Cuore di Seta

di Maria Cristina Mauceri   ( Università di Sydney )

La storia italiana made in China di Shi Yang Shi, un giovane cinese racconta il suo inserimento in Italia.

La comunità cinese di Milano risale agli anni Venti ed è la più numerosa in Italia seguita da quella più recente di Prato. Secondo gli stereotipi più diffusi i cinesi sarebbero una comunità chiusa, concentrata sul lavoro e che interagisce poco con gli autoctoni. Il libro che tratterò oggi, invece, contraddice questo stereotipo e ci presenta un sino-italiano, Shi Yang Shi, che nell’ autobiografia Cuore di seta. La mia storia italiana made in China (Mondadori, 2017) racconta la sua esperienza di lasciare la Cina e col tempo inserirsi serenamente nella società italiana.

Cuore di seta è un romanzo di formazione o più precisamente della duplice formazione di Shi Yang Shi che nel 1990, a undici anni, è arrivato con la madre a Milano da Jinang una città del nord della Cina nella provincia di Shandong. Apparentemente non emigrano per motivi economici, infatti la famiglia è benestante: la madre è un medico, e il padre, che però resta in Cina ancora per qualche anno, un ingegnere. La decisione di andare altrove è motivata dal desiderio – comune a molti cinesi in quegli anni – di trasferirsi in Europa nella speranza, ingenua seppur coraggiosa, di migliorare la loro condizione. Come avviene spesso, in Italia invece sperimentano il declassamento sociale e nel caso della madre anche occupazionale, perché va a lavorare in un rosticceria cinese. Abituati a vivere in una casa devono adattarsi ad abitare con alcuni connazionali che li fanno dormire su due brande in cucina. L’etica “mangiare amaro, resistere al lavoro” come osserva l’autore è però insita nella cultura cinese. Per ottenere qualcosa bisogna essere disposti a sacrificarsi senza lamentarsi, specialmente se lo si fa per i figli.

Shi Yang Shi racconta del doloroso sradicamento di un bambino costretto a lasciare la sua vita serena e spensierata in Cina, dove era circondato dall’affetto dei familiari, e improvvisamente è catapultato in un mondo completamente nuovo, da cui all’inizio si sente del tutto estraniato. Per descrivere la situazione in cui si è venuto a trovare usa una metafora poetica che ci fa capire quanto questa esperienza sia stata lacerante : […] nel momento in cui ho lasciato la Cina, a undici anni, […] nella seta del mio cuore si è aperto uno strappo. Però è dotato di una qualità ammirevole, una notevole resilienza che lo accompagna sempre e lo aiuta a superare le numerose difficoltà che ha dovuto affrontare in Italia: vivere lontano dal padre, fin da piccolo fare lavori umili, essere sfruttato e talvolta anche umiliato.

Quelli stessi genitori che lo hanno sradicato ed esposto a esperienze dolorose però gli hanno anche trasmesso i valori che saranno alla base del suo successo nella vita: l’importanza dell’istruzione e l’etica del lavoro. Infatti Shi Yang Shi va a scuola, impara bene l’italiano, inoltre poiché costretto durante le vacanze estive a fare lavori pesanti e umilianti per aiutare la madre, capisce presto che il suo inserimento nella società italiana passa attraverso il successo scolastico. “Per me la scuola era sacrificio, impegno, regole, disciplina. Era sempre stato così” e “[…] se volevo salvarmi, se volevo sperare di avere una vita migliore, dovevo studiare, studiare sodo, e imparare benissimo l’italiano”. Non può fare a meno di notare l’atteggiamento indisciplinato degli scolari italiani, da cui per un po’ sarà attratto. Completa con successo la scuola secondaria e arriva anche a laurearsi alla Bocconi, ma, ancor prima di portare a termine gli studi, scopre che la sua vera passione è un’altra, il teatro. Questa scelta e il suo orientamento sessuale lo mettono in conflitto con i genitori, perché è diviso tra le sue aspirazioni e l’etica cinese della famiglia, che gli imporrebbe di fare quello che i genitori si attendono da lui: sposarsi, fare un figlio affinché il cognome possa essere trasmesso e prendersi cura di loro quando saranno anziani. Il concetto confuciano di pietà filiale, ovvero rispetto e sottomissione ai genitori, è fondamentale nella cultura cinese.

Attraverso il racconto della sua vita e delle vicissitudini vissute dalle famiglie dei suoi genitori all’epoca della Rivoluzione Culturale, Shi Yang Shi ci introduce anche in periodi importanti della storia cinese. Il libro non è solo la storia di un inserimento di successo nella società italiana ma consente al lettore di conoscere aspetti di una cultura che a molti è del tutto ignota. La Cina ha anche una ricca tradizione culinaria e alcune pagine del libro sono particolarmente gustose, in particolare la descrizione della preparazione dei ravioli per il pranzo domenicale a casa della nonna paterna di Shi Yang Shi. La preparazione è descritta come un rito e una catena di montaggio dove ognuno ha un suo compito anche i bambini e varie persone della famiglia rigorosamente di genere femminile. Come ci ricorda l’autore, la società cinese è patriarcale e anche piuttosto maschilista.

Shi Yang Shi sottolinea la sua duplice appartenenza, illustrata dalla divertente immagine della banana (gialla fuori e bianca dentro) non solo attraverso le tematiche trattate ma anche inserendo parole e brevi frasi in pinyin ( la trascrizione fonetica del cinese mandarino) che entrano in modo fluido nella narrazione. Alcune di queste trascrizioni sono di nomi che a noi occidentali suonano molto poetici, come ad esempio quello con cui viene chiamata la madre, “la signorina dai mille ori”. Nella cultura cinese la scelta del nome è particolarmente significativa perché i nomi spesso riflettono le aspirazioni dei genitori per i figli.

Va ricordato che Shi Yang Shi non è solo un attore, ma fin da giovanissimo ha fatto il traduttore e il mediatore culturale a cominciare dai suoi genitori.[1] Una pratica questa molto comune ai figli dei migranti che genera una «inversione dei ruoli» dovuta alla maggiore competenza linguistica e culturale dei figli che diventano «genitori dei genitori» e i genitori «figli dei figli» (Portes-Rumbaut, 2001, 49-54).

Cuore di seta è un’autobiografia importante specialmente per le seconde generazioni  – non necessariamente solo cinesi – a cui fa comprendere che nonostante  i problemi e le difficoltà vivere tra due culture è anche una ricchezza, se si riesce a trovare un equilibrio tra il rapporto con il paese di origine e quello in cui il destino ha portato a vivere.  Per noi italiani è invece una piacevole introduzione alla cultura di un popolo che dovremo iniziare ad apprezzare di più liberandoci dai pregiudizi.

[1] Shi Yang Shi ha recitato (in italiano e in cinese) “ArleChino: traduttore e traditore di due padroni” con la regia di Cristina Pezzoli, lo spettacolo è la versione teatrale della sua storia ed è andato in scena in diverse città italiane. Con la regista aveva collaborato a Spazio Composto un progetto di ricerca a Prato dedito a spettacoli di arte sociale con lo scopo di favorire il dialogo tra la comunità cinese e quella italiana. Il progetto ha dovuto chiudere nel 2013 per mancanza di fondi.

L’attore sino-italiano ha anche recitato in diversi film e ha partecipato alla trasmissione Le Iene nel ruolo di un (finto) giornalista cinese.

 

 

 

 

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