Donne straniere e spazi urbani

di Shata Diallo.

 

Perché mi succedeva questo? Sono cosa? Sono chi? Sono nera e italiana. Ma sono anche somala e nera. Allora sono afroitaliana? Italoafricana? Seconda generazione? Meel kale? Un fastidio? Negra saracena? Sporca negra? Non è politicamente corretto chiamarla così, mormora qualcuno dalla regia. Allora come mi chiameresti tu? Ok, ho capito, tu diresti di colore. Politicamente corretto, dici. Io lo trovo umanamente insignificante. Quale colore di grazia? Nero? O piuttosto marroncino? Cannella o cioccolato? Caffè? Orzo in tazza piccola? Sono un crocevia, mi sa. Un ponte, un’equilibrista, una che è sempre in bilico ma non lo è mai. Alla fine sono solo la mia storia. Sono io e i miei piedi.”    ( da Igiaba Scego, “La mia casa è dove sono”)

Francesca, ventitré anni, reduce da un Erasmus a Parigi e studentessa del corso di Laurea in Lettere Moderne a La Sapienza, sta scrivendo la sua tesi sul rapporto tra genere, etnia e spazio urbano.

Una chiacchierata interessante tra una figlia di immigrato ivoriano che ancora cerca di trovare la sua identità ed un’intelligenza fresca che ha un occhio curioso e lucido sul mondo dell’identità femminile interculturale.

Francesca, cosa ti ha spinto ad affrontare questa tematica?

Oggi si parla molto di tematica di genere. Per quanto si voglia dire, la società italiana è profondamente maschilista: noi donne oggi possiamo permetterci una carriera lavorativa, ma il nostro ruolo resta sempre minoritario e quando il successo professionale arriva, per la società è sempre una sorpresa.

Per quanto riguarda invece la valenza etnica, il contatto con scrittrici italo-africane mi ha portato a voler approfondire la tematica etnica. Caterina Romeo, la professoressa che mi supporta nello sviluppo della tesi, ritiene che se per le italiane si parla di donna sub-alterna, la problematica si amplifica quando queste donne, in Italia, hanno una provenienza etnica differente. Non a caso la donna italiana si ritiene emancipata, ma colei che le permette di emanciparsi e la sostituisce nelle faccende domestiche è molto spesso un’altra donna, straniera.

Mi hai nominato le scrittrici italo-africane, con quali sei entrata in contatto?

Tra le scrittrici post-coloniali, sicuramente colei che ha catturato la mia attenzione è Igiaba Scego. Nata a Roma da genitori somali, cittadina italiana, si ritiene, italiana, romana, somala ed italo-somala, lei ha iniziato a scrivere interessandosi al punto di vista delle donne somale. Nella sua produzione letteraria c’è una interazione tra genere, etnia e spazio urbano.

In che modo la donna migrante vive lo spazio urbano?

L’analisi nasce dalla necessità di sviluppare un senso di identità composta da più etnie. La donna migrante si rappresenta nello spazio urbano, si sente parte di questo ma allo stesso tempo lo vive come un luogo estraneo e questa doppia appartenenza riflette la sua identità ma al tempo stesso la divide. La donna migrante vive lo spazio urbano e lo sente suo ma al tempo stesso proietta su questo un proprio sguardo che la porta a rivivere i luoghi tessendoci proprie riflessioni.

Ad esempio, Termini, stazione centrale romana e punto di svincolo di treni, metro, uffici, turisti e cittadini viene identificata come una sorta di cordone ombelicale. È una porta d’ingresso, un passaggio, ma al tempo stesso un luogo di speranza e di dolore. Spazi urbani come Termini possono essere definiti non luoghi, posti in cui l’identità si sdoppia; o luoghi eterotopi, posti che rimandano ad una riflessione più ampia, spazi di riflessione e di analisi che testimoniano il passaggio, lo spostamento, lo svincolo.

Quello che mi dici mi colpisce molto, mio padre, appena è arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio, ha sempre trovato in Termini un punto di riferimento, e nonostante ora viva in Francia, ogni volta che viene a Roma ha bisogno di attraversare quelle strade, di tornare in quella stazione come per respirare un po’ di aria di casa e di comunità culturale.

Assolutamente si, in modo amplificato quando si parla di donne. I termini donna e patria vengono uniti da Igiaba Scego nella parola “dismatria”, una sorta di lontananza al femminile dalla patria, intesa come una madre e rappresentazione del distacco dal cordone ombelicale. Infatti spesso la patria è rappresentata con la figura femminile, perciò, la donna che se ne separa, che sensazioni ha? La stessa scrittrice, ad esempio racconta la difficoltà della sua famiglia nel comprare degli armadi, simbolo di fermezza, di scelta, stabilità, la scelta di mettere le radici in Italia. La famiglia di Igiaba, invece, poneva i propri averi all’interno di spaziose valigie, come per non tagliare il cordone, per non essere obbligata a scegliere.

Quello che mi arriva è questa energia positiva nell’allontanamento dalla patria, nella rottura del cordone ombelicale, e mi chiedo quindi dall’altra parte cosa c’è; quali, secondo te, sono le difficoltà che incontra una donna prima della conquista della vera libertà. Qual è la conquista di una donna che integra le sue identità culturali?

L’allontanamento dalle proprie origini porta ad una rottura, ma la conquista è la capacità di riconoscere che non si può essere etichettati sotto espressioni stereotipate (come ad esempio “nera o immigrata”), l’obiettivo è quello di arricchire la propria identità percependola come l’insieme di più appartenenze. Il luogo ha un ruolo centrale all’interno della nostra vita per la costruzione dell’identità. Oggi lo spazio urbano italiano è vissuto da sfaccettature multiculturali e variate ed è necessario un processo di integrazione ed una attenzione allo sgretolamento di un’identità nel vivere luoghi che, per origine, non ti sono appartenuti.

Sono rimasta molto colpita dal fatto che tu abbia scelto questo argomento e dal modo in cui lo affronti. Mi hai spiegato cosa ti ha spinto a scegliere di affrontare questa tematica, adesso invece che sei in corso di ricerca, cosa hai compreso?

Innanzitutto, adesso, mi permetto di guardare la città da un altro punto di vista, mi sta arricchendo moltissimo e mi sta avvicinando ad un nuovo mondo letterario. Sono consapevole, in quanto giovane studentessa italiana, di quanto lo sviluppo di un senso di identità culturale sia fondamentale e radicato in ognuno di noi e quanto spesso la politica interculturale e di cittadinanza non aiuti a supportare questo fenomeno. È un percorso che mi ha aperto la mente e che vorrei assolutamente proseguire.

Cosa pensi sia importante, oggi, perché questo accada?

È importante oggi parlare di autorappresentazione di sé in un contesto di appartenenza: come la soggettività si rappresenta in uno contesto urbano. È molto difficile per chiunque una immedesimazione totale in uno spazio urbano, in quanto la città spesso porta ad escludere. La scissione identitaria proiettata nella città porta la donna straniera a vedere nei luoghi la sua non-appartenenza e li rielabora per appropriarsene.

Nelle tue parole rivedo tanta verità e tanta difficoltà, partendo da me, nell’integrare lo spazio urbano, i monumenti, i luoghi ed i quartieri che ho sempre sentito miei ma che forse non mi appartengono, perché forse non appartengono a nessuno o perché, gli occhi esterni, degli altri, mi vietano di lasciarmi andare e sentirli miei. Mi chiedo, quali emozioni ti sta procurando questo viaggio nel mondo dell’interculturalità?

Mi colpisce in prima persona in quanto reputo la letteratura di queste scrittrici davvero universale, chiedersi “chi sono?”, “da dove vengo?”, “a cosa appartengo?”, “sono libera di esprimere me stessa?” sono domande ampie che caratterizzano la vita di ciascuno di noi, indipendentemente dall’origine. Mi sento arricchita e spero nella costruzione di una società più solida, anche se multiculturale.

Francesca, ti faccio un’ultima domanda: mi fai una lista di romanzi che hai letto e che consigli per approfondire questa tematica?

Io consiglierei di leggere i libri di Igiaba Scego come “Rhoda”, “Adua”, “Oltre Babilonia”. Anche l’antologia di racconti “Pecore Nere” (di Gabriella Kuruvilla, Igiaba Scego, Ingy Mubiayi Kakese e Laila Wadia).

Invece per una visione sul panorama letterario post-coloniale “Postcolonial Italy challenging national homogenety” curato da Romeo e Lombardi-Dop e l’articolo “Remapping cityscapes. Postcolonial diasporas and representations of urban spaces in contemporary italian literature” di Romeo.

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