La mia Cuba 2019

di Daniele Maffione ( Napoli )

Dal 19 giugno u.s. sul mio passaporto è comparso un timbro, che recita: “Aeropuerto internacional “Josè Martì””. Ne vado molto fiero, essenzialmente per due ragioni: sognavo da quando avevo 14 anni di andare a Cuba; era il mio primo viaggio internazionale, perché prima d’ora non avevo mai avuto i mezzi economici per farlo.

Cresciuto nella generazione di Genova, ho sempre coltivato il desiderio di spostarmi. Parafrasando il Massimo Troisi di Ricomincio da tre: sì, sono napoletano, ma non emigrante. Io voglio viaggiare, voglio conoscere… E tutte le volte che ho provato a mettere il naso fuori dalla porta di casa, proprio perché a seguito di contestazioni sociali o riunioni politiche, che erano l’unico modo per spostarsi a prezzi modici, mi hanno sempre riempito di mazzate e ricacciato da dove sono venuto. Motivo per cui, per me, questo viaggio è stato intriso di curiosità, fascino, interesse storico, politico, culturale, ma anche naturalistico. In quindici giorni ho percorso circa 2436,7 km con mezzi di spostamento (bus, taxi particolar, mezzi di fortuna vari), attraversando dall’Ovest all’Est e ritorno l’isola, senza considerare che il contapassi che ho sul mio smartphone ha registrato una media giornaliera di circa 10 km a piedi. Sicuramente, il mio fisico ne ha giovato!

Ma in queste righe non parlerò delle tappe toccate dal mio viaggio, né dispenserò consigli turistici o gastronomici. Non azzarderò elucubrazioni sul cosa mi aspettavo di trovare e sul cosa ho visto. Mi concentrerò, invece, sulla descrizione di alcuni elementi essenziali atti a comprendere meglio – per noi marxisti occidentali legati alla figura eroica e romantica dei vari Fidel, Che, Camillo Cienfuegos – la società cubana ed i mutamenti tuttora in corso. Questo lavoro non pretende di essere esaustivo o di vestire panni che non gli sono congeniali, quali quelli dell’indagine storica o sociologica o propria della scienza politica. Ma proverà a concentrarsi sulla costruzione di una sorta di “lettura introduttiva” al socialismo di Cuba, che non ritengo “perfetto”, ma sicuramente un modello cui continuare ad ispirarsi, in quanto radicale alternativa alla società capitalista. Modello che vi invito a visitare dal vivo, perché va compreso, difeso e rilanciato in ogni angolo della Terra.

Dopo Fidel Confesso di aver impiegato un po’ di tempo ad apprendere il nome del nuovo Presidente del Consiglio di Stato e dei Ministri cubano. Amici e compagni me l’hanno ripetuto numerose volte, ma è come se la mia memoria rifiutasse di scolpire quei suoni. Sarà perché dopo dei giganti come Fidel e suo fratello Raul, diventa difficile trovare personaggi con lo stesso carisma e la stessa popolarità. Poi, una bella sera, mentre ero in alloggio a Santiago de Cuba, ho acceso la tv in camera e ho sintonizzato il canale su Telesur – breve inciso: per chi non conoscesse questo canale satellitare venezuelano, qui può trovare il link: https://www.telesurtv.net/. Ne consiglio viva visione per comprendere cosa sia la libertà d’informazione di cui deficitiamo da tempo in Italia – e ho seguito il notiziario. D’un tratto, è stato fatto un focus su Cuba. D’un tratto, ho letto che il governo socialista aveva approvato l’aumento di salari e pensioni per tutti i cittadini e le cittadine cubani. D’un tratto, ho ascoltato con attenzione le dichiarazioni pacate, ma pronunciate con tono fermo, da parte del nuovo Presidente cubano. E’ così che il suo nome mi è rimasto impresso: Miguel Diaz-Canel. Siamo d’accordo: non è stato un combattente sulla Sierra Maestra, non ha compiuto gesta eroiche espugnando città e guarnigioni con un pugno di guerriglieri. Non è, insomma, l’idea di comunista cubano che noi occidentali possiamo esserci forgiati dalle letture di libri ed articoli o dalla visione di film e documentari, mentre ce ne stavamo comodamente seduti sui nostri divani. Ma Diaz-Canel rappresenta quella scommessa di rinnovamento nella continuità del Socialismo, che Cuba sta intraprendendo con grande audacia e vigoria, svecchiando i gangli dello Stato e del Partito, promuovendo una nuova leva di quadri dirigenti e politici. Guardando al panorama della disastrata sinistra nostrana, credo che ci sia molto da imparare sotto questo, come sotto altri aspetti che proverò ad inquadrare di seguito. Soviet-propaganda Chi ha visitato Cuba sa bene che, in tutto il Paese, non esiste un solo cartello pubblicitario. Niente. Nemmeno uno. Gli unici cartelli che si trovano ad ogni angolo di Cuba, persino nelle contrade più sperdute, sono quelli che commemorano le figure esemplari delle guerre d’indipendenza patriottiche e della Revoluciòn dei Barbudos discesi dalla Sierra Maestra. Molti storceranno il naso a leggere queste righe e diranno: “Ecco qua! Questa è dittatura! Un paese democratico deve poter scegliere quale marca di detersivo poter comprare o quale culo poter guardare in macchina per comprare un deodorante”. Io, invece, dietro questa cosa c’ho letto un altro significato: dietro quei cartelli, quelle scritte sui muri deturpati, quei poster tenuti come altarini ad ogni angolo di strada o dal barbiere o nelle paladar o finanche nelle case più umili, c’è la dignità di un popolo che rivendica con orgoglio la propria storia, che è consapevole di aver scacciato da solo colonialisti e schiavisti, che si è conquistato con le armi in pugno la riforma agraria, l’alfabetizzazione di massa, la salute gratuita. In due parole: la libertà.

Il Che, un ricordo non ossificato dal tempo

Abituato, come sono da quando ero bambino, a vedere in ogni angolo della mia città edicole, ritratti, statue, altari, tempi, senza considerare chiese, madonne, padrepii, crocifissi in aule scolastiche e aziende pubbliche e tutto il resto eretti ad immagini votive delle classi subalterne, sono rimasto colpito dal vedere l’enorme popolarità di cui godono alcuni personaggi emblematici della Revoluciòn: su tutti, Che Guevara e Josè Martì. Se il secondo, che era un grandissimo intellettuale, organizzatore e rivoluzionario, per ben comprensibili motivi viene ritenuto dai cubani l’iniziatore del processo rivoluzionario che 64 anni dopo portò a compimento Castro con i suoi guerriglieri, sul primo la fama e la popolarità sfiorano l’idolatria. E colpisce che uno straniero, come l’argentino Ernesto Guevara De La Serna, abbia così tanto conquistato il cuore dei cubani, che per primi ne hanno pianto l’omicidio in Bolivia e per primi lo hanno santificato, trasformandolo nell’icona stessa della propria storia. Al Che, i cubani hanno eletto la piazza più importante di Santa Clara, quella città a metà del Paese che il Comandante ribelle espugnò con pochissime centinaia di uomini contro migliaia di soldati fedeli al dittatore Batista. Tant’è vero che, oltre al colossale monumento, da cui si accede al mausoleo dedicato ed al memoriale in cui si commemorano il guerrigliero cubano-argentino ed i suoi fedelissimi caduti nella sventurata impresa boliviana, in città si trova un altro luogo di rilievo: il famigerato treno blindato, che venne fatto saltare in aria per impedire l’afflusso di truppe della tirannia e servì sferrare l’attacco decisivo alle forze di Batista. Tuttavia, l’effige del Che si può ammirare in tutta l’Isola. Perché è il santo che il popolo ha eletto a proprio eroe e che benedice quotidianamente la lotta contro il bloqueo imposto dagli Stati Uniti d’America.

Economia ed embargo: come sopravvive la Cuba socialista

Viaggiare ininterrottamente per quindici giorni, spostarsi da un posto ad un altro, mi ha costretto a comunicare con i cubani. Cosa di cui sono stato molto felice, ma verso cui ho provato grande frustrazione, perché mi esprimevo in uno spagnolo stentato (maledetto me che non ho completato gli studi universitari!). Ad ogni modo, ho avuto la possibilità di comprendere moltissime cose dal di dentro del processo rivoluzionario. Chiunque può farlo. Chiaro: sempre a patto che non faccia parte anche tu di quella genia di turisti che va a Cuba per avere un contatto asettico col paese, del tipo: aeroporto-spiaggia-mojito, che ti consente di avere come unico contatto con gli isolani il rapporto cliente-cameriere in qualche attrezzato resort di Varadero. I cubani sono altro. E hanno un grande orgoglio, che è prodotto da un elevato tasso di istruzione media (sono i frutti di un’educazione efficace ed orizzontale, integralmente gratuita dal primo grado all’università), da una fortissima e radicale tradizione di quasi 150 anni di lotta (fra guerre di indipendenza e lotta rivoluzionaria), da una nitida percezione del mondo (semplice, efficace, lineare). Ma l’embargo imposto dagli USA pesa. Anzi, schiaccia. E se sono date per acquisite le conquiste sociali più importanti (piena occupazione, istruzione, sanità e cultura gratuite, politiche sociali avanzatissime persino a confronto col modello occidentale), è vero pure che, dopo la caduta dell’Unione sovietica, Cuba è entrata in un Periodo Especial da cui non è ancora uscita. Emblematico il racconto di Raul, che ho conosciuto a Trinidad ed aveva dieci anni quando c’è stata la Revoluciòn. Dal suo racconto ho imparato tanto del pragmatismo cubano. Qui prima non c’era niente: le strade erano piste di fango, le case era quattro assi di legno, la gente moriva di fame per strada o, peggio, si spezzava la schiena nei campi. Poi, è arrivato Fidel e tutto è cambiato in meglio. Fin quando c’è stata l’URSS la linea era il comunismo di guerra: tutti erano eguali. Nessuno poteva arricchirsi. Qui era dura, perché avevano l’embargo ed erano praticamente al fronte con gli USA. Questo portava anche grande controllo sulla popolazione, anche a causa delle decine di migliaia di azioni terroristiche e di sabotaggi. Il mio amico Raul mi raccontava in particolare dell’operazione “Jaula”, creata da Fidel per stanare, con oltre sessantamila miliziani, agenti della CIA e truppe controrivoluzionarie armate dagli yankee che si erano asserragliati sulla Sierra dell’Escambray. Dopo la caduta dei sovietici, la situazione è precipitata: si sono creati grandi problemi economici. La gente non sapeva più dove acquistare generi di consumo. I salari sono crollati. Come tutto (o quasi) il blocco di paesi socialisti. A Cuba no, però. Perché si sono inventati un modo di sopravvivere. Consapevoli dei nuovi rapporti di forze internazionali, i cubani non hanno tradito i loro principi, che sono solidissimi. Ma hanno attuato una sorta di ritirata strategica, in cui il Paese si definisce, per l’appunto, socialista, in cui tutte le aziende ed i rami produttivi sono nazionalizzati e sotto il controllo proletario, concedendo, tuttavia, delle aperture all’impresa privata. Perché, in un paese che dipende dall’importazione di risorse energetiche e parte importante di generi di consumo, l’unica possibilità di avere un polmone economico era il puntare sul turismo, facendovi crescere attorno un indotto. Quindi, ho trovato finalmente risposta ad un quesito che mi ponevo da tempo: a Cuba esiste la proprietà privata. Ma non supera i limiti concessi dalla legge. Se vuoi aprire un’attività commerciale, puoi farlo. Ma devi pagare le tasse allo Stato, che sono pure alte se il tuo capitale è straniero. Tuttavia, il turismo sta producendo un effetto collaterale, non so fino a che punto controllabile: sull’Isola si sta riproducendo rapidamente una classe media, che sta accumulando capitale. Lo Stato dà degli incentivi all’impresa privata e leggo su Cubadebate.cu che lo stesso Diaz-Canel ha sollecitato tutti i rami aziendali ad uscire dalla passività imposta dall’embargo e creare sviluppo, occupazione ed incentivare la domanda di consumo interno (qui il link all’articolo: http://www.cubadebate.cu/noticias/2019/07/05/llama-diaz-canel-cuba-a-que-el-sistema-empresarial-cubano-aporte-cada-vez-mas-al-desarrollo/#.XSA9jj8zZdg).

Il dilemma della doppia moneta

La formazione di una nuova classe proprietaria, tuttavia, è un fenomeno ancora ai primordi di uno stadio di accumulazione originaria di capitale. A Cuba lo Stato è presente, controlla integralmente ogni ramo della vita politica, economica, sociale, culturale. Il punto critico, però, è un altro: per uscire dal Periodo Especial, che ha prodotto una grave crisi economica nel Paese, accentuato dallo storico blocco dei flussi commerciali imposto da Washington, i comunisti cubani hanno dovuto inventarsi una soluzione estrema. Ossia, l’istituzione di una doppia moneta circolante su territorio nazionale, per prevenire e combattere le politiche di inflazione, il mercato nero e, soprattutto, l’ingresso del dollaro statunitense. Quindi, ai pesos cubani, che sono la moneta utilizzata per pagare i salari alla popolazione e regolarne acquisti e consumi, si è affiancata un’altra moneta convertibile, che viene utilizzata esclusivamente dagli stranieri: il CUC. Al cambio attuale, 1 CUC (grossomodo, l’equipollente di 1 euro) equivale a 24 pesos cubani. Ne deriva che esiste una sproporzione enorme fra la moneta nazionale e quella convertibile. Il che, tradotto in soldoni, vuol dire che chi risiede sull’Isola e riesce ad essere pagato in CUC, aumenta notevolmente il proprio tenore di vita. Beninteso, questo aspetto è calcolato dal governo e, in un certo qual senso, viene addirittura incoraggiato. Lo scrivevo prima: il turismo è attualmente l’unico polmone economico di sostentamento di Cuba, eccezion fatta per l’acquisto a prezzo politico di petrolio ed energia elettrica dal Venezuela bolivariano che rappresenta un vero e proprio scoglio cui aggrapparsi nell’Oceano in tempesta dei nostri tempi. La domanda logica che scaturisce da questa considerazione, per me che economista non sono, è se questo assetto economico non accentuerà delle diseguaglianze economiche fra la popolazione lavoratrice, che campa impiegata in aziende statali, e la popolazione lavoratrice che vive di rendita a spesa del turismo. Certo, lo Stato tassa casas particulares, locali privati ed alberghi. Ma, in un Mondo globalizzato, in cui tutto finisce nell’occhio del ciclone del mercato, la battaglia di idee diviene più che mai strategica. Lotta alla corruzione Sì. Inutile negarlo. Perché foderarsi gli occhi di prosciutto e non vedere le contraddizioni non è costume dei marxisti, ma dei peggiori dogmatici revisionisti. Quelli che poi non sanno dominare i processi storici, ma ne vengono travolti. Queste disparità economiche non hanno prodotto soltanto differenze nel popolo lavoratore, ma anche nei vertici amministrativi, governativi e finanche in alte cariche del Partito Comunista di Cuba. La corruzione esiste. I cubani non lo negano e, anzi, così come sono da sempre abituati a fare, hanno denunciato il problema e lo stanno combattendo col pugno di ferro in ogni settore. Appunto, con quella che hanno chiamato la “battalla de ideas”. Già Fidel ammonì duramente sulle conseguenze che poteva portare un periodo di regresso mondiale. Non a caso, in uno dei suoi tanti memorabili discorsi, in una gremita Università dell’Avana, parlando agli studenti disse che il popolo cubano aveva fatto la Revoluciòn, ma poteva anche farla fallire. Correva l’anno 1987. In quel discorso, Fidel parlò anche della grave corruzione in atto nel Partito comunista sovietico. La storia la conosciamo tutti. L’Unione sovietica non esiste più. Cuba socialista sì e non certo per opera e virtù dello Spirito Santo! Con il solito pragmatismo, così come mi ha spiegato la parlamentare Julia Carola, i compagni cubani dicono che in casa loro ci sono le contraddizioni e che la loro società non è perfetta. Anche perché non esistono, né esisteranno società perfette finchè non sarà abbattuto anche l’ultimo presidio del capitalismo mondiale. Ma la strada è tracciata e, in un’economia pianificata, il PCC ha programmato crescita, sviluppo, aumento di salari e servizi per la popolazione da qui al 2030! Senza mai porre in discussione la dittatura del proletariato cubano, che è impegnato, ad un tempo, contro una rinascente borghesia interna e contro la potenza imperialista più aggressiva al Mondo, che è di stanza a poche centinaia di chilometri dalle proprie coste, nonché nella base militare di Guantanamo, nell’estremo Oriente isolano. Alcuni diranno che la “dittatura comunista” non reggerà a lungo in questa situazione, perché il popolo ormai è “maturo” per una contro-rivoluzione. Purtroppo, costoro ignorano il cosa sia la dittatura della maggioranza sulla minoranza e non immaginano neppure come si costruisca la democrazia diretta in un Paese orgogliosamente e tenacemente socialista.

Il Comitè de Defensa de la Revolucion

Come funziona le democrazia a Cuba? Come fa il popolo ad esprimere la propria opinione? E’ tutto un sistema piramidale che funziona dall’alto verso il basso, in un rapporto fra dirigenti attivi e diretti passivi? Per rispondere a questi quesiti, i comunisti cubani oltre sessant’anni fa si sono messi a studiare un grande intellettuale rivoluzionario italiano, una delle menti più brillanti del XX secolo, che continua ad avere più successo all’estero che non nei confini patri: tale Antonio Gramsci. L’egemonia a Cuba non è frutto di un processo passivo dall’alto verso il basso, ma scaturisce da un processo orizzontale, in cui il basso controlla costantemente l’alto, che, a sua volta, ha il compito di monitorare l’applicazione della volontà popolare. In risposta ai continui attacchi terroristici compiuti dalla CIA e da una non ancora sconfitta borghesia interna, all’indomani della Rivoluzione del 1959, precisamente il 28 settembre 1960 (data di un’apposita festa nazionale) Castro chiamò il popolo a raccolta ed istituzionalizzò delle strutture di base sorte nei giorni della lotta armata come nuovo organismo di funzionamento della democrazia diretta. Il Comitè de Defensa de la Revoluciòn – l’adattamento locale ai Soviet leninisti – è un’organizzazione di base, presidio di una vigilanza rivoluzionaria collettiva, presente in ogni quartiere ed in ogni angolo del Paese, che organizza ed amministra la vita civile. In ogni CDR esiste una Casa de Guardia, cioè una struttura fisica (un’abitazione, una serranda, un negozio, ecc.) dove si concentra la direzione di base. Oltre la Casa de Guardia esistono altre strutture collaterali di basilare importanza nel CDR: Il Consultorio, in cui sono di stanza permanentemente un medico ed un infermiere h24. Di fatti, la medicina cubana non è di emergenza, ma di prevenzione e la salute della popolazione è una priorità nazionale; la Casa di approvvigionamento alimentare di base (tienda); il Comitè de defensa civica (con compiti militari). I CDR sono il cuore della Revoluciòn, perché organizzano costantemente la vita sociale della popolazione. Il lavoro dei cidierristi si esplica in forma integralmente volontaria ed investe differenti rami: dalla costruzione di opere pubbliche alle giornate di donazione dei sangue. Per i veterani esistono anche delle forme di premialità, con viaggi studio e riconoscimenti pubblici che danno grande lustro nella propria comunità di appartenenza. Lo sviluppo di queste strutture di base è progressivamente aumentato nel tempo. Ad oggi, i CDR a Cuba sono 135519 con una copertura di 17450 zone. Di fatto, sono l’organizzazione di massa più importante, accanto al sindacato, alla federazione delle donne, alle organizzazioni di studenti ed intellettuali, all’Unione della Gioventù Comunista. Ode all’internazionalismo proletario I cubani non se lo lasciano dire due volte. Soprattutto, quelli della vecchia guardia, gli anziani. Essere rivoluzionari vuol dire essere internazionalisti. E devi sentirli quando ti parlano infuocati della Legge Helms-Burton (in questo link, propongo un approfondimento: http://www.pisorno.it/cuba-legge-helms-burton-lembargo-continua/) , che Donald Trump vorrebbe applicare fino in fondo per strangolare definitivamente Cuba socialista. L’imperialismo va combattutto in ogni dove. E’ per questo che oltre 40 mila cubani partirono volontari in Angola per sostenere la lotta di quel popolo contro l’imperialismo sudafricano. I solito agenti della CIA dicevano ai loro governanti yankee che i soldati cubani non erano preparati per affrontare uno scontro di tale intensità. Infatti, i cubani non ci misero molto a vincere le resistenze delle truppe boere, spalleggiate dagli imperialisti nordamericani. Perché, com’è noto, per Washington Castro e la sua Rivoluzione dovevano cadere in poche settimane. E sono trascorsi appena sessant’anni. E che dire della Mission Milagro in Venezuela? L’internazionalismo i cubani lo praticano anche mettendo a disposizione in decine di paesi poveri del Mondo la propria eccedenza di medici per fornire l’accesso alla salute primaria a milioni di persone. E vogliamo parlare dell’Università cubana, che mette a disposizione di tutti i giovani del Caribe e dell’America latina gratuitamente i propri corsi di laurea? D’altra parte, fu il cubano Martì a teorizzare il sogno della Nuestra America, il condottiero Bolivar a tentare di costruirla con la sciabola in pugno e l’argentino Che Guevara a morire combattendo con quell’utopia di internazionalismo rivoluzionario. Tutta gente il cui nome, da queste parti, prima che in targhe e monumenti, è scolpito nella testa e nel cuore delle persone.

Difendere Cuba senza se e senza ma

In questo articolo ho cercato di affrontare alcuni nodi che, come scrivevo in premessa, sono stati sullo sfondo del mio viaggio a Cuba. Non ho la presunzione di dire di aver conosciuto o capito tutto. Né ho lesinato di parlare degli aspetti più controversi. Ma posso sicuramente dire che, realizzando un sogno che avevo nel cassetto da tempo immemore ho trovato risposta a tante domande. Ho vissuto come una frustrazione il non saper padroneggiare una lingua straniera, perché le conversazioni erano interessantissime. I cubani sono altamente istruiti ed informati di ciò che accade nel Mondo e si impara molto anche semplicemente ascoltandoli. Va bene: parlano velocemente e, a volte, anche un orecchio allenato può fare fatica mentre si mangiano lettere e parole intere. Ma ti aprono un mondo di sapere e, se superi quella naturale diffidenza che hanno dopo decine di anni di barricate, ti accolgono come se fossi parte della loro famiglia. Certo, buona parte della popolazione, a distanza di sessant’anni dall’ingresso dell’Esercito ribelle dell’M-26-7 a L’Avana, vive in modo distaccato quegli eventi. Ho percepito una certa sensazione del dare per acquisite alcune conquiste sociali, che noi non immaginiamo neppure in questo momento storico. Così come ho notato serpeggiare una sorta di “sogno americano”, vale a dire l’inseguimento di un utopico “benessere” economico che alcuni cubani pensano che si viva in Occidente. Ma questo “sogno” è un incubo e ho provato a dirlo a coloro che mi hanno palesato questa fascinazione. Per capirlo, non bisogna compararsi con gli USA, ma con Haiti, isola limitrofa a Cuba, in cui la gente muore per strada di inedia, droga o trucidata in sparatorie fra bande criminali armate, guarda caso, sempre dalla CIA. Mi sono ripromesso di imparare meglio lo spagnolo e tornare, prima o poi, a Cuba.

Ho ancora tantissime cose da vedere e da capire. Ma mi sento rigenerato da questo viaggio, nel fisico e nello spirito rivoluzionario. Noi viviamo in un paese a capitalismo avanzato e se lì hanno problemi con le infrastrutture di base o l’approvvigionamento energetico (che comunque riescono a soddisfare, arrangiando con le soluzioni più creative), qui abbiamo problemi di altro tipo: facciamo i conti con la crisi economica del capitalismo, c’è la disoccupazione di massa, abbiamo il problema della xenofobia e lasciamo morire gli esseri umani in mezzo al Mediterraneo. Problemi cui dobbiamo trovare una risposta radicale e non una soluzione riformista, che spianerebbe solo la strada ad un nuovo fascismo ed alla guerra. Parlando con la direttrice di una scuola primaria all’Avana vecchia, le chiedevo se a Cuba hanno il problema della dispersione scolastica. Lei mi ha risposto con uno sguardo orgoglioso: tutti i bambini vanno a scuola, che è obbligatoria fino ai diciotto anni. Lo Stato fornisce libri, pasti, uniforme. Se un solo bambino nella comunità non va a scuola, la scuola chiama la famiglia e la multa anche se non consente al proprio figlio di studiare. E’ così che i cubani hanno vinto l’analfabetismo. Motivo per cui riescono a generare a getto continuo artisti, atleti, operai, scienziati, politici. Questa direttrice mi ha chiesto come sia possibile che in Italia, paese a capitalismo avanzato, avessimo il problema della dispersione scolastica. Me l’ha chiesto con un tono sarcastico, come a volersi prendere la rivincita di un paese considerato del “terzo mondo” sul primo. Io le ho detto la verità, che è sempre rivoluzionaria: nel nostro Paese la ricchezza è concentrata nelle mani di un’oligarchia, non nelle mani del popolo. Lei ha annuito, perché ha capito che siamo dalla stessa parte. E mentre osservavo il suo sguardo fiero, che è lo stesso che ho visto in tutti gli occhi di questa gente che ho incontrato in questi giorni, ammiravo alle sue spalle un cartellone gigante fissato alla parete d’ingresso della scuola primaria “Machado Rodriguez”. Su di esso c’erano scritte parole come: “internazionalismo, solidarietà, patriottismo, dignità, giustizia, responsabilità”, che ruotavano intorno al volto del Comandante Che Guevara.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*