In viaggio con Nyathera

di Barbara Schiavulli   ( Direttrice di RadioBullets ) www.radiobullets.com/sostienici

Ho freddo e ho molta sete.

Prendo qualche goccia al di là della paratia, allungandomi con un braccio fino a toccare le onde arrabbiate e provo a berle, ma il sale mi brucia le labbra, le sento spaccarsi e allora bevo il mio stesso sangue. Le dita sono intorpidite, mi fanno male. Tutto il mio corpo mi fa male. Quando sono partita non credevo sarebbe stato così difficile. Ora mi aggrappo al bordo della barca, mi tengo forte perché ho paura di cadere. Vedo le nocche della mia mano ingrigita impallidire dallo sforzo. Mi dicevano che sarebbe stato facile, avrei attraversato il deserto, avrei attraversato il mare e sarei stata accolta in paradiso. Ma non so se arriverò alla fine di questo viaggio, sono così stanca e ho tanto male.

Da settimane non capisco dove sono, l’uomo che mi è entrato dentro parlava un’altra lingua, aveva un’uniforme, non ho capito niente. Per tutto il tempo che è stato dentro di me, ho pregato gli dei e i santi che mi hanno detto di stare buona, di lasciarlo fare, dovevo solo sopravvivere anche se ora non so perché. Sento i segni di quell’uomo sul mio corpo, i lividi più scuri della mia pelle, le bruciature della sua sigaretta che fanno piccoli cerchi dentro le cosce, le cicatrici del coltello che mi ha lacerato per farsi largo in me. Sento la febbre che mi invade il corpo.

Non ero mai stata toccata da un uomo. Pensavo che un giorno mi sarei innamorata, mi sarei sposata e avrei avuto dei figli e una casa. E questo che speriamo nel nostro paese, per questo sono partita. “Avrai una vita migliore”, diceva mia madre con il suo sorriso preoccupato che hanno tutte le madri. Ora penso che non mi importa più, voglio solo che tra me e quella riva che ho lasciato, ci sia sempre più spazio, devo allontanarmi da quel paese che mi ha messo in prigione, che mi ha torturata, con quegli uomini chiari che mi hanno presa come se fossi un giocattolo e poi quando si sono annoiati, mi hanno buttata via.

La paura ha la forma del volto di quell’uomo che mi ha presa ridendo di me. E poi di quello dopo. E di quello dopo ancora. Non posso più tornare indietro, è rimasto qualcosa di loro dentro di me. Lo sento. La pancia sta crescendo. Ho la vergogna che ha ficcato uno di quei soldati dentro di me, che in un attimo ha cancellato il mio passato e la mia famiglia. Non potrei più tornare da loro, non posso più affondare nell’abbraccio di mia madre che mi ha sempre protetta. Ora ho solo questo barcone, il mare e quello che mi aspetta. Mi faranno del male anche nel prossimo posto dove arriverò? E’ una domanda che mi tormenta. Ci saranno persone che parlano la mia lingua? Che vita avrà questo bambino che mi cresce dentro? Spero muoia. No, voglio che viva. Non lo so. Mamma dove sei, ho bisogno di te, aiutami ti prego.

Mi tengo stretta al bordo, mi fanno sempre più male le dita per quanto sono tese. Vorrei lasciarmi andare e farmi prendere dal mare, tutta quest’acqua pulirebbe i miei peccati, laverebbe la vergogna, il dolore, l’incertezza. Sento il corpo di altri uomini che mi schiacciano. Siamo tanti, non dovremmo stare così vicini, ma non c’è altro modo, la barca ondeggia e io mi aggrappo, chiudo gli occhi ogni volta che l’acqua mi colpisce come una frustata che mi brucia la pelle, ma non fa tanto male come gli schiaffi che ho preso dai soldati quando ho tentato di resistere. Mi hanno tagliato i capezzoli dopo averci giocato e li hanno buttati sul pavimento polveroso. Mi sono fasciata da sola il petto con una striscia della mia gonna insanguinata, piangendo di dolore, come allatterò il mio bambino adesso? Il loro bambino. Dio se esisti fammi morire ti prego, mandami un’onda tanto alta da sommergermi e portarmi via da questa barca, non ce la faccio da sola.

Con una mano mi liscio quel che resta delle mie vesti strappate, sono bagnate, sono luride, sono come la mia anima. Non sono più una ragazza, sono solo qualcosa di sporco. Mi sono dimenticata i miei sogni e le mie speranze. Sono in balia del mare e degli uomini cattivi. Il cervello mi trema, mi sento soffocare dalla paura e dall’orrore. Dio, ti prego, prendimi tu, non lasciare che mi accada niente di nuovo. Dio ti prego, non posso sopportare altro dolore.

Sento del caldo sulla gamba, la guardo e vedo del liquido giallo che scende. Penso sia la mia urina, ma mi accorgo che è quella di un altro che con lo sguardo mi chiede scusa. Ma io mi godo questo breve momento di calore. Questo uomo che si schiaccia su di me, è anche lui un relitto, lo vedo dalle righe bianche che gli percorrono le guance, non sono schizzi salati dell’acqua del mare, sono lacrime che gli disegnano il volto.

Siamo tutti morti che respirano su questa barca. Abbiamo lasciato la guerra a casa, per ritrovarci immersi in qualcosa di peggio. Non pensavo ci fosse qualcosa di peggio della guerra, ma la cattiveria dell’uomo non ha bisogno di armi per compiersi. Gli basta un altro essere umano di fronte, non importa che sia giovane, non importa che sia debole, non importa che abbia paura. Basta una lingua diversa, una religione diversa, il colore della pelle, più o meno scuro. Basta veramente poco per essere nessuno. Ho la pipì di un uomo sulla gamba, sui miei vestiti, il bambino di un altro nel mio corpo. Dove sono io? Che resta di me? Non ho neanche più lacrime per piangere, mi approprio di quelle del mio vicino, gli passo un dito sulle guance ruvide, increspate dal sole e dal sale. Gli rubo le lacrime e le faccio mie. Quanto si può essere tristi per prendersi le lacrime di un altro? Mi sento come un foglio di carta appallottolato, ripiegata su me stessa.

Che ne è di una persona quando perde la speranza? Un involucro.

L’odore della benzina mi impregna il naso, cerco di mettermi un pezzo di stoffa sulla bocca e sul naso, sento anche l’odore degli uomini, il loro fetore dopo tanti giorni nel mare uno addosso all’altro. Mi sento svenire, ma siamo talmente appiccicati che non potrei neanche cadere, per fortuna sono vicino al bordo, anche se questo significa bagnarsi con le onde, vuol dire anche poter prendere qualche boccata di aria gelida che mi blocca per un attimo il respiro. Non avevo mai sentito tanto freddo, da noi l’unico freddo è l’aria condizionata dei ricchi o dell’ospedale, da noi al villaggio fa sempre caldo. Ho sentito caldo tutta la vita fino ad ora.

Eppure mi è passata la fame, a casa quando non avevamo da mangiare per qualche giorno, sentivo il mio stomaco cantare la canzone della fame, ma da quando ho attraversato il deserto mi sono dimenticata anche la sensazione della fame. Quando gli uomini mi hanno presa, non ho più avuto bisogno di mangiare, la sete sì, ma la fame no.

Sento qualcuno che urla, ma è più un grugnito, la barca ondeggia molto, nel freddo della notte non vedo nulla, non so nulla, fa talmente freddo che non sento più nulla. “Stiamo affondando”, qualcuno dice nella mia lingua. Non so neanche bene cosa significhi affondare, ma sento l’acqua gelida salirmi alle caviglie. Alle ginocchia, alle cosce. Alla vita. Mi sento avvolgere. Fa freddo ma sto bene. Tutto si spegne, è questa la mia fine, è questo il mio approdo. Non ho più nessuno attaccato a me, sono nel mare, spinta dalle onde. Sono libera. Sono finalmente libera. Ho vissuto per arrivare a questo momento. Questa è la mia riva nel mare. Devo solo lasciarmi andare, ma prima di cedere al buio, un fascio di luce mi colpisce con prepotenza. Si fissa su di me e sugli altri che ancora mi galleggiano intorno dimenando le braccia per non affogare. Sento le urla. Altri uomini su una barca ci raggiungono. Ci vogliono prendere, ma io non voglio essere presa, non posso passarci di nuovo.

E’ una grande barca grigia, non posso farcela ancora. Mi sforzo per allontanarmi, ma la luce mi resta addosso, maledetta luce che entra anche con gli occhi chiusi, una scialuppa si avvicina e sento delle braccia asciutte afferrami. No, no, lasciatemi andare, non posso, non voglio, io sono arrivata, è questo il mio posto. Ma non mi ascoltano, non mi capiscono, mi prendono e anche se punto i piedi nell’acqua, sono troppo debole e questi uomini in divisa anche loro mi prendono e io piango dall’orrore che possa accadere ancora, che possano uccidere il mio bambino. E mi tornano le lacrime, i singhiozzi, Dio è ora, prendimi tu, non lasciarmi a loro che mi hanno già caricata su un’altra barchetta. Ti prego abbiate pietà di me. Per tutto il tempo tengo gli occhi chiusi perché non ho la forza di vedere ancora il male. Mi issano da qualche parte. Sento una stretta che mi sorregge. Ma non è uno strattone, è più una presa protettiva ed è tanto tempo che non sento una cosa così, forse dai tempi del villaggio. Allora apro gli occhi, e vedo due occhi blu che mi guardano. Non ho mai visto due occhi azzurri. Non credevo gli occhi potessero essere di un altro colore.

“You are safe”, sei al sicuro, mi mormora una voce che non urla, non mi sputa addosso, che sembra quasi dolce come la polpa di una noce di cocco matura. Sorrido tra le lacrime se è possibile. Sorrido a quegli occhi che non sembrano volermi fare male. Sorrido a quell’uomo dagli occhi blu che non sembrava cattivo e mi metto a ridere. A ridere e piangere insieme. Non capisco niente, ma sono salva. Mi sta avvolgendo una coperta intorno e sorride anche lui e io rido sguaiata, senza sapere perché, forse solo perché mi sta dando dell’acqua. Lo sapete voi quando è buona l’acqua?

Davvero non riesco a smettere di ridere e piangere perché ho scoperto che la mia speranza ha il colore degli occhi blu di un estraneo che mi sorride.

“Vedrai con il tempo sarà più facile”, mi sussurra l’uomo che non smette di guardarmi, come se dal suo sguardo attingessi l’ossigeno per vivere.

“Che cosa sarà più facile?”, gli chiedo come se lui avesse la chiave delle mie possibilità.

“Vivere con il cuore spezzato”.

Il mio nome è Nyathera e nel mio paese significa “sopravvissuta”.

www.radiobullets.com/sostienici

Ringraziamo l’autrice per l’autorizzazione a pubblicare questo suo racconto “verosimile” nella nostra rivista dopo che lei stessa lo aveva proposto il 19 maggio nella sua pagina FB.

Un Racconto che noi di MONDITAreview dedichiamo al nuovo Governo che sta per nascere ed al nuovo Ministro dell’Interno, chiunque sia.

La REDAZIONE

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