di Barbara G. Sorge.
Conversare e lavorare con Danilo Dolci nei suoi ultimi tre anni di vita: una finestra sul mondo, nell’assoluta contemporaneità e forse anche un po’ più avanti, lo sguardo si ampliava di molto e l’energia che ne scaturiva era dirompente, veniva voglia di fare … Di costruire. Di questo ed altro, a pochi giorni dal 20° anniversario della sua morte, avvenuta il 30 dicembre del 1997, gli sono e sarò sempre grata.
Nel nucleo del pensiero di Danilo Dolci, alimentato da un dialogo continuo con filosofi come Habermas, Noam Chomsky, Erich Fromm, scienziati come Luca Cavalli Sforza e Rita Levi Montalcini, educatori come Freire, economisti come Paolo Sylos Labini c’è il desiderio di fornire una leva per la democrazia: una struttura educativa con la quale si può sperimentare la comunicazione autentica. Perché il vero comunicare potenzia la persona e la capacità della comunità di riconoscersi ed evolversi.
Per tutta la vita ha quindi cercato qualcosa di radicale, un modo concreto per costruire insieme: approda così alla “struttura maieutica reciproca” (dal lat. struere > costruire). Maieutica in quanto lo strumento principe della conoscenza nella struttura/laboratorio è affidato alla domanda formulata reciprocamente, mossa dall’interesse per la scoperta del diverso punto di vista piuttosto che dal condividerne lo stesso; una struttura dove “l’altro” è ricchezza, risorsa valorizzata e da valorizzare, non sprecata nello sterile rapporto competitivo, spazio per il conflitto violento, carico di sopraffazione. Quando si comunica invece [da cum e munus: mettere insieme i doni] si assiste realmente, nel fecondarsi e integrarsi reciproco, alla nascita di nuove idee.
Una modalità di relazione che non possediamo già, ma alla quale ci si dovrebbe educare per costruire ponti e conoscenza, partendo da ciascuno di noi fino a raggiungere, allargando i confini a macchia d’olio, ogni angolo della terra. La struttura maieutica di Dolci è una forma che potenzia ciascuno e la collettività in relazione alla soluzione dei problemi e, in quanto tale, una preziosa alleata per l’evoluzione della società oggi più che mai malata e minacciata dalla stessa mancanza di potere di ognuno.
Ciascuno al suo interno può esprimere e accrescere il proprio potere che per Dolci è una condizione necessaria per un sano sviluppo della persona e della società: “Non si può realizzare una società civile senza imparare a distinguere forza-potere da violenza-dominio.” *
Molto interessante la sua analisi dell’uso improprio (non casuale) del significato del termine potere: “Imparare a esprimere il potere personale è per ognuno un bisogno, pratico e intimo, a diversi livelli, connesso all’esigenza di essere creativo.” “Il potere (nel senso di essere capace di, capacità di azione) in sé non è affatto negativo […] Il potere si distingue, purificandosi, dal dominio, abuso di potere.” “Il potere personale o di gruppo […] Quando pretende sottomettere l’altro, diviene dominio.” “Correggersi dalla losca confusione fra potere e dominio non finisce mai” […] *
E aggiunge: “Oggi più che mai saper distinguere trasmettere da comunicare è operazione non solo mentalmente essenziale alla crescita democratica del mondo: la creatività di ognuno, se valorizzata comunitariamente, acquista un enorme potere ora per massima parte sprecato.” “Occorre il coraggio, non solo intellettuale, di chiamare comuni-cazione soltanto un sistema in cui ogni partecipante coinforma e corrisponde.” *
“Mentre il trasmettere può essere violento o nonviolento, inquinante o no, il comunicare essenzialmente è sincero e non violento, pure quando conflittuale. […] Un rapporto esclusivamente e continuativamente unidirezionale tra una persona e un’altra, tra una persona ed altre, nel tempo risulta – di fatto – violento: non esiste né può esistere alcuna comunicazione esclusivamente unidirezionale.” “Dare ordini o eseguirli fa esclusivamente parte dei sistemi di trasmissione.” *
I laboratori maieutici altro non sono che una struttura complessa in grado di far fiorire, attraverso l’interrelazione anche la creatività di ciascuno. La struttura maieutica dolciana infatti traduce in termini metodologici il concetto di complessità e di nonviolenza come programma. Nel laboratorio non esistono verità chiuse o definitive, la ricerca non è lineare e deterministica ma è interattiva e ciclica: le riflessioni di ognuno suscitano riflessioni, integrazioni, correzioni negli altri.
Così si esprime l’epistemologo Ervin László, in un editoriale della rivista “Pluriverso” (n.5, 1996) a proposito della struttura maieutica: “Stiamo per ora cercando di fronteggiare le condizioni della emergente società del XXI secolo con le forme di comportamento del sistema industriale del XX secolo. Questo […] equivale al tentativo di vivere nelle città industriali degli anni novanta con la forma mentis dei villaggi feudali del Medioevo. È insufficiente e, a causa della vulnerabilità delle nostre temporanee strutture sociali ed ecologiche, perfino pericoloso […]. Ecco perché la maieutica strutturale oggi, come è resa concreta dai gruppi attivi con Danilo Dolci, è essenziale. Non si può risolvere un problema fondamentale con il modo di pensare che ha originato il problema, come ha detto Einstein […]. Abbiamo bisogno di una percezione del mondo e di noi stessi integrata. Il compito epocale che ci aspetta è di fare evolvere modi di vivere e di agire che siano appropriati all’era delle informazioni diffuse globalmente, nella quale tutti siamo proiettati. […] Il mondo contemporaneo è maturo per un importante passo avanti nella sua coscienza collettiva. Il comunicare autentico, il processo strutturale maieutico, come la scienza e la cultura, sono fattori profondamente influenti nel raggiungere il prossimo stadio dell’evoluzione collettiva”.
Dolci ha spaziato per oltre 45 anni in una sistematica ricerca di “promozione della comunicazione”, determinando e sollevando a sua volta problematiche di forte rilievo culturale e sociale. Favorendo in tutto il mondo incontri e laboratori ai quali non solo parteciparono i più grandi pensatori della seconda metà del secolo scorso ma, cosa ben più rivoluzionaria, dando voce in centinaia di questi incontri a pescatori, contadini, donne e bambini, ai quali nessuno, mai, aveva dato diritto di parola. Diede voce ai diversi, agli esclusi da qualsiasi potere decisionale. Come non può essere considerato attuale ed urgente proseguire il lavoro intrapreso da Danilo Dolci alla luce della crescente paura ed emarginazione del diverso? Dall’ignorare l’altro perché non si sa ascoltare, né porgli domande? Dal disagio provocato dall’incomunicabilità tra i giovani?
«Se vivere è imparare ad adattarsi adattando, l’invenzione e l’impiego di un nostro nuovo potere costituiscono la creatività, la quale ha la stessa origine di crescere: connettere il preesistente in modo nuovo, concepire, suscitare generando”.
Chi asservisce – afferma Dolci – non sa, non può costruire la città, la politica.
Risulta pertanto evidente come ciascuno all’interno del laboratorio sia portatore di una differente “cultura” ed è in questa prospettiva che provocatoriamente definisco il laboratorio di Danilo interculturale in ogni sua composizione. Necessario ed efficace strumento per far dialogare, ancor prima delle culture, le persone: i cittadini e coloro che sono considerati “cittadini diversi”, solo perché stranieri, facendo scoprire che solamente la differenza come in musica attraverso la composizione di “suoni” diversi, crea armonia!
L’educazione al dialogo promuove processi di inclusione e non di esclusione come assistiamo costantemente crescere nell’odierna società. Solo favorire dovunque possibile la comunicazione autentica farà nascere, in modo creativo, un nuovo “linguaggio”, nuovi cittadini, nuova cultura e politica, così come invita a fare anche Dolci nella “Bozza di manifesto” pubblicata in Comunicare, legge della vita. La Nuova Italia Editrice.
Utopia? No se tutto questo diventa progetto. Ci vorrà molto tempo? Probabilmente sì, molto, tanto da non poterne vedere gli effetti in questa nostra breve vita ma se non iniziamo ad educarci a comunicare veramente, non ci sarà tempo. Danilo Dolci sognava e progettava la vita, per lui l’utopia era tale finché non diveniva progetto. La diga Jato, la scuola Mirto sono state prima sogni e poi con il progetto e il lavoro: realtà.
Sognare, inventare e progettare il futuro sono condizioni necessarie al processo evolutivo di ciascuno e della terra. Esistono, diceva Dolci, solo due strade percorribili: quella della valorizzazione e quella della distruzione, bisogna scegliere da che parte stare.
*da DANILO DOLCI (a cura di), Comunicare, legge della vita. La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi) Pubblicata nella collana “Educatori Antichi e Moderni”
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