Lessico Familiare interetnico di una Ragazzina

di Shata Diallo.

In quei rari momenti di bisogno di ordine, sistemando un armadio, trovo un tema datato “Roma, 22 Marzo 2010”. Alcuni passaggi sono poco chiari, la forma sintattica non è perfetta. È il tema di una ragazzina, e si vede. Ma quelle parole, pensate e scritte otto anni fa, risuonano nella mia mente, rimbombano, attuali come non mai. Ho deciso di trascriverle, proprio così come le scrissi otto anni fa, senza cambiare una parola e nemmeno una virgola. Queste, le parole di una ragazzina e la morale di un’intera società.

Io, allora sedicenne e studentessa di quarto ginnasio, ancora una bambina, ingenua e sincera, di fronte ad un tema per il corso di italiano che richiedeva di raccontare una storia vera con una morale sociale, racconto la storia di mio padre, e anche un po’ la mia.

Roma 22 marzo 2010

Tutto iniziò circa 18 anni fa, all’Aeroporto di Fiumicino. L’altoparlante avvisava dell’arrivo al B13 di un aereo da Abidjan, Costa D’Avorio. Un uomo nero come la pece con uno zaino in spalla usciva dalla porta scorrevole senza aspettare di ritirare le valigie, poiché non ne aveva. Fuori tante persone ad attendere gli arrivati: bimbi, fidanzati con i fiori, genitori. A lui, però, non lo aspettava nessuno. Chiedendo un po’ in giro e documentandomi sull’uomo, i suoi primi anni a Roma furono ignoti. È certo però il motivo per cui era fuggito dal suo paese: era alla ricerca della felicità e la speranza di trovare uno stile di vita più accogliente.  I ricordi riprendono un paio di anni dopo: Roma, erano le ventidue, un locale, una festa. Due sguardi si intrecciarono: lei magra, bionda e di carnagione chiarissima. A quanto pare, subito scoccò la scintilla. Proprio come un colpo di fulmine. Due anni dopo, lei 35 anni, lui 30, si sposarono in comune.  La vita per lui non fu mai molto semplice: essere accettato dalla famiglia di sua moglie, trovare un buon lavoro, riscattarsi, riuscire ad ottenere tutto quello che mai aveva avuto. I due sposi tiravano avanti, lei con un buon impiego, lui facendo lavoretti qua e là.

Poco dopo, nell’autunno del ‘94 nacque una bambina tanto attesa. Era mulatta, tutta ricciolina e che già nel momento della venuta al mondo erano aperti. La chiamarono con un nome particolare, di significato: Speranza.  Lui infondo, aveva continuato ad andare avanti a denti stretti, con i paraocchi ed i tappi alle orecchie. Come quando al concerto di Madonna lo avevano scambiato per un bodyguard. Ma lui continuava a credere nei suoi sogni, nelle sue speranze e cercava di eliminare dalla gente ogni pregiudizio nonostante dopo il matrimonio era ormai cittadino italiano.  Un giorno la donna chiamò l’uomo disperata raccontando che in classe avevano rotto gli occhiali alla figlia perché era “negra” e per lo stesso motivo alcuni genitori si erano lamentati perché “quella” aveva voti più alti dei loro figli. Cercò di allontanare quei pensieri che ferivano il suo orgoglio e la intristivano. Adesso aveva bisogno di essere forte. Lui, si sentiva colpevole del destino di quella famiglia.  Era colpa sua se la figlia era nera, se anche lei era destinata a discriminazioni e molestie per tutta la vita. Ma ora doveva dimostrare di essere forte, di essere più forte.  Così parti per la Francia alla ricerca di serenità e di un lavoro migliore. Il saluto fu straziante, tra le lacrime lui si ritrovò, come 15 anni prima, in aeroporto senza nessuno che lo aspettava o lo accompagnava.

Tra alti e bassi entrambi sono riusciti ad andare avanti.

Forse la storia è confusa e lascia molti interrogativi, come nella vita di ogni persona ci sono episodi che forse è meglio dimenticare e abbandonarli nel profondo di noi stessi. Forse questa storia aiuta a pensare alle conseguenze della discriminazione, alla fragilità umana ed al lungo percorso che serve ad ognuno di noi per rinvigorirci.

Ora la ragazza ha 16 anni, come ha imparato dal padre, evita di essere influenzata da ciò che di brutto la circonda, ma senza paraocchi o tappi alle orecchie.

Questa storia, vera, forse ha una piccola morale: ognuno di noi deve essere capace di combattere e di perdonare, di non arrendersi mai perché il bello della vita sono tutte le emozioni che essa provoca, belle e brutte, e lo scopo è quello di riuscire a gestirle nel modo migliore.   Shata Diallo”

Questa è la vera storia della mia famiglia, anime integrate in una società che a volte non ci ha voluti.

 

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