Frontiere

a cura di Amira Chaouch

Nata 26 anni fa e cresciuta in Italia da genitori tunisini a Castelvetrano di Trapani in Sicilia. Ha completato gli studi in Sicilia e si è laureata in Lingue e Letterature straniere a Bologna nel 2014. Per un anno ha vissuto anche ad Istanbul e visitato molti paesi del Medio Oriente. Ritornata a vivere in Sicilia, nel 2015 ha fatto diverse esperienze in Tunisia, in Africa, in Francia  a Londra e in Medio Oriente. Collabora con MONDITA e questa rubrica è una nuova tappa del suo percorso di ricerca di un futuro professionale e personale come tunisina, italiana, araba, europea, cittadina del mondo.

Presentazione

Dopo la laurea a Bologna non sapevo bene che cosa fare. Dopo una lunga riflessione avevo deciso di iniziare a conoscere altri mondi oltre la Tunisia e l’Italia, ma lo volevo fare in maniera intelligente ed utile e non viaggiando come una turista. Così ho iniziato a contattare alcune Associazioni e ONG in Italia ma anche all’estero, per rendermi utile e partecipare ad attività che mi permettessero di conoscere e capire un po’ meglio questo strano Mondo. La mia doppia e orgogliosa identità di tunisina e italia
na (siciliana), di musulmana a modo mio (in realtà sono sufista) in una situazione sempre più difficile e complessa degli ultimi anni, mi spinge a scrivere e condividere le mie emozioni e riflessioni.

In questa Rubrica vi racconterò alcune esperienze dell’ultimo anno precisando che come mia identità mi sento siciliana più di ogni altra cosa perché sono nata nel luogo che proprio mi rappresenta, in una terra che ha vissuto 13 dominazioni tra cui anche arabi e ottomani , e questa sono nel Mediterraneo una cittadina del mondo.

In Turchia

La scorsa estate del 2015, dopo un breve viaggio a Parigi che mi aveva provocato molto per ciò che avevo visto in città e che vi racconterò in un altro articolo, avevo deciso di fare un’ esperienza di volontariato in qualche parte in questo mondo. Mi ero messa a cercare e cercare ma non trovavo nulla che mi colpisse. Poi finalmente ho trovato in rete un annuncio “Cerchiamo un insegnante d’Inglese volontaria nel nostro collegio”, in Turchia, nel sud del paese. Non c’ho pensato due volte e ho inviato una mail. Dopo due giorni ho avuto la risposta. Sono partita a Settembre e sono andata a vivere a Mersin, una bellissima città sul mare Mediterraneo ed è una delle più importanti città   dell’Anatolia meridionale . Sono rimasta in Turchia tre mesi.

Avendo tempo a disposizione prima di iniziare il mio volontariato decisi di prendere un autobus ed andare a Kilis, una città nel centro-sud della Turchia, vicino al confine con la Siria. Andai lì perché volevo dare una mano ai rifugiati e volevo vedere come venivano trattati: solo il ricordo mi fa star male. Vidi madri piangere sui figli persi, mogli piangere i mariti persi, uomini piangere sul loro paese, e uomini vendere le loro figlie per sfamare gli altri membri della famiglia. Io non avrei mai creduto a questo, ma quando un ragazzo siriano me lo ha fatto vedere, ha aggiunto : “Quando qualcuno ha fame la dignità non ha prezzo! “. Avevo cercato di aiutare come potevo, sapevo che il governo turco dava dei contributi, ma non erano abbastanza. Vedevo sempre bambini con meno infanzia e più responsabilità, girare per le vie delle città ed a volte nelle autostrade a vendere fazzoletti, acqua ecc ecc. Non avevano la possibilità di studiare, ma quei bambini piangevano quando vedevano altri bambini uscire dalla scuola. E così qualche volta li raggruppavo io e gli facevo qualche lezione o gli leggevo una storia, ma come sempre alla fine mi dicevano “Non ti facciamo schifo? Non hai paura di stare con noi?”. Era quello che loro sentivano da tutti ed era ciò che loro provavano. A Mersin invece c’erano tantissimi siriani ricchi, anzi ricchissimi, che possedevano case e ristoranti o locali, negozi ecc ecc. Allora, forse ingenuamente, mi chiesi “Ma se questi sono ricchi e vengono dalla stessa realtà di quei poveri perché non gli aiutano, loro dovrebbero capire meglio di qualunque altro ?”. Beh volevo capire, così iniziai a girare e parlare con la gente, per carità gentilissimi, mi offrivano sempre il tè, caffè arabo, dolci e magari anche il pranzo dicendo sempre “L’ospite va trattato bene”. Ma quando facevo la domanda “Perché non aiutate quei poveri magari con un pasto al giorno o con dei vestiti o non so altro?“, le loro risposte erano le seguenti: “Quante persone possiamo aiutare, una due tre, 10 o 20 ma loro sono centinaia, solo Dio li può aiutare”, oppure “Dio mi ha dato tutto ciò, io aiuto come posso, ma se Dio non gli ha dato nulla per adesso dovranno solo pregare ed aspettare”; “La mia famiglia è grande, li mantengo tutti io, se vedo qualcuno passare da qui gli do qualche cosa, ma più di questo nulla posso fare a parte pregare”.

Come sempre e come al solito, e come in tutto il mondo, i ricchi trovano delle risposte e delle soluzioni che sono adatte solo a loro ma non vanno bene per tutti. Io dicevo “Molta gente non ha bisogno di soldi e neanche della vostra carità, ma ha bisogno di un sorriso, di un po’ di amore, di sentirsi sicura e che c’è qualcuno sul quale contare, il mondo non è solo denaro ma anche e soprattutto amore, se non amiamo non viviamo, se non ami la tua famiglia e non ami la vita non avrai mai la forza di andare avanti, starai li fermo per dove sei, perché la paura ti trattiene”. Ma alle mie parole rispondevano sempre “Tu sei una giovane europea non puoi capire”.

Ancora oggi cerco di capire il significato di quelle parole.

Sono rimasta a contatto con molti di loro ed un giorno ho ricevuto questa lettera da parte di due fratelli che adesso si trovano in Danimarca “Amira, scusa se ho scattato la foto senza chiedere permesso, ma ho apprezzato le frasi sulla tua t-shirt, sono così vere e si adattano perfettamente a te, tu eri lì da sola, ma avevi messo le tue mani con le nostre, sei una grandissima persona con un buon spirito, orgogliosa di quello che sei e di quello che fai, semplice e ed umana, Amira che Dio  benedica te e tutti quelli che erano lì per aiutare “.

Queste parole mi hanno fatto capire ancora di più che i Rifugiati hanno anche bisogno di amore, di qualcuno che li abbracci,qualcuno che  dia loro speranza, qualcuno che li ascolti, che li faccia sorridere o regali anche un sorriso.