Il Carciofo “multietnico”

di Patrizia Borghetti.

Chi  ha visto negli anni Sessanta  le pubblicità, tipo Carosello, non può dimenticare Ernesto Calindri che dal suo tavolino  al centro del traffico cittadino inneggiava:  “Contro il logorio della vita moderna  bevi Cynar !”. Ancora lontani i divieti a pubblicizzare gli alcoolici, del  Cynar  si elogiava soprattutto l’essere “a base di carciofo”. D’altronde nessuno nega proprietà terapeutiche al carciofo, ortaggio mediterraneo per eccellenza, raccolto selvatico già da Egizi e Greci e tramandato dai Romani come prezioso rimedio fitoterapico col nome di “cardus”. Grazie agli Arabi, veri maghi dell’agricoltura nei terreni scarsi di acqua, che  nel lontano IV secolo avanti Cristo  cominciano ad essere coltivato col nome di “karhuf” da cui l’attuale carciofo.  Da allora ha viaggiato sulle navi commerciali e spopolato radicandosi in tutto il bacino mediterraneo  fino a invadere orti e giardini di Italia, Spagna e Africa del Nord partendo probabilmente dall’Etiopia dove si trova la vera origine del carciofo.  Viaggiando lo abbiamo trovato  in tutte le cucine stagionali e in tante versioni , mangiato crudo o cotto, da solo o come ingrediente di torte e timballi.

In Turchia soprattutto nella zona di Smirne  utilizzano solo il cuore del carciofo e, dopo averlo fatto bollire, lo uniscono ad altre verdure primaverili come fave,  asparagi e piselli facendone un piatto vegano  oppure lo farciscono con spezzatino di agnello.  Nella vicina Grecia, il carciofo ha un posto d’onore fin dalla mitologica ninfa Cynara,  famosa per il suo carattere spinoso e per questo trasformata da Zeus in ortaggio dalle stesse caratteristiche. E da sempre  è un classico delle Laderà ovvero i piatti di verdure della cucina del mar Egeo dove sono maestri anche nella raccolta del carciofo selvatico, ripieno poi di carne e cotto in umido al profumo di limone ed  erbe aromatiche. Stessa latitudine ma oltre lo stretto di Gibilterra nelle Canarie,  non manca mai nella gastronomia tradizionale,  di casa e di strada.

Tornando a Roma il carciofo,  cucinato nelle sue più famose versioni , alla “romana” ovvero stufato e profumato con la nipitella o alla “giudia” cioé immerso intero e a testa in giù in abbondante olio bollente, spadroneggia sui banchi dei mercati rionali dalla fine dell’inverno .  Lo si trova da pulire o già mondato delle foglie dure e immerso nell’acqua acidulata per evitare che si ossidi e diventi nero.  Ed è così  almeno fino a giugno quando compaiono i “cimaroli” ovvero carciofi di piccole dimensioni  perché nati per ultimi sulle cime della pianta sfruttata per tanti mesi. Ma  siccome del carciofo non si butta via niente,  i cimaroli sono utilizzati  per la conserva  sott’aceto o sott’olio e  usati nel resto dell’anno.

Sembra proprio che del carciofo non si possa fare a meno. Lo sapevano gli antichi e lo menzionavano i viaggiatori del Gran Tour quando raggiungevano l’ ltalia mettendone  in evidenza il sapore amaro. Considerato una panacea per tanti malanni, tra cui tenere basso il colesterolo e  purificare il fegato,  il carciofo possiede un’altra virtù per cui fu messo  a lungo al bando nella cucina francese e ne venne proibito il consumo alle donne:  quella  afrodisiaca. Provare per credere.

 

 

 

1 Comment

  1. Molto interessante questo articolo, grazie. Così anche in Turchia fanno quella che da qualche parte in Italia si chiama ‘cianfotta’.

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