Un Museo Nazionale e di Quartiere

di Michela Becchis.

Immaginate sessantamila oggetti d’arte di straordinaria qualità che allineati facciano da ponte tra culture diverse e solo geograficamente lontane tra loro. Immaginate questi sessantamila oggetti che fanno da ponte tra un “dentro”, un museo che 60 anni fa trovò posto e colloquiò amabilmente con saloni affrescati, arredi d’epoca, grandi finestre, e un “fuori”, un quartiere che nei decenni si andò trasformando fino a diventare uno dei più multietnici di Roma.

Ecco, state immaginando quello che era a ROMA il Museo Nazionale di Arte Orientale a Palazzo Brancaccio in Via Merulana e l’Esquilino.

State immaginando un rapporto virtuoso in cui la cultura svolgeva il ruolo di apertura, inclusione, dialogo, reciproco riconoscimento che sempre svolge quando è cultura davvero e, soprattutto, quando è libera di farlo. L’articolo 9 della nostra Costituzioneproclama l’assoluta libertà della cultura, in tutte le forme in cui si esprime, e l’autonomia delle strutture che alla promozione della stessa o alla ricerca scientifica e tecnica si dedicano. L’intervento dei pubblici poteri non può intaccare la libertà di chi fa cultura o ricerca, anche perché solo salvaguardando tale libertà è possibile indirizzare il progresso spirituale del Paese verso la promozione dell’uomo”. Così recita una sapiente lettura dell’articolo. L’autonomia della cultura, delle strutture preposte ad ospitarla e incrementarla, la sua libertà promuovono la promozione dell’uomo.

Ma quei sessantamila oggetti d’arte, liberi di mostrare la bellezza e la ricercatezza formale delle culture del Medio ed Estremo Oriente, sono stati messi a tacere. Chiuso il museo, chiusi gli scatoloni. Il Museo si trasferirà e il suo immenso patrimonio di cultura e inclusione finirà in un luogo neutro, l’Eur, dove ricomparirà, chissà quando, in una veste ininfluente, forse non artisticamente, ma certo culturalmente e socialmente.

All’Eur il Museo Nazionale di Arte Orientale sarà il Museo della Civiltà, una denominazione vaga e indistinta in cui verranno raggruppati il nostro museo, il Museo Pigorini (museo di preistoria) e il Museo delle Arti e tradizioni popolari; insomma una creatura senza fisionomia precisa che cancellerà anche il fatto che queste tre diverse, grandissime collezioni, sono state anche nel tempo, in virtù della loro ben delineata differenza, centri di studio e ricerca. Riappariranno per contribuire alla “realtà aumentata” e rispondere alle “necessità della globalizzazione” secondo le parole del futuro direttore del (futuro) nuovo polo museale.

Tornando al Museo che si trovava a via Merulana, crediamo che la buona realtà effettiva, non aumentata al fine di strapparla alla critica quotidianità, sarebbe stata finanziare la messa a norma dei saloni di Palazzo Brancaccio e lasciare il museo in un quartiere dove, se fosse stato aiutato da un’intelligente rilancio dal Ministero dei Beni Culturali, avrebbe svolto lì davvero il suo ruolo di rispondere alla ormai svuotata frase “rispondere alle sfide della globalizzazione”.

All’Esquilino vivono ormai migliaia di cittadini cinesi o di figli di cittadini provenienti dalla Cina, migliaia di cittadini provenienti dal Bangladesh, dal Pakistan, da molti altri Paesi dell’Oriente. Sapere che a lì nel quartiere dove vivono, crescono, lavorano c’era un museo con una forte e scientifica identità, che parlava delle loro splendide e antichissime culture sarebbe stato un modello di inclusione, di appartenenza reciproca. Quale ruolo pensa il ministro debba svolgere un museo? Quello di essere una bella “location” per eventi? Quella di “fare cassa” con pezzi  che girano per il mondo come rockstar? Oppure avere un rapporto scientifico, accudente, virtuoso e rigoroso con il territorio? Nelle collezioni del Museo ci sono oggetti straordinari ma che fuori dal contesto museologico, dal percorso che rendeva tutti i visitatori un po’ stupiti, incuriositi e sapienti come Marco Polo, non svolgono nessun ruolo, diventano muti. Quindi, finché non verrà riallestita la collezione, già penalizzata nel brodo globalizzato, quegli oggetti non potranno andare in tournée, sarebbero afoni. Eppure avrebbero fatto un gran bene all’Esquilino, agli abitanti, ai turisti, una sorta di baluardo al degrado, un bene comune che avrebbe arricchito il territorio e la sua cittadinanza, puntando anche sulla sua contiguità con scuole che accolgono i figli delle diverse comunità residenti. Saremmo cresciuti tutti, se il museo avesse avuto, ma lì a Via Merulana, la giusta cura e la giusta promozione, tutti avremmo saputo che dal Bangladesh non arrivano solo uomini stanchi e assonnati che ci vendono birra o latte a qualunque ora del giorno, ma splendidi bassorilievi eseguiti da raffinatissimi artisti chiamati da sapienti dinastie, che dall’Afghanistan non arrivano solo ragazzi spauriti che vendono oggetti inutili ai semafori, ma che vi fu un palazzo le cui meravigliose “lastre narranti” lasciano l’osservatore stupito da tanta bellezza. E lo avremmo saputo proprio in un pezzo di Roma dove la multi etnicità è visibile ad ogni passo, in un pezzo di città dove, uscendo da quel museo, avremmo avuto una disposizione d’animo più attenta e rispettosa. Si badi bene che le buone disposizioni d’animo non si ottengono con melense frasi fatte che scivolano via come pubblicità mal riuscite, ma con un lavoro accurato scientifico e cosciente. Dopo che il Dipartimento di Studi Orientali dell’Università la Sapienza si è trasferito in un altro luogo, se non neutro certo appartato rispetto al pulsare della città, abbandonando un altro pezzo problematico dell’Esquilino, e senza che l’Amministrazione non abbia cercato di trattenere lì quelle centinaia di ragazze e ragazzi che stavano imparando lingue e culture che appena fuori dalle aule potevano mettere in pratica andando al mercato o al bar, rimaneva il MNAO a parlare di cultura mondializzata.

Non è un caso allora che anche questo sia stato trasferito. La globalizzazione va bene ma a patto che sia non il frutto di quotidiana ibridazione, ma il risultato di interessi economici e superficiali “vedute d’insieme”. Che brutto panorama!

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*