Gli aranci di Tadeusz di Barbara Serdakowski

Maria Cristina Mauceri ( Università di Sydney ).

La scrittrice di origine polacca Barbara Serdakowski è soprattutto nota come autrice di poesie che riflettono la sua formazione plurilingue, infatti è nata in Polonia, ma ha vissuto in diversi paesi: il Marocco, il Canada, Haiti e il Venezuela, prima di stabilirsi a Firenze. Recentemente ha pubblicato il romanzo Gli aranci di Tadeusz (Roma, Ensemble 2008) e mi fa piacere dedicare quest’ultima recensione a un’opera ambientata nell’isola del presidente di MONDITA.

Gli aranci di Tadeusz tratta il tema della migrazione ma – questa è un’interessante novità – non è ambientato nell’epoca contemporanea. Anche se non è specificato a quando risalga la decisione di Tadeusz, il giovane protagonista del romanzo, di lasciare la Polonia ed emigrare in Sicilia, si intuisce che siamo all’incirca negli anni sessanta.

I racconti di un anziano parente di origine siciliana della fidanzata Halina avevano acceso la fantasia del giovane sulle meraviglie di quest’isola, “di quella terra benedetta dal sole e dagli aranci, terra di abbondanza e di passione”(p.84). Inseguendo il sogno di poter un giorno vivere in Sicilia con Halina, Tadeusz lascia la Polonia per trasferirsi prima a Messina e poi a Cozzo Collura un piccolo paese del siracusano dove trova lavoro accudendo un anziano.

Quando questi muore, Tadeusz entrerà per caso in possesso di un tesoro nascosto sotto un arancio che gli consentirà di comprare la tenuta del vecchio e finalmente realizzare il suo sogno, però senza Halina. Tuttavia prima che il suo percorso migratorio giunga a una conclusione positiva, Tadeusz dovrà sperimentare la solitudine, la nostalgia e la diffidenza dei siciliani in un’epoca in cui gli stranieri erano ancora una rarità. Il sogno o chiamiamola anche speranza – si chiamavano “viaggi della speranza” quelli che tanti, italiani e non solo, hanno intrapreso nel passato e intraprendono ancora oggi – è quello che anima tanti a lasciare il proprio paese e li aiuta ad affrontare le difficoltà che ogni spostamento comporta.

Il titolo, Gli aranci di Tadeusz, fa riferimento all’aranceto dove Tadeusz troverà nascosto il tesoro che gli cambia la vita. Come è noto, gli alberi sono un simbolo polivalente sia di rinascita sia di appartenenza. Quell’appartenenza che Tadeusz sente di aver perduto quando, ormai ricco, fa ritorno in Polonia e scopre che Halina non ha saputo attenderlo, perché nel frattempo si è sposata.

Così il giovane polacco fa l’amara esperienza di sentirsi straniero in patria. Riprendendo il concetto del sociologo algerino Abdelmalek Sayad si può dire che Tadeusz si sente ovunque “fuori luogo”, vittima di una “doppia assenza”, ovvero quella dalla sua patria, e poi quella dalla società chiusa dove ha scelto di vivere che non lo sa accogliere.

Serdakowsky ha descritto con grande sensibilità questa situazione e come gli autoctoni recepiscano e tendano a respingere lo straniero che arriva a casa loro. Ci sono tuttavia dei momenti in cui l’indifferenza e la diffidenza verso lo straniero vengono seppur temporaneamente superate, in particolare quando entra in gioco la sfera sessuale. Tuttavia non si tratta mai di rapporti paritari solo di un soddisfacimento fisico con “l’altro” che agli occhi degli autoctoni appare un oggetto di desiderio.

Tadeusz abbandona il primo posto di lavoro per evitare uno sgradito ménage a trois che gli viene proposto dal suo datore di lavoro. Mentre in seguito una siciliana, neanche tanto giovane e neppure attraente, non esita a imporgli un rapporto sessuale, insomma per alcuni italiani esotico coincide con erotico. Tutto il romanzo è raccontato dal punto di vista di Tadeusz e questo punto di vista mette il lettore davanti a uno specchio in cui può vedere riflesse strutture mentali e psicologiche, non solo individuali ma anche collettive, con cui gli italiani guardano e recepiscono gli stranieri. 

Seppur diverso Gli aranci di Tadeusz di Serdakowski mi ha fatto pensare a un bel racconto di Pirandello “Lontano”, in cui un marinaio norvegese, Lars Cleen, approda contro la sua volontà, perché malato, a Porto Empedocle e seppur accudito da un siciliano è oggetto di ostilità e dei pregiudizi da parte degli autoctoni. Anche lui, L’arso, come lo chiamano i siciliani, storpiando il suo vero nome, non riuscirà più a rientrare nel suo paese, e neanche il matrimonio con una siciliana faciliterà il suo inserimento. Il polacco invece torna in Sicilia per scelta e decide che nell’isola vuole continuare a vivere, anche se, come Lars, il matrimonio con una siciliana non lo rende felice.

Nel romanzo c’è un’immagine che, quasi come un motivo conduttore, ricorre spesso ed è molto intrigante. Essendo in corsivo si intuisce che la scrittrice vuole darle particolare rilievo. Si tratta di un cane giallo e randagio che appare ogni tanto. A volte è timoroso e sottomesso, una condizione con cui Serdakowski probabilmente allude alla situazione di Tadeusz, specialmente in Sicilia, per cui il cane potrebbe essere un suo doppio.

Nello stesso tempo però l’animale a volte si rivela violento, morde il giovane, e qui affiora anche un ricordo dell’infanzia di Tadeusz quando la madre, donna infelice e nevrotica che finisce suicida, gli mordeva la mano per punirlo. Insomma questo misterioso cane giallo è un simbolo polivalente, evidenzia la vulnerabilità di Tadeusz. Quando alla fine lo fa abbattere, si capisce che ormai si è liberato dai fantasmi del passato e dalle sue paure e si è finalmente stabilizzato in Sicilia.Come ho già accennato, Serdakowski è di origine polacca, ma nel corso della sua vita ha vissuto in paesi diversi; da queste esperienze di vita nasce il pluringuismo che è la cifra stilistica delle sue composizioni poetiche.

Anche Gli aranci di Tadeusz è un testo plurilingue, particolarmente interessante, perché oltre all’italiano, i dialoghi in Sicilia sono spesso in siciliano, che è la lingua che Tadeusz vivendo in un paesino apprende. Quando rientra temporaneamente in Polonia, ci sono nel testo anche alcune frasi in polacco. A proposito dell’uso del siciliano fa piacere vedere come Serdakowski non sia caduta nell’ingenuità di alcuni scrittori – mi riferiscono specialmente agli italiani – che fanno parlare i personaggi stranieri in un italiano, scorrevole e corretto, che come ben sappiamo, non corrisponde quasi mai alla realtà migratoria.

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