Le confessioni di Duska Kovačević

di Maria Cristina Mauceri  ( Università di Sydney ).   ­

Duska Kovačević aveva esordito più di dieci anni fa, nel 2007, con il romanzo L’orecchino di Zora che le era valso il premio Eks&Tra. Ricordo che il libro mi aveva colpito, in particolare perché trattava in modo originale problematiche collegate al mondo del lavoro, in particolare dei migranti che, giunti in Italia desiderosi di migliorare le loro condizioni economiche, sono spesso sottoposti a condizioni di sfruttamento.  Ma avevo trovato particolarmente interessante il modo in cui l’autrice aveva elaborato il tema del cibo per caratterizzare da  punti di vista  diversi i due protagonisti, una coppia bosniaca. Per evitare che il marito perdesse il lavoro, la giovane moglie aveva ceduto agli appetiti sessuali del proprietario della fabbrica dove lavoravano. Divorata dai rimorsi nei confronti del marito, aveva iniziato a rinunciare al cibo e a perdere peso. In tal modo cercava una purificazione simbolica  e asseriva il controllo sul suo corpo. L’uomo invece, addolorato per il deperimento della moglie, tendeva ad abboffarsi, poiché il cibo, in particolare il pane, era per lui un modo per calmare la sua pena, ricordare il suo paese e il passato. L’orecchino di Zora era  un romanzo scritto con uno stile semplice ma efficace che si concludeva in modo positivo perché la coppia riscopriva l’armonia che aveva caratterizzata il loro rapporto.

Dopo un esordio promettente, ero curiosa di leggere il nuovo libro di Kovačević, che nel frattempo ha scelto di dedicarsi alla poesia pubblicando  in pochi anni tre raccolte. A me interessa però il nuovo testo in prosa: Questo è quanto,  pubblicato alla fine del 2017 dalle edizioni Il Gattaccio.  Non è un romanzo anzi è difficile definirne il genere di appartenenza. Lo definirei  un testo autobiografico fiume, (manca completamente la divisione in capitoli), una confessione scritta con un ritmo serrato e una impietosa analisi della  vita dell’autrice.

Mi ha colpito l’alternanza di registri. Un tono aulico, (a volte anche un po’ troppo) caratterizza diverse pagine, in particolare quando l’autrice descrive la natura e il suo grande amore per la poesia.  Ma poi, quando deve esprimere la  delusione e l’irritazione nei confronti di persone di entrambi i generi che l’hanno delusa,  non esita a scivolare in un registro colloquiale e a volte volgare. Il che dimostra senz’altro l’ottima padronanza linguistica di Kovačević, ormai in Italia da molti anni, e  la sua necessità di dare sfogo a sentimenti negativi, ma questa alternanza di stili ha un effetto spiazzante sul lettore.

Certamente è interessante come l’autrice sottoponga se stessa e le sue scelte a un’analisi acuta e  impietosa, sapendo criticare con sincerità, non solo gli altri che l’hanno ferita ma anche se stessa. Il testo è ambientato prevalentemente in Italia, ci sono tuttavia anche riferimenti alla sua esperienza nel paese di origine,  che sono interessanti perché rivelano un vissuto doloroso su cui l’autrice grazie ad una scrittura introspettiva cerca di riflettere anche per ricostruire la sua esistenza.

 

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