l’impresa specializzata in demolizioni navali che si è impegnata a “ricostruire” secondo il progetto di Varotsos la piccola nave, un gruppo di giovani artisti provenienti da Egitto, Siria, Cipro, Albania, Montenegro, Francia che hanno inaugurato la “Residenza internazionale d’artista per il contemporaneo e le migrazioni” , la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo, in Puglia ad Otranto, che ha accolto l’emozionante sfida del progetto artistico, organizzando un vero e proprio itinerario di ricerca e di scoperta attorno al tema del rapporto tra comunità locali e migrazioni.

Tutti insieme per porgere al mondo un ricordo e un, seppur amaro, omaggio ai morti di migrazione. D’altronde l’artista greco ama ripetere che “L’artista è il mezzo di espressione di una comunità.” La chiglia del relitto è stato tagliato a metà –“E che fatica, che dolore farlo, sapendo che si squarciava una bara” hanno detto insieme artista e operai- e in quell’ammasso di ferro arrugginito sono state incastrate quasi venti tonnellate di trasparentissime, enormi schegge di vetro. Trasparenti e brillanti come non era il mare quel 28 marzo, come avrebbero desiderato fosse il loro futuro chi salì sulla barca.

Qual è uno dei sensi positivi della parola “cristallizzare”?

Diventare solido assumendo struttura cristallina. Ecco, era questo il progetto racchiuso ne L’Approdo, far diventare solido, inscalfibile il ricordo di quel tragico speronamento e farlo attraverso la trasparenza e la limpidità del reciproco riconoscersi ma anche attraverso l’idea di una navigazione luminosa, assolata, serena, intrapresa con una barca che tranquilla domina il mare. I migliaia di riflessi di quei grandi pezzi di vetro, così simili al sole sulle onde, sembrano lenire la ruggine e il colore cupo del rottame, restituendogli vita.

Oggi, a distanza di cinque anni, è uscito un libro che racconta attimo per attimo la nascita e l’intero, bellissimo, svolgimento del lavoro che ha portato a questo nuovo varo l’imbarcazione albanese (Costas Varotsos L’ approdo. Opera all’umanità migrante. Carlo Toma Ed., 2017).

Ma il consiglio rimane quello di andare ad Otranto a vedere l’opera.

Proprio lì, in quella città dove ogni cosa parla di migrazione, di reciproca accoglienza culturale e civile e anche di cosa diventi “lo scontro di civiltà”, dai martiri tridentini agli albanesi della Kater i Rades.

In Grecia, racconta Costas, quando termina un funerale ci si saluta dicendo “Vita a voi!”, ed è questo che la prua reinventata della Kater i Rader sul molo di quella città, la più a Oriente d’Italia, che per secoli è stata chiamata Porta d’Europa, vorrebbe augurare a chi giunge dal mare.

http://costasvarotsos.blogspot.it/2012/01/lapprodo-29.html

1 Comment

  1. commento dell’autrice in lotta con il correttore del pc: il nome esatto dell’imbarcazione naufragata è KATER I RADES. Mi scuso per i refusi

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