Un Muro nel Mar Mediterraneo

di Giulia Bertoni  – NewYork

Giulia vive a NewYork per un Master alla Columbia University ed alla fine di giugno si trovava per alcuni giorni come volontaria nella SeeFuchs la piccola nave della ong tedesca Sea Eye attiva nel Mediterraneo. Ha vissuto lo shock della negazione dell’approdo in un porto italiano e quindi l’impossibile salvataggio di oltre 100 Migranti alla deriva. E’ stata intervistata da La Repubblica e da La 7 e dopo molti giorni di riflessione ha scritto per MONDITA questo articolo : la ringraziamo molto.

https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2018/06/25/news/la_volontaria_nel_mediterraneo_illegale_non_e_soccorrerli_ma_lasciarli_morire_-200038705/

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Il 21 giugno scorso, è accaduto un evento sorprendente: il Presidente americano Trump ha cambiato idea. Ha modificato un ordine che prevedeva la separazione di genitori e figli di migranti arrestati al confine fra Messico e Stati Uniti. Non è facile riconoscere di aver sbagliato e cambiare la propria posizione. Richiede una certa umiltà. Ma la responsabilità della decisione è stata minimamente sua. Trump è stato costretto a cambiare idea dalla pressione pubblica americana dopo settimane di attacchi mediatici e proteste. In un certo senso, non aveva scelta. Anche in termine di calcolo politico, cambiare l’ordine era diventata la cosa più “popolare” da fare.

Quello che sta succedendo al confine fra Messico e Stati Uniti è in molti aspetti simile a quello che sta succedendo al confine fra la Libia e l’Europa in questi mesi. Invece del mare, i migranti messicani e sudamericani devono attraversare il pericoloso deserto dell’Arizona. Come in Europa, numerose organizzazioni di “search and rescue” nazionali e non governative sono state create per soccorrere e dare acqua.

Trump non ha ancora costruito il muro promesso, ma da aprile ha rafforzato il confine già esistente ordinando una politica di “tolleranza zero” per cui i migranti che provano ad attraversare il confine vengono detenuti in prigione e poi rimandati indietro. È questo che ha portato alla separazione delle famiglie dei migranti—i figli, essendo minori, non possono essere messi in prigione ma vengono mandati in campi di detenzione diversi e lontani da quelle dei genitori.

In modo simile (e ispirati da Trump), i politici Europei, chiudendo i porti dei paesi-frontiera con la Libia, hanno costruito un muro sull’acqua del Mar Mediterraneo. È questo muro invisibile che ha bloccato in mare per giorni le navi con migranti a bordo di Acquarius, Mission LifeLine e la nave mercantile Alexander Mask.

Ma l’analogia con gli avvenimenti al confine americano finisce qui. Da questo punto in poi, la situazione Europea è unica, e gravissima. La conseguenza della nuova politica europea non è nemmeno paragonabile a quella del grave danno psicologico, e speriamo reversibile, creato dalla politica di Trump.  È stata, ed è, la morte di centinaia di persone la cui vita non è danneggiata: è perduta per sempre. Questo giugno 564 persone sono morte annegate nel Mediterraneo.

Che cosa sta accadendo?

Vorrei qui provare a descrivere la catena di eventi che ha portato a questa conseguenza.

A giugno, i politici Europei, e l’Italia e Malta in prima linea, hanno deciso di non accogliere più migranti in Europa. E fino a qui, per quanto crudele, la scelta è ancora comprensibile. Hanno per questo chiuso i porti. In contemporanea, gli stati Europei (dall’Italia all’Olanda) hanno fatto uno sforzo coordinato (attraverso strategie burocratiche o legali) per bloccare le navi di soccorso di barche ONG – senza allo stesso tempo sostituirle con un servizio equivalente. Una nuova zona di search and rescue è stata “inventata” (la SAR Libica), ma la guardia costiera libica si è subito rivelata insufficiente ad effettuare tutti i soccorsi. Nel mese di giugno sono morte più persone che in tutti i cinque mesi precedenti messi insieme – sebbene le partenze non fossero aumentate. Giugno è stato anche il mese in cui quasi tutte le navi ONG sono state bloccate in porto. È dunque chiaro che il blocco delle ONG è stata una delle cause dell’aumento delle morti in mare.

Di fronte a questi dati, perché i politici europei hanno continuato a bloccare le navi di soccorso? Perché non hanno rivisto la loro posizione? È come se Trump non solo avesse eretto un muro ma avesse anche interrotto le attività di search and rescue nel deserto per bloccare il flusso migratorio. E l’alto mare, su gommoni spesso senza motore e senza gasolio, è molto più pericoloso del deserto. Non so spiegarmi queste azioni dei politici Europei se non come l’accettazione, consapevole, della sofferenza e morte di persone per uno scopo politico (quello di non ricevere nuovi migranti) mascherate da accuse ambigue e improbabili alle navi umanitarie.

Su un articolo del New York Times scritto da una guardia di frontiera, l’autore — Francisco Cantù – per descrivere la situazione al confine fra Stati Uniti e Messico cita il filosofo italiano Agamben e parla di uno “stato di eccezione”: azioni crudeli che in spazi normali non sarebbero accettabili– sono percepiti come normali. Le leggi sono come sospese. La stessa cosa sta accadendo sul nuovo confine creato fra l’Europa e l’Africa: comportamenti inaccettabili (per esempio, il rifiuto di soccorso) e conseguenti morti ci passano davanti agli occhi e ci sembrano normali. Gli americani, però, si sono svegliati e stanno mettendo in discussione questo concetto e la realtà che descrive.

E qui sta un’altra differenza della situazione Europea: il silenzio dei media e della società civile europea. In America, ogni singolo stato del grande continente ha organizzato proteste sotto un sole cocente contro la violenta politica di Trump al confine. Di fronte alla morte di ragazzi, donne e bambini al confine fra l’Africa e l’Europa a poche miglia da noi causata dalla politica migratoria Europea, ci sono state sporadiche proteste in Europa. Non c’è protesta perché manca l’emozione – il dolore o la rabbia — che la muove. Quello che succede al di là della nuova e arbitraria “linea” fabbricata questo mese (la SAR Libica) non ci riguarda.

Perché un evento ci commuova, dobbiamo prima conoscerlo.

Fondamentale per il cambiamento americano è stata l’informazione: le separazioni sono iniziate dall’inizio dell’anno ma è solo a giugno che sono entrate dentro il radar mediatico e hanno provocato una reazione.

Le cose sembrano andare nella direzione opposta in Europa.

In questi giorni, Malta ha persino bloccato l’aereo di avvistamento della Nave ONG Sea Watch 3 per motivi burocratici. All’aereo di un’altra nave ONG, la Open Arms, viene impedito il rifornimento a Lampedusa. Il blocco delle ONG e dei loro aerei implica, fra le altre cose, anche la rimozione di organismi che monitorino i naufragi e ne portino notizia.

Non voglio concludere con questa nota pessimistica. Ho portato l’esempio americano per mostrare come in società democratiche c’è la possibilità di cambiamenti rapidi. Attraverso uno sforzo di conoscenza ed empatia, la società civile americana è riuscita a far sì che il confine fra Messico e America sia ora un po’ più umano. C’è speranza anche per noi. Sabato 7 luglio molti  cittadini Italiani hanno portato magliette rosse per denunciare quello che è accaduto e sta accadendo. C’è speranza dal momento che capiamo che la responsabilità di provocare il cambiamento non sta a Loro, ma a Noi.

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