Ius Soli perché Sì

di Antonio Luzi.

La proposta di legge, che porterebbe la modifica alle legge 5 febbraio 1992, n.91, prevede contestualmente l’introduzione dello Ius soli temperato e dello Ius culturae, ha scatenato un dibattito feroce nel nostro paese e la solita divisione fra i pro e i contro alla proposta.

Bisognerebbe tanto per iniziare a discuterne fare un po’ di chiarezza vedere esattamente di cosa stiamo parlando, sgombrando il campo da una serie di affermazioni false che tendono solamente a impedire che una normale discussione si svolga.

I due principi dello ius soli e disello ius culturae modificherebbero la nostra normativa che prevede che la cittadinanza si acquisisca per ius sanguinis, per cui è cittadino italiano il figlio di almeno un genitore italiano. Inoltre, con la attuale normativa, si può acquistare la cittadinanza per matrimonio e può essere chiesta da stranieri che risiedono in Italia da almeno 10 anni con reddito sufficiente e senza problemi penali.

Tornando alla proposta di legge che stiamo esaminando lo ius soli permetterebbe di acquisire la cittadinanza italiana a bambini e ragazzi nati in Italia dal 1999 a oggi (ovvero ancora minorenni) i cui genitori sono in possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo (cittadini extra-UE che risiedono da almeno 5 anni) o il “diritto di soggiorno permanente” (cittadini UE). Con lo ius culturae, otterrebbero il diritto alla cittadinanza i minori stranieri, nati in Italia o arrivati entro il compimento del dodicesimo anno di età, qualora abbiano frequentato regolarmente un percorso formativo scolastico per almeno cinque anni nel territorio nazionale. È, o dovrebbe essere evidente a chi non è in malafede, che dalla eventuale riforma, se fosse approvata, beneficerebbero soltanto i minori nati o arrivati in tenera età in Italia, lasciando invariata la procedura di naturalizzazione degli adulti, che possono fare richiesta dopo dieci anni di residenza legale. Si tratta, quindi, con tutta evidenza e chiarezza, di un riconoscimento a ragazzi-e che, purtroppo, vengono considerati e, purtroppo, si considerano “stranieri” in Italia e “stranieri” nel paese d’origine dei loro genitori, dove nella maggior parte dei casi non hanno mai vissuto, paesi di cui spessissimo non parlano la lingua, giovani che vivono in un limbo doloroso e umiliante per cui, ad esempio, non possono viaggiare all’estero con i propri compagni di classe.

Per questa ragione non è assolutamente possibile parlare di un provvedimento che farebbe aumentare il pericolo di terrorismo e criminalità organizzata. In più, dando a questi ragazzi-e una vera identità, daremo loro un messaggio di integrazione ed inclusione per il futuro. Occorre puntare sull’inclusione e sul trasferimento dei valori fondanti della tradizione italiana ai nuovi arrivati e alle nuove generazioni. Detto quindi in poche parole perché l’approvazione dello ius soli e dello ius culturae sarebbe di fondamentale importanza per far crescere questi ragazzi-e come italiani-e, quali essi-e si sentono, con a volte addirittura il loro sentirsi veneti, piemontesi o toscani perché la loro lingua madre è spesso il dialetto del luogo in cui sono cresciuti-e, va aggiunto un dato poco conosciuto. La gente non sa che il nostro Paese è in testa, per quanto riguarda il 2015, alla classifica europea per il maggior numero di acquisizioni di cittadinanza, con circa 178.000 nuove cittadinanze.. nell’ultimo anno !

Ma è così difficile prendere la cittadinanza in Italia?

La prima risposta è che la cittadinanza ha i tempi lunghi, ed i dati del 2015 sono l’effetto di flussi migratori che sono avvenuti circa 20 -15 anni prima, il tempo che ci vuole, in base alle diverse leggi in vigore, per “trasformare” un immigrato in un cittadino, e che ha portato l’Italia ad avere centinaia di migliaia di nuovi cittadini.

Di questi oltre al fatto che ben 70 mila sono minori, quasi il 40%, di loro ha acquisito la cittadinanza per trasmissione, ossia dopo che uno dei due genitori l’ha ottenuta.

Un altro 50%, circa 90 mila persone, l’ha acquisita per residenza, avendo raggiunto il requisito dei dieci anni di residenza stabile in Italia. Il 10% infine l’ha acquisita per matrimonio, sposando quindi un cittadina/o italiano, un dato quest’ultimo in costante calo negli ultimi anni. La ripartizione di genere è molto equilibrata, circa il 50% di maschi e il 50% di femmine. Vale la pena di ricordare che l’Italia è un paese con una storia particolare in fatto di flussi migratori, che fa sì che possiamo essere paragonati, per il periodo fra gli anni novanta ed il duemila, alla Spagna. In più la storia degli ultimi anni in cui l’Italia è divenuta il terminale quasi unico, fatti salvi gli sbarchi in Grecia, del grande flusso migratorio, che ci ha differenziato nettamente dagli altri paesi europei, e reso il paese con il più forte numero di ingressi di tutta Europa.

Tornando al periodo Novanta / Duemila ricordiamoci che la risposta che la  politica diede all’immigrazione fu, da una parte un inasprimento delle politiche migratorie del paese (la famosa legge Bossi-Fini del 2002), dall’altra una sanatoria senza precedenti che ha portato alla regolarizzazione di circa 700 mila persone presenti nel paese.

Ecco quindi che il boom di richieste di cittadinanza è esattamente figlio proprio di quel boom di ingressi e regolarizzazioni. Come abbiamo detto sopra il requisito attuale per poter chiedere la cittadinanza italiana è essere residenti stabilmente nel nostro paese da almeno 10 anni. Le persone che sono entrate nel nostro paese a fine anni novanta hanno quindi potuto iniziare a fare domanda di cittadinanza intorno al 2007-2008, e ricordando che ci vogliono tra i tre ed i cinque anni per esaudire le richieste, in presenza dei requisiti di legge previsti, ecco perché che la curva delle acquisizioni di cittadinanza inizia ad impennarsi nel 2010,  Continuando a crescere in maniera esponenziale negli anni seguenti, quando iniziano a chiedere la cittadinanza quei 700 mila regolarizzati tra il 2002 e il 2004.

Torniamo quindi alle domande di partenza.

Perché sarebbe necessaria una nuova legge sulla cittadinanza, che parli di ius soli e/o ius culturae?

La mia risposta è che dobbiamo chiederci per prima cosa a chi stiamo negando la possibilità di essere cittadini italiani. La stiamo negando a bambini, ragazzi, giovani, giovani adulti che nascono in Italia, crescono in Italia, studiano nelle scuole e università italiane, spesso fanno da ponte tra la loro famiglia e la società italiana. È un gruppo formato da circa 800 mila persone, che non ottengono e non otterranno la cittadinanza tramite i loro genitori, perché i loro genitori non sono cittadini italiani e perché, se e quando lo diventeranno, non potranno trasmetterla ai figli, perché i figli saranno diventati maggiorenni.

Proviamo a spiegare meglio la situazione che abbiamo di fronte.

Un minore nato in Italia, e che oggi ha raggiunto i dieci anni, può in questo momento, ottenere la cittadinanza in tre modi.

–Per trasmissione, se almeno uno dei due genitori diventa cittadino italiano prima che lui compia 18 anni, cosa in questo caso impossibile perché anche nel caso in cui uno dei due genitori avanzasse richiesta di cittadinanza oggi la otterrebbe, se tutto va più che bene, fra 10-15 anni. Il nostro ragazzino/a avrebbe allora raggiunti i 20-25 anni, e sarebbe quindi troppo tardi.  La cittadinanza non sarà più trasmissibile.

Oppure potrebbe chiedere la cittadinanza al compimento del 18 esimo anno di età, ma deve farlo entro il compimento del 19esimo compleanno e in questo caso, la cittadinanza viene concessa quasi automaticamente. Questo non cancellerebbe i disagi che il minore dovrà subire fino ai 18 anni (gite all’estero che saltano perché non è arrivato il visto, tornei di scacchi a cui non si può partecipare, e così via), ma gli consentirebbe e di entrare nella vita adulta da cittadino italiano.

In questa seconda ipotesi ci sono due problemi, non insormontabili ma che in ogni caso sono due problemi.

Il primo è la mancanza di informazione sulla finestra temporale di un anno. Molti giovani perdono la finestra temporale di un anno semplicemente perché non lo sanno.

Il secondo problema è che essi devono dimostrare di aver avuto residenza legale nel nostro paese senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età. Basta ad esempio che il minore che, fosse pure per un periodo breve, sia rientrato con i genitori nel proprio paese, oppure che i genitori non abbiano comunicato alle autorità competenti un cambio di residenza, o per ultimo che i genitori ancora abbiano chiesto con ritardo che il minore fosse inserito nel loro permesso di soggiorno, tutto ciò potrebbe rappresentare, oggi molto meno, un ostacolo quasi insormontabile per molti neomaggiorenni.

L’ultima possibilità è quella di chiedere la cittadinanza. In questo caso, se il/la minore è nato in Italia, il requisito di residenza previsto dalla legge, scende da dieci a tre anni. Se invece il/la minore non è nato in Italia, ma magari vi è arrivato da bambino, si deve sottoporre allo stesso iter degli stranieri arrivati da adulti.  Dovrà quindi in primo luogo chiedere ed ottenere un permesso di lunga durata, dovrà risiedere in maniera stabile in Italia per almeno 10 anni (se si iscrivesse all’università, non può fare un anno di Erasmus), e poi inoltrare la domanda, che richiederà un iter di almeno altri tre o cinque anni.

A questo punto il “Minore” sarebbe arrivato a 25/35 anni di età ed in alcuni casi anche a 40, e dopo essere stato in pianta stabilmente nostro paese per una vita, magari dopo aver fatto le scuole in Italia, magari anche l’università, speso un sacco di soldi per ottenere e rinnovare continuamente i permessi, potrebbe trovarsi senza essere cittadino di un paese in cui è cresciuto e di cui parla perfettamente la lingua.

Ecco noi dobbiamo pensare a questi ragazzi/e quando pensiamo a chi dare la cittadinanza, immaginando una nuova legge sulla cittadinanza. Dobbiamo pensare al presente ed al futuro di cittadino/a italiano/a che lavorerà e produrrà reddito e pagherà le tasse nel nostro paese.

Insomma, la cittadinanza non sarà in vendita nelle tabaccherie ma sarà concessa solo a fronte di percorsi e requisiti molto precisi, per certi versi perfino più stringenti di quelli in vigore, passando in altre parole dalla quantità alla qualità.

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