Merluzzo Stoccafisso e Baccalà

di Patrizia Borghetti.

Quando le giornate cominciavano ad accorciarsi non so perché ma per mia madre arrivava il momento  di mettere a bagno il Baccalà. Almeno un paio di giorni di rubinetto aperto con un filo d’acqua che scorreva sul Merluzzo conservato sotto sale e acquistato al mercato.

Per noi bambini iniziava il naso storto di fronte a quel pesce  maleodorante che nemmeno le erbette aromatiche, usate per condirlo,  riuscivano a coprire. Ma era anche il momento dei racconti di mio nonno Luigi, emigrato bambino ai primi del Novecento dalla Lucchesia a Chicago passando per Ellis Island. Ci raccontava del “pesce veloce del Baltico” che nuotava per giorni partendo dall’Isola di Terranova  abbandonandosi alla corrente del Golfo per poi costeggiare  l’Europa e approdare nei fiordi della Norvegia. Ci incantava e ci distraeva e noi bambini buttavamo giù bocconi di baccalà cotti in padella con pomodori e patate: uno dei tanti modi per cucinarlo, ho scoperto in seguito viaggiando.

In Portogallo, ad esempio,  dove il Bacalau è piatto nazionale, hanno inventato ben 366 modi per cucinarlo, uno al giorno per tutto l’anno più uno di fantasia. Pare  che siano stati proprio i pescatori baschi a trovare come conservare il merluzzo che periodicamente e in abbondanza trovavano nelle loro reti. Così il merluzzo ha preso il nome di  baccalà se conservato sotto  sale  e di stoccafisso (stock ovvero legno e fish) se fatto essiccare.

Ma allora come mai in Italia le ricette più conosciute di merluzzo sono alla Trevisana, alla Veneziana, alla Padovana, alla Livornese?

La risposta spetta alla storia o meglio al Concilio di Trento quando uno dei prelati lì riuniti, l’arcivescovo  Olaf Manson detto il Norvegese, trovò come abbinare commercio e religione.

Ci aveva già provato un commerciante veneziano, Pietro Querini, ad importare il merluzzo dalla penisola scandinava ma con scarso successo perché a Venezia  preferivano  il pesce dell’Adriatico e perché per la gente dell’entroterra era ritenuto costoso.  Finché è arrivato  Olaf  a fare la fortuna del merluzzo che  si prestava bene a coniugare l’esigenza  affermata nel catechismo della Controriforma di mangiare magro (tipo digiuno)  e bianco (simbolo di purezza)  almeno un giorno alla settimana .

Da qui la fortuna del Merluzzo in versione salata o essiccata, comunque ottima per introdurre l’usanza del “venerdì, pesce”.

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