Un’italiana a Bucarest. Intervista a Daria Barcheri.

“Sono partita soprattutto per non scendere a compromessi e perché ero e sono profondamente contraria ai favoritismi di ogni genere.”

Daria è nata a Piove di Sacco, in provincia di Padova, e ha 34 anni. E’ cresciuta in un piccolo paese della provincia di Venezia e dopo il liceo si è trasferita a Padova. Dopo alcuni anni in cui ha lavorato nel campo della ristorazione per poter essere presto indipendente, è andata negli Stati Uniti dove ha studiato inglese e tedesco in un college del North Carolina. Una volta tornata in patria si è iscritta all’Università degli Studi di Padova alla facoltà di  mediazione linguistica e culturale. Specializzata in lingua inglese e romena, nel 2014 decide di partire nuovamente, questa volta per la Romania. Da quattro anni abita a Bucarest. Nel 2013 esce la sua prima silloge poetica intitolata “Il Tamburo del Vento”, con Edizioni Galassia Arte che riscontra un discreto successo. L’anno seguente autopubblica il suo secondo libro di poesie “Il Dolore nel Canto” che è stato inoltre tradotto in romeno.

Da quanti anni in Romania. Ci puoi raccontare il tuo lavoro, i tuoi impegni. Come ti trovi?

Sono in Romania da quattro anni e nel novembre del 2016 ho aperto un’azienda che è sia centro linguistico sia centro di assistenza turistica. Nello specifico sono guida turistica e lavoro in tutto il territorio nazionale. Non ho quindi un’agenzia di viaggi, ma collaboro con varie agenzie turistiche sia romene, sia italiane, ma soprattutto romene. Loro preparano i programmi di viaggio e io supporto le agenzie con il mio servizio di guida turistica ed accompagnatrice. Ogni viaggio dura di solito 8 giorni. Ma la mia attività cambia a seconda della stagione: l’inverno lavoro come insegnante di italiano per romeni e di romeno per italiani (anche tramite Skype), mentre quando arriva la primavera parto con gruppi di turisti italiani e sono felice di illustrare loro questo Paese meraviglioso. Per fortuna non sono da sola, il mio socio è un italiano che è arrivato a Bucarest tre anni fa e che mi sostituisce in mia assenza. E’ inoltre lui che si occupa della segreteria del centro linguistico e della contabilità. Ultimamente mi rendo sempre più conto che il suo contributo è davvero fondamentale e sono molto contenta di collaborare con una persona di fiducia. Mi dà inoltre ottimi consigli essendo molto sveglio ed intelligente.

La tua è una storia di immigrazione?

Direi proprio di sì perché torno in Italia solo una o due volte l’anno per stare un po’ in famiglia e ormai sono residente a Bucarest. Ho deciso di partire quando la crisi economica in Italia si faceva sentire pesantemente e non mi permetteva di lavorare nel mio ambito. Ricordo molto bene quanto ho lavorato in Italia, quanto studio, quanta dedizione. Amavo profondamente la mia città, Padova. Ad un certo punto però lavorare lì dignitosamente era diventato impossibile. Era difficile trovare un contratto di lavoro stabile persino come barista o cameriera. Ero costretta a firmare il contratto di lavoro ogni settimana con il rischio di essere lasciata a casa da un momento all’altro e senza nessuna garanzia, finché così è stato. Sono stata molto povera a Padova e non mi vergogno di dirlo. Il nepotismo, molto diffuso in Italia, l’ho vissuto sulla mia pelle, la mancanza di meritocrazia, i prezzi insostenibili. L’ultimo periodo è stato veramente difficile. Consideriamo poi che per molti anni ho studiato e lavorato allo stesso tempo. Ho passato veramente periodi pesanti sia fisicamente sia emotivamente. Ma non rimpiango le scelte fatte. Il lavoro mi permetteva di essere libera e di diventare consapevole dei problemi che l’Italia stava attraversando, la facoltà mi piaceva e i professori sono stati gentilissimi e comprensivi. Alcuni li sento ancora oggi. Sono partita soprattutto per non scendere a compromessi e perché ero e sono profondamente contraria ai favoritismi di ogni genere. Quando sono arrivata in Romania è successa una cosa molto strana, qualcosa che non mi aspettavo: il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, che è una persona che crede molto in noi giovani italiani appena laureati, mi ha offerto un posto di insegnante collaboratrice presso l’istituto, anche se non mi conosceva e pur sapendo che io, fino a quel momento, avevo solo insegnato romeno agli italiani. Si è basato esclusivamente sul mio curriculum e sulla mia buona volontà. Così ho iniziato ad insegnare lì e questa attività, anche all’istituto, la svolgo tuttora. Poi, dopo un po’ di esperienza, ho deciso di aprire un centro linguistico giacché questo lavoro lo amo profondamente. Non è sempre facile insegnare in Romania perché gli studenti sono abituati ad un metodo di studio che io, sinceramente, non condivido. I romeni difficilmente accettano di sbagliare, si sentono giudicati rinunciando così ad esprimersi per paura di sbagliare. Se l’insegnante commette un errore viene subito segnato come un grandissimo incompetente. Bisogna sempre aggiornarsi ed essere molto preparati. All’inizio è stato veramente scioccante. Poi ho capito che basta motivarli e incoraggiarli e instillare in loro un profondo amore per la lingua e la cultura italiana e con la maggior parte dei corsisti funziona. Poi consideri che io lavoro soprattutto con adulti, persone già formate, e che hanno già alle spalle un percorso formativo di un certo tipo. Sono stati abituati a dei metodi molto rigidi e sono cresciuti in ambienti scolastici dove la competitività è molto importante. Con i turisti invece i problemi sono altri, anche lì le difficoltà non mancano, ma il paesaggio della Bucovina e della Transilvania, che è spettacolare, mi ripaga di tutte le fatiche e così parto sempre molto volentieri.

L’arte, la letteratura e l’intercultura. Qual e’ il legame?

E’ tutto interconnesso, o almeno così dovrebbe essere. L’arte ci aiuta a stare bene, ha veramente il potere di rasserenare e la creatività dovrebbe essere incoraggiata maggiormente sia in Italia sia in Romania, anche a scuola. Purtroppo invece è la scuola stessa che uccide la creatività e questa è una grande lacuna. Anche i genitori dovrebbero incoraggiare la creatività. Ricordo un discorso con mio zio, un ottimo ingegnere, proprio mentre parlava dei suoi figli. Voleva smettessero di suonare la chitarra e il pianoforte perché non lo trovava importante per il loro futuro. L’ho fatto riflettere e per fortuna entrambi i figli continuano con la loro passione per la musica ed il canto. La nostra vita non può essere limitata al lavoro, una persona non si può e non si deve identificare esclusivamente con la propria attività lavorativa, per quanto essa sia sicuramente importante. Sono le passioni che ci permettono di vivere veramente, di essere qualcuno, di formarci, di amarci. Io amo lo sport e ho giocato tanti anni a pallavolo, uno sport meraviglioso che ancora seguo. La pallavolo ha segnato la mia adolescenza e mi ha permesso di mantenermi sana e determinata. In quel periodo la pallavolo era tutto, era anche un po’ più importante della scuola, e in quella fase della vita è giusto che sia così. La passione per qualcosa innanzitutto, la serietà nei confronti di chi o di cosa si ama, la dedizione, la tenacia. Maestri di musica e allenatori di solito insegnano questi valori e questi modi straordinari di affrontare la vita. Da adulto sono tutte cose che ti porti dietro come uno zaino che ormai non si può più staccare da te.

La letteratura è per me qualcosa di sacro, nel senso che non potrei mai vivere senza di essa. La poesia è il mio rifugio più sicuro. Quando sono giù di morale non devo fare altro che scrivere o leggere poesia preferibilmente in una biblioteca. Amo la letteratura francese e russa. In questo mondo ci vorrebbe meno arroganza e più poesia, perché per me il contrario della poesia è l’arroganza. Il poeta è dimesso, sensibile, modesto, umile. Ecco perché viene profondamente rispettato, o almeno così dovrebbe essere. La letteratura è connessa con l’arte perché la poesia è quel codice più o meno nascosto che rappresenta la base di ogni opera d’arte.

Mi interpella anche sull’intercultura, o interculturalità. Avendo studiato mediazione linguistica e culturale è infatti un argomento che mi è molto caro. Amo le culture diverse e mi sento più cittadina del mondo che dell’Italia o della Romania, e questo credo sia un grande vantaggio, nel senso che mi rende una persona serena, indipendentemente da chi mi trovo di fronte. Non ho paura del diverso, anzi, la diversità mi attira, mi piace, la incoraggio. Tramite l’insegnamento di una lingua straniera, della letteratura e della storia si può insegnare l’interculturalità ed il multiculturalismo. L’Italia, visto che sta diventando un Paese multietnico dovrebbe incoraggiare programmi scolastici ed universitari mirati all’integrazione e all’insegnamento dell’accettazione dell’altro. E’ essenziale inoltre che aumentino le ore dello studio e dell’insegnamento delle lingue e delle culture straniere. Una lingua straniera apre molte porte e permette di conoscere una cultura, una visione diversa. Che si consideri più o meno positiva poco conta, secondo me una cultura bisogna conoscerla, approfondirla, sezionarla e mai ignorarla, qualsiasi essa sia. Si dovrebbe inoltre leggere letteratura di viaggio e viaggiare di più. L’italiano purtroppo viaggia ancora troppo poco, e questo non gli permette di svincolarsi da stereotipi e pregiudizi. Per esempio, quando gli italiani vengono in Romania, di solito arrivano con molte paure e pregiudizi, ma poi il viaggio prevede l’incontro con persone autoctone, che scoprono essere veramente gentili, solidali, rispettose e così la prospettiva cambia moltissimo e per me questo cambiamento è fonte di grande gioia e soddisfazione.

Cosa ti ha insegnato questa esperienza?

Mi ha insegnato che devo fidarmi di più di me stessa perché che i romeni fossero un popolo meraviglioso me lo sentivo dentro. Quelle insicurezze (non paure, ma insicurezze personali) non avevano senso. Ma così sono io, tendo a sottovalutarmi e a sminuirmi. Sto acquisendo più fiducia solo adesso perché, per quanto anche qui sia difficile e sia necessario lavorare moltissimo per vivere, riesco a vedere i primi risultati sul piano professionale. Poi la Romania mi ha insegnato a ridere, perché i romeni mi suscitano ilarità. Non li derido, sia chiaro, ma il loro modo di comportarsi è veramente simpatico. Su questo lato l’italiano assomiglia molto al romeno, ma il romeno, vivendo per il momento in un paese che è in crescita economica ed avendo appena attraversato un periodo molto buio è in genere più spensierato. Il romeno non lo posso definire ottimista, forse sono più ottimisti gli italiani, ma allegro sicuramente sì. L’allegria romena mi contagia e questo mi piace immensamente e faccio di tutto per ricambiare con altrettanta allegria. Quant’è bella l’allegria! Poi ho imparato che ad ogni problema c’è una soluzione e che guardare al passato non serve a nulla. Queste sono tutte perle di saggezza romene. Guai a non farne tesoro! Poi ho imparato che la solidarietà è un grandissimo valore da preservare. Qui hanno molta stima degli insegnanti, tant’è che gli studenti e i colleghi mi fanno molti regali e non per un tornaconto personale, anzi. E’ il loro modo di dire grazie perché vedono il mio sforzo lavorativo e lo apprezzano. A volte mi sento persino in imbarazzo, ma qui è la normalità. Sono molto generosi e mi rispettano tantissimo, anche per quello che scrivo e racconto del loro paese. Sono persone molto riconoscenti. Persino i colleghi che temono la concorrenza proprio non ce la fanno a non aiutarti, magari lo sgambetto te lo fanno in altro modo, quasi senza che tu te ne accorga, ma non ce la fanno a negarti il loro sostegno se ti vedono in difficoltà perché sono stati educati ad andare in soccorso del prossimo. Ho imparato dunque che la solidarietà è un grande valore e che tutti dovremmo essere più solidali e meno individualisti. D’altra parte, invece, è un popolo dove l’aspetto esteriore e il materialismo sono molto importanti. Nelle grandi città molti hanno un’automobile grande solo per apparire e non per necessità. Allora in questo caso sono contenta di essere la tipica italiana che non bada al vestito o all’aspetto esteriore in generale, anche se è vero che anche in Italia accade di imbattersi in persone del genere. Nei paesini si respira invece un grande amore per la natura, gli animali e la semplicità. E’ questa la Romania che preferisco.

In Romania ti senti  Noi o Loro?

Fino a qualche tempo fa mi sentivo Io, nel senso che, per quanto mi piacessero la Romania e i romeni, mi sentivo sempre una straniera e un po’ diversa da loro, soprattutto se mi trovavo da sola in un gruppo di romeni, ora invece questo distacco non lo avverto più, anzi, mi trovo benissimo e loro sono stati fantastici a farmi sentire una di loro, quindi ormai mi considerare nella bellissima fase del Noi.

Due frasi per descrivere l’Italia di oggi

Scusa, ma due frasi non mi bastano…

Il mio paese è purtroppo ancora molto diviso tra Nord e Sud e non solo, l’Italia è un paese che ancora fatica a sentire il profumo della diversità, e si comporta come se la diversità emanasse un cattivo odore, basta osservare le ultime elezioni per capire che questo è il clima. L’italiano, in questo modo perde una grandissima opportunità, che è quello di mettersi in discussione confrontandosi col prossimo. Comunque l’Italia è un paese ancora straordinario nonostante l’economia che barcolla e se molti lo scelgono ci sarà un perché, del resto in Italia si parla l’italiano che considero, insegnandola, una lingua bellissima, melodica e dolce, è un paese che, ne sono sicura, in qualche modo, si rimetterà in carreggiata, del resto già ci sono segnali positivi. Il turismo rimane una risorsa importante del paese essendo l’Italia spettacolare a livello paesaggistico e per i monumenti fantastici che ospita. In Italia si respira arte e storia praticamente ad ogni angolo. Questo non si trova facilmente altrove. L’italiano dovrebbe ammetterle queste cose e sentirsi meno triste di quanto oggi lo sia. E poi la speranza e l’ottimismo non devono mai mancare nella vita e l’italiano ama molto la sua patria, deve solo capire come indirizzare quest’energia. Qualcuno già lo fa ottimamente. Io aspetto un contagio in positivo.

Il sogno nel cassetto?

Da quando sono piccola vorrei adottare uno o due bambini o bambine e prima o poi ci riuscirò, costi quel che costi. Più di qualche volta, mia madre quand’avevo solo 8 anni, mi diceva “che ne dici se adottiamo un bel bambino africano, così hai un bel fratellino del bel colore del cioccolato?” ma poi non l’ha fatto avendo già due figlie a cui badare. Ecco, a me l’idea piaceva moltissimo e lo sento ormai come un mio desiderio. Il pensiero di un bambino già al mondo, ma senza una famiglia mi fa troppo male, e per quanto mi riguarda non deve necessariamente essere africano. La provenienza non mi interessa.

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