Colpo di mare di Christiana de Caldas Brito

Intervista a Christiana de Caldas Brito sul suo nuovo romanzo Colpo di mare (Effigi, 2018)

di Maria Cristina Mauceri (Università di Sydney).

Lo scorso giugno è uscito Colpo di mare, il secondo romanzo di Christiana de Caldas Brito. Si è fatto attendere ma la scrittrice di origine brasiliana, già autrice di diverse raccolte di racconti e pubblicata anche nel suo paese d’origine, ci ha regalato un’autentica perla, per restare in metafora, poiché il mare, come ha osservato nella sua bella recensione Yasmine Catalano,, è il grande protagonista di questo romanzo.[1]

Colpo di mare è incentrato sull’amicizia tra due donne che parlandosi si rivelano e si aiutano. Il caso avrebbe potuto renderle rivali, invece nel dialogo e nella scrittura costruiscono un rapporto solidale e per noi, lettori, uno splendido racconto. Il titolo, Colpo di mare, fa pensare sì ai colpi di scena, come ha notato giustamente Silvia Camilotti[2], che in questo romanzo sono numerosi e rivelano la sapiente maestria dell’autrice nel raccontare storie e nel tenere costantemente deste l’attenzione e la curiosità di chi legge. Ma il titolo mi ha fatto anche pensare a ‘colpo di fulmine’, inteso come metafora, ed è quello che accade alla protagonista che s’innamora improvvisamente di una misteriosa figura maschile proveniente dal mare.

Colpo di mare va letto con calma, gustando lo stile (anche questa volta de Caldas Brito usa l’italiano in modo originale e creativo), le immagini, i dialoghi, i colori. A questo proposito va notato un elemento, a mio avviso nuovo, l’uso dell’ekphrasis, una tecnica che consiste nel descrivere un dipinto e narrativizzarlo. Per questo motivo va fatta molta attenzione al significato dei quadri, che sono fonte di ispirazione ed elementi portanti della narrazione.

L’aspetto metanarrativo è una caratteristica di Colpo di mare, un romanzo complesso che fa lavorare il lettore, come è giusto che sia. Elisa, l’io narrante, è anche una delle protagoniste, e a lei Flora, l’altra protagonista, chiede di scrivere la sua storia, perché un problema alle mani le impedisce di farlo. Sovente Elisa fa osservazioni su cosa significhi scrivere un testo e dar vita a personaggi apparentemente costruiti che però, nella finzione del romanzo, hanno una controparte nella realtà. de Caldas Brito fa interessanti riflessioni sull’arte dello scrivere probabilmente ispirandosi alla sua attività di conduttrice di laboratori di scrittura.

Ma ora veniamo alle domande che ho fatto all’autrice su alcuni aspetti interessanti di Colpo di mare che, scusate il gioco di parole, mi hanno particolarmente colpito.

Maria Cristina: Una delle protagoniste del romanzo, si chiama Flora, il nome che il padre, appassionato pittore, ha scelto per lei. Questo nome ci rimanda al famoso quadro di Botticelli “La Primavera”. Il padre trasmette a Flora il suo interesse per la pittura. Credo, Christiana, che la tua formazione di psicoterapeuta influisca sulla tua scrittura. Per questo motivo mi ha interessato come il padre di Flora suggerisca alla figlia ancora bambina di usare la pittura come un modo per affrontare e liberarsi dalle sue paure: “Disegna quello che succede dentro di te.” Perché è importante per Flora il suggerimento del padre? Secondo te, le attività artistiche possono avere una funzione terapeutica?

Christiana: Certamente. La pittura e il disegno possono essere canali di comunicazione di contenuti che altrimenti non sarebbero espressi. I disegni possono assumere la funzione delle parole. A Rio de Janeiro, dopo alcuni anni di pratica a Roma come psicoterapeuta, ho avuto il privilegio di partecipare ai seminari della Dottoressa Nise da Silveira (1905-1997), che era di orientamento junghiano e  anche ha corrisposto con lo psicologo svizzero. da Silveira ha creato a Rio de Janeiro un Museo dell’Inconscio con tutte le opere dei malati di mente ed è stata in Brasile la grande rivoluzionaria del trattamento psichiatrico della malattia mentale. Ha lottato contro l’uso dell’elettroshock e ha usato l’arte per stabilire una comunicazione con il malato. Nella psicoterapia esiste la presenza reale della sofferenza di un essere umano, mentre nella creazione letteraria io lavoro con personaggi creati da me e che  debbono essere simili agli uomini e alle donne della realtà, affinché il mio discorso letterario sia valido e i miei personaggi convincenti. Con i personaggi decido io per loro. Con i pazienti, no. Gli scrittori usano l’intuizione, l’osservazione, la conoscenza, la cultura, la sensibilità e la fantasia. Una cosa è lavorare con un dolore vero; un’altra è creare un conflitto cartaceo. Certo che la formazione psicologica aiuta, ma non è questo che rende brava una scrittrice.

Maria Cristina: Il romanzo ci porta dall’Italia al Brasile. Mentre nei capitoli ambientati in Italia prevale una scrittura realistica che descrive rapporti conflittuali soprattutto in famiglia, i capitoli ‘brasiliani’ invece raccontano di leggende e miti del tuo paese. Confermi la mia impressione che quando parli del Brasile e della sua cultura il tuo stile e il tuo ritmo narrativo cambiano?

Christiana: Questo non riesco a percepirlo. Sono i lettori che possono fare osservazioni di questo genere. Evidentemente mi sento più a mio agio parlando di una realtà che ha inciso sulla mia infanzia. Come dice il mio personaggio Flora, credo che l’infanzia sia la grande casa o la grande prigione di tutti noi.

Maria Cristina: Il romanzo inizia con l’apertura di una porta che fa entrare in una stanza al buio. La porta che viene aperta è quasi una metafora del nostro gesto di lettori che apriamo le pagine del libro?

Christiana: Mi incanta la tua sensibilità. Fa un grande piacere a un’autrice seguire il modo in cui i lettori interpretano i personaggi. Molte volte comunicano cose nuove a noi scrittori. Bella questa tua osservazione della metafora della porta che si apre al buio. In fondo, tutto il romanzo avviene perché la luce possa entrare nella vita di Flora. Non si conquista la coscienza di sé senza dolore perché bisogna cambiare varie volte nella vita e questo significa abbandonare visioni obsolete, schemi che non funzionano più. Tutto questo comporta sofferenza.

Maria Cristina: Nel finale invece, si apre una finestra verso la luce e il giorno. I due elementi spaziali porta/finestra, seppur diversi per il contrasto luce/buio, dentro/fuori, hanno un importante significato simbolico. Hai voluto dare un tocco teatrale alla tua narrazione in due momenti così importanti come l’incipit e il finale?

Christiana: Può darsi. A dire la verità, non lo so. Quando scrivo, nonostante io abbia un ruolo dominante, una parte di me resta succube dei personaggi. Così come la ghianda porta in sé la futura quercia, un personaggio si presenta e ti sorprende con caratteristiche che svilupperà con il passar delle pagine del romanzo. Della scrittrice rimane lo stupore a vedere come nella ghianda si possa sentire la forza futura della quercia.

[1] Roberta Yasmine Catalano, “Colpo di mare, di Christiana de Caldas Brito”, in: “ND Noidonne” http://www.noidonne.org/articoli/colpo-di-mare-di-christiana-de-caldas-brito-14984.php

[2] Silvia Camilotti, “Colpo di mare”, in: Il gioco degli specchi,

http://www.ilgiocodeglispecchi.org/libri/scheda/colpo-di-mare

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*