di Shata Diallo.
Sono in treno e sfreccio tra le campagne italiane. Non amo particolarmente la campagna, ma quei panorami italiani, ogni volta, li sento miei.
Alle orecchie ho le cuffiette, quelle nere che non abbandono mai, e che prima di uscire sono prioritarie come le chiavi di casa. Ascolto un po’ di tutto, adoro i suoni, i ritmi, le voci. Sono stonatissima ma amo cantare a squarciagola, e quando ascolto qualcuno cantare mi chiedo come mai, questo dono, io non ce l’ho mai avuto. Ma una cosa la so fare da sempre: muovermi a ritmo. Adoro ballare, ovunque ed in qualsiasi modo, quando sento la musica, anche se sono da sola, il mio corpo inizia a muoversi ed io mi sento libera e felice.
Guardo fuori dal finestrino con la musica nelle orecchie e sorrido. Penso a tutte quelle volte in cui mi sono scatenata, mi sono lasciata andare, tutte quelle volte in cui ero a tu per tu con il mio sangue, con il mio DNA, con una delle cose che amo di più al mondo: il ritmo. Lo sapevano tutti che avrei avuto molto senso del ritmo, lo sapevano, da prima che io nascessi, lo sapevano, perché il mio sangue è africano.
Il treno si ferma, spengo la musica e ripongo le cuffiette nello zaino. Mi fermo anche io. Sangue africano? Ma ne sono proprio sicura? La mia passione per il ritmo, in realtà, ha origine dal DNA?
Insomma, la mia non è una polemica, ma un vero dubbio che mi è assalito quel giorno, in treno.
Nata e cresciuta a Roma, mia madre, italiana, mi cantava Guccini e De Andrè, mio padre, ivoriano è stonato come una campana ed è la persona con meno senso della musica che io abbia mai conosciuto. Ho frequentato una scuola di danza per più di undici anni: classica, moderna, contemporanea, di tutto. A scuola di danza ho imparato a distinguere la destra e la sinistra (sono leggermente dislessica), ho imparato ad ascoltare la musica ed a sentire il ritmo.
Mi piacerebbe tantissimo avere un sangue ed un ritmo africano, non sono polemica, sarebbe un grande onore. Ma io in Africa ci sono andata per la prima volta nell’ultimo anno e con mio padre ho convissuto i miei primi due anni di vita. Insomma: ma il mio sangue, quindi, di dov’è?
Il mio ritmo, esattamente, da dove viene?
Il ritmo ce l’ho nel sangue da quando ho imparato a suonare il flauto durante gli anni delle scuole medie, quando all’asilo ci facevano cantare le canzoncine battendo le mani a tempo, quando ho imparato ad esprimermi in rima, quando ho partecipato alle prime lezioni di danza. Non sento di avere un DNA ivoriano, perché, in Costa d’Avorio, non ci sono mai stata. Ma come è possibile che si possa avere qualcosa nel sangue che non ci appartiene? E se è possibile, perché, alla fine, è così difficile accettarlo?
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