Pedagogia fra Primo Levi e Paulo Freire

di Renato Volterra.

Il nostro paese, l’Italia, è in pericolo, l’Europa è in pericolo” questa frase l’ho sentita ripetere più volte durante alcuni dibattiti televisivi, da illustri intellettuali, uomini di fede, politici, filosofi.“Perché?” Chiede il conduttore e la risposta è sempre la stessa: “Perché se si smarriscono i limiti, se si continua ad accusare” l’altro” di tutto ciò che non funziona; se si perde la ragione e la capacità di vedere nel prossimo noi stessi, insomma se rinunciamo ad essere e riconoscerci umani, rischiamo di finire nel baratro della guerra”.E una risposta che ghiaccia il sangue eppure a moltissimi connazionali, cittadini d’Europa come noi, pare non sortisca alcun effetto. A me sembra di rivivere qualcosa che hanno raccontato i miei parenti perseguitati durante il nazifascismo: “Noi non pensavamo che sarebbe stato possibile quello che è accaduto”.Primo Levi invece l’ha raccontato, per mettere in guardia le future generazioni e con il suo monito ci ha voluto avvertire che la Bestia non è morta, che tutto potrebbe accadere di nuovo. Speriamo che questi avvertimenti sortiscano qualche effetto, che si riprenda il filo di un ragionamento e non si lasci tutto nelle mani di chi potrebbe decidere il peggio.Ho esordito con questo discorso perché anche in una delle mie Classi 3° Elementare a Roma abbiamo avuto esempi di razzismo e prevaricazione che probabilmente qualche tempo fa non sarebbero mai accaduti: si è insinuato nel linguaggio e nei comportamenti un modo scellerato di comunicare anche tra i più piccoli. I nostri figli sono permeabili ai discorsi degli adulti e loro riportano e mettono in pratica, nella loro socialità, i modelli appresi dai più grandi, dai media, da quello che sentono in giro. Ed è questo ad allarmarmi maggiormente, perché nonostante i programmi , le pratiche e i discorsi fatti negli anni precedenti non si è sviluppata una risposta immunitaria alla inciviltà. La Scuola in generale in questo momento è tartassata da una pioggia di problemi e polemiche che la costringono ad occuparsi di altro. La cronica mancanza di fondi, le eterne beghe burocratiche e le mille riforme che si sono sovrapposte hanno demotivato e tolto ai più ”il piacere” di fare scuola con la S maiuscola, questo è sicuramente un segnale orribile vista la situazione e l’avvicendamento di nuove leve di insegnanti che non avranno la possibilità di conoscere una scuola che era fatta di passione, entusiasmo e impegno così come l’ho conosciuta qualche tempo fa.

Per questo mi sono permesso di parafrasare il libro di Paulo Freire, “Pedagogia degli oppressi” proprio perché ora più che mai c’è bisogno di impegno verso i più deboli, gli ultimi, gli oppressi appunto, per ritrovare noi stessi e la nostra umanità.

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