Ogni riccio è una Pecora Nera

di Shata Diallo.

È passato un anno, ormai, dal giorno in cui ho deciso di non stirarmi più i capelli.

Appena nata avevo i capelli così lisci che quasi sembravo asiatica, e fino al primo anno di vita questi non volevano crescere. Un giorno mio nonno mi portò dal barbiere e decise di farmeli tagliare a zero. Da quel momento una folta chioma riccia ha sempre tempestato la mia testa.

Quando ero piccola, mia madre passava ogni domenica a pettinarmi (o meglio, districarmi) i capelli tra i miei pianti ed urla di dolore. Le spazzole di legno mi rimanevano incastrate in testa ed a volte si spezzavano tra i capelli: forti, robusti, ricci, impenetrabili. I miei capelli erano resistenti, ma non ai pidocchi. Andavo a scuola con treccine strette ed una bandana in testa, sperando di scongiurare l’incubo di quei maledetti animaletti difficili da sconfiggere. Eppure i pidocchi sono arrivati, e non una volta sola. Ricordo i brividi quando sentivo il rumore della spazzolina elettrica e della spuma antipidocchi: erano approdati, ed i miei ricci così crespi ed impenetrabili li custodivano quasi con amore.

Ricordo gli odori delle creme per i capelli, erano dolci e le confezioni riportavano bambine nere come me: erano prodotti americani, creati appositamente per il trattamento e la cura di ricci “afro”.

I saggi di danza erano un incubo sia per me che per le parrucchiere: le bambine venivano pettinate con acconciature eleganti e sincronizzate che si muovevano tutte attorno alla testa. I mie capelli, un po’ come me, erano indomabili, diversi. Alla fine, era mia madre a dovermi pettinare a casa con tanta lacca e cera, e con la speranza che potessero sembrare un più più simili a quelli delle altre bambine, meno ricci.

Quando andavo dal parrucchiere chiedevo sempre di farmi fare la piega, mi mettevo in piedi sulla sedia per vedere quei ricci che pian piano si allungavano e nel mio cuore uno sprigionarsi di soddisfazione.

Durante un esperimento svolto nel 1974, a bambini dai tre ai cinque anni furono presentate due bambole bianche e due nere, una di ciascun sesso, identiche in tutto tranne che nella tipologia degli abiti e nel colore della pelle per le quali dovevano indicare la tipologia di preferenze. Dall’analisi dei risultati emerse che le preferenze dei bambini piuttosto che sull’etnia di basavano sul genere: tendevano a preferire quindi una bambola del loro stesso sesso valutandola positivamente ma non tendevano a fare una valutazione negativa delle altre. Per ottenere maggiori informazioni venne cambiato più volte l’esaminatore ed in questo caso emerse che i bambini rispondevano nel modo socialmente desiderabile che ritenevano atteso dal loro esaminatore in riferimento al genere ed all’etnia. I bambini sono infatti consapevoli degli stereotipi che gli altri possiedono. L’età sembra contribuire molto all’influenza legata a gruppi differenti: in età precoce i bambini tendono a conformarsi agli stereotipi che percepiscono intorno e raramente poi riescono cognitivamente a cambiare prospettiva.

A dieci anni sono entrata per la prima volta nel parrucchiere africano di Via Giolitti, a Roma Termini. In quel posto, conoscevano la vera magia per farmi sentire più uguale a tutte le mie amiche: il tiraggio chimico. Questo è un trattamento che, in modo permanente, alliscia i capelli, e che richiede un ritocco solo sulla ricrescita, un po’ come la tinta. Erano sempre crespi, si, ma erano lisci. Potevo permettermi un taglio a caschetto ed addirittura una frangetta para. Crescendo ho scelto di diminuire il tiraggio, fino a trattarmi i capelli per renderli mossi.

Una pecora nera, in mezzo ad un gregge di pecore bianche, è appariscente anche se non vuole, è evidente, è diversa. Una pecora nera, se potesse tingersi di bianco, lo farebbe subito.

Ogni quattro mesi ho messo piede in quel parrucchiere, uscendo con la stessa soddisfazione nel cuore che sentivo sin da bambina nel lisciarmi i capelli.

Un anno fa, invece, sono entrata in quel luogo che fa magie, ed ho deciso di non farmi più il tiraggio. Ho deciso che quello sarebbe stato il primo passo per accettare me stessa. I miei ricci hanno cominciato a crescere, ed invece di allungarsi hanno iniziato ad accorciarsi: i capelli crespi e ricci, infatti, crescono in volume, non in lunghezza. Guardarmi allo specchio e vedere quasi una persona diversa, non sapere più quali prodotti scegliere per trattare i capelli, dormire e trovarmi con i ricci schiacciati, in autobus sentire mani di sconosciuti nei capelli, perché “non hanno potuto resistere”; lo ammetto, all’inizio è stato un po’ uno shock. Ero tornata una pecora nera, e forse era più evidente nella mia anima che agli occhi degli altri. Ogni volta che cammino per strada e mi passa davanti una ragazza riccia come me ci sorridiamo, quasi a voler condividere il supporto, la stima, il senso di coraggio per un atto apparentemente superficiale.

Un altro test, l’Implicit Association Test, il quale valuta le associazioni implicite e quindi non consapevoli che facciamo di fronte alle differenze etniche, ha fatto emergere che ho una preferenza per la razza bianca che per quella nera.

Io sono mulatta, ma alla fine sono un prodotto della società occidentale.

Cambiare prospettiva è difficile, e sentirsi una pecora nera, per alcuni, una vergogna. Ma alla fin fine, la pecora nera non è poi così diversa da quella bianca: la possibilità di crescere, di cambiare, di apprezzarsi è sempre una scelta coraggiosa.

Ciò che differenzia la pecora bianca da quella nera risiede nella magia: la cruda soddisfazione che esplode nel cuore nel guardarsi allo specchio ed amarsi per ciò che si è.

 

 

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*