di Maria Teresa Benanchi.
Accogliere, proteggere, promuovere e integrare, questi sono i quattro verbi indicati da Papa Francesco durante il 6° Forum Internazionale Migrazioni e Pace che si è tenuto a Roma lo scorso febbraio; verbi fondamentali sui quali fondare la gestione del fenomeno migratorio, necessari da seguire per chiunque abbia a che fare con ciò ma ancora di più per la politica.
Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali. Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa.
Il secondo verbo, proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio. Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale. Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono.
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore. Tra queste dimensioni va riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa. Molti migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate.
L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini». Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi. Mi preme sottolineare il caso speciale degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione a causa di crisi umanitarie. Queste persone richiedono che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio e programmi di reintegrazione lavorativa in patria.
La conclusione del Forum è stata sintetizzata in un documento sui punti fondamentali da seguire per una buona accoglienza:
1) garantire l’housing, ossia assicurarsi che immigrati e rifugiati possano avere accesso alla proprietà della casa, senza dover vivere in alloggi sovraffollati e fatiscenti che non fanno altro che aggravare povertà e miseria;
2) imparare la lingua del Paese che li accoglie, promuovendo l’accesso alla formazione nel sistema scolastico pubblico in particolare ai bambini;
3) formare all’inserimento lavorativo per sopperire alla mancanza di competenze e permettere agli immigrati di guadagnarsi un salario equo. Tali programmi di formazione, spiega il documento, dovrebbero essere offerti dalle imprese e dai governi;
4) integrare dal punto di vista socio-culturale nella comunità, offrire quindi programmi di orientamento culturali nelle comunità locali, con il coinvolgimento di chiese, gruppi senza scopo di lucro e imprese. Spesso gli immigrati non sono a conoscenza delle leggi, dei loro diritti e delle pratiche comunitarie, ma neanche della storia e delle tradizioni locali. Tutto questo rende difficile un’integrazione completa.
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