Aspetti psicologici del fondamentalismo

di Anežka Šebová  (proposta e tradotta da Viviana Schiavo).

Quasi nessun argomento è così discusso in questi giorni come il tema degli attacchi terroristici, dell’impatto incontrollato della crisi dei rifugiati e dell’incompatibilità dell’Islam con la cultura e l’identità europea e cristiana occidentale. Il risultato inevitabile di questa attenzione dei media è che troppe persone tendono a equiparare “estremo” con “corrente principale”, etichettando in tal modo tutti i musulmani con lo stesso adesivo del fondamentalismo, dell’estremismo o della psicopatia.Per molte persone (non solo credenti) il mondo può sembrare un posto molto complesso, complicato e confuso in cui vivere. Come afferma Antonovsky, molti sono alla ricerca di un senso di coerenza ben sviluppato, in cui il corso della vita è strutturato, prevedibile e spiegabile. Questo autore ha sottolineato coma la religione fornisca una visione finale di ciò per cui le persone dovrebbero battersi nella loro vita. Dal punto di vista psicologico, il richiamo della religione per molti è che ciò che offre certezza e stabilità morale e un forte senso di coerenza in un mondo altrimenti caotico. In poche parole si può dire che il fondamentalismo fornisce un quadro organizzativo per capire come il mondo è percepito e vissuto (Hood, 2005).

Una ipotesi sulle basi comportamentali e psicologiche del fondamentalismo islamico

Uno dei punti cruciali del comportamento fondamentalista islamico al giorno d’oggi potrebbe essere la crescente sensazione di invasione dei valori e dei modi di vita occidentali. Questo è uno degli argomenti più utilizzati da parte delle personalità islamiche e dai rappresentanti di gruppi religiosi conservatori. L’argomento secondo il quale l’Occidente non ha nulla da offrire al mondo arabo e islamico risuona molto spesso e per questo il mondo islamico arriva a costruire la sua identità sull’idea dei veri valori islamici e sul ritorno alle età dell’oro islamica. Questa argomentazione è utilizzata anche da alcuni gruppi terroristici, come ISIS e al-Qaeda. Questo concetto di modernità come una nuova barbarie è stato spesso indicato come una nuova Jahiliyyah, l’epoca dell’ignoranza preislamica. Un buon esempio di questa esperienza è Sayyid Qutb (1906-1966), insegnante egiziano, politico e uno dei leader della Fratellanza Musulmana egiziana negli anni 50 e 60. Agli occhi di Qutb, nel 1948 l’America stava già sprofondando nella dissolutezza e decadenza. A suo parere, piuttosto che sentirsi umiliato dai traguardi militari, scientifici e tecnici dell’occidente, il popolo arabo avrebbe dovuto rendersi conto di possedere la vera saggezza nella sacra Parola di Dio. Qutb presupponeva che la guerra dell’islam con l’Occidente sarebbe stata sui valori e su ciò che dà senso alla vita.

Tutto ciò dimostra che le azioni di alcuni fondamentalisti (attacchi terroristici, kamikaze, etc.) comprendono la fortissima natura sacrificale di queste azioni. Mohammed Atta – dirottatore egiziano e uno dei capi negli attacchi dell’11 settembre, ha scritto un’ultima lettera che ci potrebbe sorprendere. Ci sono solo pochi riferimenti nella sua lettera a rabbia o vendetta; piuttosto la motivazione guida è l’unione con Dio. La lettera chiarisce che i terroristi non erano alla ricerca di obiettivi politici o sociali, ma piuttosto che essi tendono verso il paradiso eterno. Un leader di Hamas ha detto: “L’amore per martirio è qualcosa di profondo dentro il cuore. Ma questi premi non sono di per sé l’obiettivo del martire. L’unico obiettivo è quello di ottenere la soddisfazione di Allah” (Hassan, 2002, p. 36)

È un grosso errore considerare i terroristi solo come fanatici psicopatici con alcuni scopi politici. Prima di tutto, la loro convinzione era ed è un atto religioso. Mentre l’umiliazione e la relativa deprivazione giocano chiaramente un ruolo in gran parte del terrorismo in Medio Oriente, le solite variabili sociologiche, come povertà e mancanza di istruzione, sembrano spesso giocare un piccolo ruolo e avere poco valore predicativo. Uno dei fattori più motivanti è la religiosità.

Una delle cause principali e più frequentemente citate dell’avvicinamento al fondamentalismo è il sentimento di umiliazione (Hassan, 2002; Khorsokhavar, 2014; Jones, 2008). Un allenatore palestinese di kamikaze ha detto: “Gran parte del lavoro è già fatto dalle sofferenze a cui queste persone sono state sottoposte… La sofferenza e il vivere in esilio lontano dalla loro terra ha dato alla persona il 90 per cento di ciò di cui ha bisogno per diventare un martire “(Davis, 2003 in Jones, 2008, p. 36). ). La psicologia forense ha sottolineato delle relazioni tra la vergogna, l’umiliazione e la violenza. Anche se spesso radicata in circostanze sociali e politiche, la vergogna e l’umiliazione sono condizioni profondamente psicologiche e spesso spirituali.

Nella diaspora musulmana, più che altrove, è presente un bisogno di appartenenza, una necessità di radici, per essere una parte di una determinata storia e di una certa nazione. Recenti studi suggeriscono che la maggior parte degli attuali jihadisti vivono nella diaspora musulmana e non sono stati cresciuti in famiglie di tradizione fortemente islamica, ma piuttosto si sono convertiti a questo “brand” dell’Islam militante. Utilizzando le parole di Atran (2005 a Jones, 2008), sono “nati di nuovo“. Ciò che cambia nella conversione secondo ricerche attuali sono gli obiettivi, i valori, gli atteggiamenti, i piani a lungo raggio e i comportamenti di una persona. E qual è uno dei risultati più universali del processo di conversione? I ricercatori rispondono che si tratta di una nuova identità. Esperienze di conversione spesso costituiscono la soluzione ad una crisi di identità (Rambo 1993, ibid.).

Un’altra realtà che dovremmo sottolineare è che l’umiliazione può includere diverse forme. La globalizzazione come nuovo ordine mondiale porta infatti ad una omogeneizzazione delle società e delle loro economie – una McDonaldizzazione del Mondo. Con questa si arriva alla perdita di culture e valori locali. Qui può trovare spazio la paura. Piuttosto che un’invasione e un’occupazione militare, questa è sentita come una invasione e un’occupazione culturale.

In questa situazione possiamo trovare anche la nostra responsabilità. Abbiamo creato un mondo che non offra solo comfort, facilità, materialismo, ma anche alcune sfide per le persone che sono alla ricerca del senso più grande? Su che cosa è costruita la nostra identità – la civiltà occidentale del successo e intelligente? C’è qualcosa per cui io e la mia generazione di giovani europei siamo pronti a morire? Per cosa stiamo vivendo? Viviamo la nostra identità cristiana veramente e vividamente?

Come Jones (. 2008, p 69) ha concluso: “Se non capiamo la spiritualità che motiva i jihadisti e il potere delle conversioni religiose nel riorientare e dare un senso alla vita delle persone, non riusciremo mai a contrastarli in modo efficace. Se parte del fascino della jihad è l’attrazione della trasformazione personale e del rinnovamento spirituale, una parte fondamentale della nostra risposta deve essere l’articolazione di un altrettanto potente visione religiosa e morale alternativa“.