Albania, Casa mia!

di Carla Romana Antolini – Associazione Officina delle Culture

Aleksandros Memetaj è un giovane autore e attore nato in Albania e cresciuto in provincia di Venezia, sorridente e fiducioso, quanto determinato e combattivo. Ha scelto il teatro e con il suo testo “Albania Casa mia”, messo in scena da Giampiero Rappa a Roma lo scorso anno e a tutt’oggi in tournée, si è imposto alla scena teatrale italiana.

Aleksandros nasce nel 1991 a Valona. Arrivato in Italia a sei mesi cresce a Fiesso D’Artico in provincia di Venezia. Trasferito poi a Roma frequenta l’Accademia di recitazione “Fondamenta”, fa parte della compagnia Nogu Teatro di Cristiano Vaccaro e sta già lavorando a diversi progetti. Nel suo Albania Casa Mia racconta la storia di un bambino che crescerà lontano dalla sua terra natia, in un luogo che non gli darà mai un pieno senso di appartenenza. Ma è anche la storia del padre del bambino, dei sacrifici fatti, dei pericoli corsi per evitare di crescere suo figlio nella miseria di uno stato in un momento senza speranze.

L’INTERVISTA.

Il tuo arrivo in Italia, avviene con l’esodo di Brindisi, quando avevi soli 6 mesi, ma come un grande salto nel buio verso un Italia di cui poco sapevano i tuoi genitori. Un viaggio forse fatto proprio per te, appena nato, per offrirti nuove possibilità di vita. Quell’amore e attrazione per il nuovo e per il rischio è rimasta nella tua vita, nello scrivere e nel tuo fare teatro?

Io sono quel viaggio. E’ come se fosse il nocciolo della mia anima. Dicono che l’animo dell’uomo si costruisce nei primi 6 mesi di vita. Io penso sia vero. Sento dentro di me, ad ogni battito del cuore, in ogni pensiero, in ogni sfumatura della mia vita, quel viaggio. Nelle scelte che faccio, nel modo in cui mando avanti il mio lavoro e il mio studio quotidiano c’è quel grido feroce di tutto un popolo. Non mi sento il simbolo di una nazione, assolutamente, anche perché sono cresciuto in Italia, che simbolo sarei per l’Albania? Sento, però, connaturato in me, quella speranza, quella voglia che ti porta a fare scelte difficili. Una specie di “propensione allo strappo”.

Prima di conoscerti mi parlò con grande entusiasmo della tua scrittura il regista e autore di teatro Giampiero Rappa. Quanto è stato importante per te quell’incontro?

Fondamentale! Se non fosse stato per la fiducia che Giampiero ha riposto in me il mio sogno non sarebbe ancora iniziato. Ha avuto il coraggio di firmare una regia ad un ragazzo sconosciuto di 24 anni, oggi 25. Giampiero io l’ho conosciuto l’ultimo anno di scuola. Per me è stato un incontro fulminante. Mi è come esplosa una bomba dentro dalla prima lezione che ho fatto con lui.

Credo che la rappresentazione artistica debba essere composta di due ingredienti principali imprescindibili. TECNICA E VERITA’. Per me vanno di pari passo. Giampiero ha il tocco di Re Mida, poiché ogni cosa che tocca diventa vera. Il suo lavoro è molto umano perché riflette la sua persona. Giampiero è generoso e mette la sua persona in gioco, i suoi sentimenti, la sua sensibilità costantemente. Ciò si riflette nel suo lavoro come regista e come drammaturgo.  Mi sento un privilegiato ad aver conosciuto Giampiero, siamo ottimi amici. Lo stimo dal profondo, lo reputo un artista formidabile e gli auguro tutto il successo che merita.  Spero, tra l’altro, di poter lavorare con lui ancora e ancora nel tempo, sarebbe splendido.

In “Albania casa mia” ricordo come raccontavi il gioco di bambini che parlano due lingue di cui una è misteriosa per tutti quelli che ti stavano intorno tranne che per i tuoi cugini. Qual era il gioco?

Prendere in giro la suora traducendo istantaneamente gli ordini che ci dava. Poi quando cresci ti rimane quella capacità di pensare in lingue diverse. Come premere un interruttore. E’ questa in realtà la grande fortuna del “crescere col bilinguismo”.

Ed oggi come gestisci l’incontro tra due culture nella tua scrittura?

In modo molto irrazionale a dire il vero. Essendo anche il mio modo di scrivere ancora molto irrazionale e “di getto”. Non seguo una struttura fissa che so che mi può portare ad avere un risultato. Do ascolto solo a ciò che provo nel momento in cui scrivo, cercando di ricordarmi che non è la pagina di un diario ma qualcosa che poi un giorno delle persone dovranno vedere.

Credo che gestirsi durante il processo creativo preveda una consapevolezza che arriva grazie all’esperienza e agli anni di duro lavoro. A 25 anni la mia scrittura ancora non si è ancora conosciuta a fondo. Sono in una fase intensa di studio e ricerca.

Quando hai presentato Albania Casa Mia agli studenti sei riuscito a coinvolgerli molto fino a ragazzi che hanno voluto raccontarti le loro esperienze di nomi pronunciati male, di razzismi più o meno feroci. I tuoi 25 anni certo aiutano a farti sentire vicino agli studenti. Hai organizzato nuovi incontri con gli studenti, laboratori?

Durante questo primo anno mi sono capitate molte situazioni diverse. Dal pubblico adulto, a quello della mia generazione, ai liceali, fino alle scuole medie. Non posso nasconderti che quando parlo ai ragazzi e ai miei coetanei sento un legame diverso col pubblico.  ciò è dovuto solo da come è costruito lo spettacolo. Nella prima parte a parlare, in scena, è un bambino quindi percepisco che, per quel tipo di pubblico, è più facile rievocare ricordi che sono ancora freschi nella loro mente.
Parlare alla mia generazione e ai ragazzi immediatamente più piccoli di me mi dà speranza. Chi decide di fare questo lavoro, credo lo faccia perché spera di donare qualcosa agli altri. E’ ovvio che quando il tuo interlocutore diventa un ragazzo il tuo lavoro si veste di quella dimensione filantropica che rende magico il teatro. A Marzo, se tutto va bene, dovremmo fare un paio di repliche al Teatro Argot Studio, dedicate ai ragazzi. Inoltre nella tournée di quest’anno andremo pure in Sardegna dove per una settimana focalizzeremo l’attenzione sulle nuove generazioni.

Nella settimana in cui sarete all’Argot state dando vita ad una scrittura collettiva e non siete pochi. Come è nata questa idea?

Questo sarà il prossimo progetto che sto curando con Nogu Teatro. L’idea nasce da Cristiano Vaccaro e Ilaria Manocchio, i diarchi di Nogu. Collaborerò con vari drammaturghi contemporanei, provenienti da tutta Italia, con cui in questi anni ho avuto il piacere di lavorare e che collaborano con Nogu Teatro. Stiamo condividendo in questi giorni valangate di materiale e di spunti e speriamo tutti di fare un buon lavoro. Vogliamo trovare un approccio moderno di drammaturgia teatrale. Siamo tutti più o meno consapevoli che la “società si sia ormai spostata sul web”. Riteniamo quindi sia necessario trovare un modo di presentare e vivere il teatro che tenga in considerazione questo aspetto. Poi saremo nello splendido contesto dell’Argot che per me è come una famiglia quindi ci tengo ancora di più a fare un buon lavoro.

In teatro scrivi e sei attore. In Albania Casa Mia eri tutti e due. Quali progetti oggi ? Stai scrivendo nuovi testi?

E’ molto importante continuare a studiare ed affinare il più possibile le tecniche. Sia come attore che come scrittore. Sono in una fase di studio ed allenamento continuo. Sto anche cercando diversi stili di poetica teatrale. Sono affascinato dal teatro dell’assurdo e sto lavorando a vari progetti come attore che spero a breve prendano vita. Sto scrivendo diversi progetti dalle diverse forme, dal monologo alla tragicommedia con tre attori alla web-serie. La distribuzione di “Albania casa mia” quest’anno mi sta portando in giro in tutta Italia e a Maggio mi porterà a New York. Alla fine l’unica cosa che conta è sentire una necessità. Sentire la necessità di migliorare e imparare questo lavoro. Sentire la necessità di comunicare agli altri. Sentire la necessità di scrivere nuove storie. Ho diversi progetti in cantiere. Come solista, con Giampiero, con Argot, con Nogu Teatro, con tutta una serie di realtà che sto incontrando nel mio cammino. Sono in fucina, come ama dire il mio amico Tiziano (Panici): “Stiamo costruendo le armi per una rivoluzione!!!”