Al Cairo il coraggio dell’identità e dell’alterità

 

di Viviana Schiavo.

“L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra». Educazione, necessità del dialogo, libertà religiosa, impegno sociale e politico. Questi i temi trattati da Papa Francesco per ribadire il NO alla violenza durante il discorso pronunciato alla Conferenza Internazionale per la Pace svoltasi il 28 aprile 2017 presso l’università di Al-Azhar, uno dei principali centri di insegnamento sunnita. La Conferenza, organizzata da Ahmad al-Tayeb, il Grande Imam di Al-Azhar, era una delle tappe del viaggio effettuato dal Papa al Cairo dal 28 al 29 aprile in cui ha avuto modo di incontrare, oltre al Grande Imam, il patriarca copto Tawadros II, successore dell’apostolo Marco, e il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, successore dell’apostolo Andrea, in uno sforzo costante verso il dialogo ecumenico oltre che interreligioso. Un evento storico, che segna una tappa importante nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e l’Islam sunnita.Il viaggio ha avuto luogo in un momento particolare per l’Egitto, dopo i ripetuti attacchi contro la comunità cristiana egiziana da parte di estremisti islamici. L’ultimo ha avuto luogo poco prima della visita, durante la domenica delle Palme, quando una bomba ha ucciso circa 50 copti cristiani ortodossi intenti a celebrare la messa. Proprio sul rifiuto della violenza come forma di risoluzione delle controversie il Papa si è soffermato a lungo, invitando tutti i responsabili religiosi a «smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto» ed a «denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani». La pace tanto agognata, però, non è solo il risultato delle preghiera, seppur fondamentale, ma è necessario lavorare anche sulle ragioni sociali e politiche che conducono alle guerre, «adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono», ma ancora di più «è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate».

Questo processo verso la pace è, inoltre, anche il risultato di politiche sociali mirate che dovrebbero avere come primo pilastro l’educazione. Ampio è lo spazio dedicato dal Papa al fondamentale ruolo dell’educazione nel suo discorso ad al-Azhar. Sembrerebbe quasi, in qualche modo, anche un’imbeccata ai programmi educativi della famosa università sunnita, che secondo alcuni esperti sarebbero rimasti gli stessi da 30 anni a questa parte. Dopo un ampio excursus sul ruolo e il valore dell’educazione come scelte di sviluppo nella storia egiziana, il Papa ha ribadito l’importanza di portare avanti queste scelte anche per l’avvenire, «scelte di pace e per la pace, perché non vi sarà pace senza un’educazione adeguata delle giovani generazioni». E cosa si intende per educazione adeguata? Una formazione «rispondente alla natura dell’uomo, essere aperto e relazionale». Scopo primario dell’educazione è, dunque, quello di formare identità che siano aperte all’altro e non «ripiegate su se stesse». L’educazione «all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro», che ne riconosce i fondamentali diritti, è la base da cui partire per essere «costruttori di civiltà».

Senza l’educazione delle nuove generazioni, che sia in movimento, coraggiosa ed umile, non si può avere una società di pace: Papa Francesco lo sottolinea più volte nel suo discorso.

La formazione è, in primo luogo, educazione al dialogo. Ma il dialogo, strumento fondamentale di risoluzione delle controversie e del progresso civile, deve avere anch’esso delle basi solide. Il Papa, allora, in un appassionato inno alla bellezza e all’importanza del dialogo, traccia le caratteristiche dei pilastri su cui questo deve essere fondato per poter funzionare realmente: «il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni». Un dialogo che sia fruttuoso, infatti, non può essere sepolto dal formalismo o dall’ipocrisia, né tantomeno dal nascondere le differenze. Piuttosto tali differenze devono diventare dei punti di forza e arricchimento reciproco, per poter fare un pezzo di strada insieme verso il bene comune. Questo scambio di verità e crescita mutua è possibile, però, solo se alla base del dialogo ci sono delle intenzioni sincere, ossia non mirate a dei «secondi fini», ma piuttosto tese a «trasformare la competizione in collaborazione».

Ogni passo va verso l’incontro, non apparente ma profondo, perché solo camminando insieme possiamo costruire una società che sia realmente inclusiva.

 

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