Cibi delle strade del Mondo

di Patrizia Borghetti

Se ti dico street food cosa mi rispondi? Mac Donald oppure Lasagnam . Solo dopo uno sguardo interrogativo, mio nipote adolescente ha aggiunto anche il “panino”. i giovani quando hanno fame non guardano in faccia a nessuno e mangiano di tutto, che sia nostrano o provenga da oltre oceano. E confondono, sempre per lo stesso motivo, fast con street. Ma è vero che sempre più raramente anche gli adulti si danno appuntamento al ristorante ( perché è diventato troppo caro per molti, richiede troppo tempo per altri, devi consumare più pietanze per altri ancora) ma al chiosco con tavolini all’aperto o dove si produce il miglior kebab da consumare appollaiati su uno sgabello o davanti al furgoncino per un appetitoso e romano “pane e mortazza”.
Così lo street food è diventato moda “Hipster”, fa tendenza. Anche questo ha il suo perché.
Si è tornati un po’ indietro nel tempo, quando i pochi soldi in tasca e l’esser lontani da casa non sentiva ragione sull’appetito quando suona il mezzogiorno. Per rimanere a Roma, dentro la Ciriola (panino economico a forma lunga e schiacciata, inventato apposta dai fornai per metterci dentro il companatico) si metteva facilmente la porchetta in alternativa alla mortadella. Fin quando il Mattatoio di Testaccio è stato in funzione, il piatto tipico dei lavoratori della zona era il “quinto quarto”, percentuale inesistente ma che comprende tutte le parti dell’animale che non si conservano a lungo come le interiora, e per questo vanno cotte e mangiate. Sul posto possibilmente, magari al mercato lì vicino per abbinarvi un bicchiere di vino dei Castelli.
A pensarci bene, gli ingredienti sono uguali anche ad un altri noti cibi da consumare in strada e che sono arrivati dal mondo che ci sta attorno. Penso al Giro Pita greco, al Kebab turco e al Pastrami della cultura ebraica che hanno avuto la prerogativa di farci conoscere altre usanze alimentari per nutrirsi con poca spesa. Gli ingredienti sempre gli stessi: carboidrati e proteine animali con aggiunta di yogurt, cipolle o cetrioli, insalate e salse varie più o meno piccanti. Il fabbisogno alimentare è soddisfatto, a meno che non si sia più strettamente vegetariani. In questo caso la biodiversità locale unita alla necessità di nutrirsi fuori casa e a poco prezzo ha dato i suoi frutti, in Italia e nel mondo. Per rimanere nell’Urbe, come non pensare ai “supplì al telefono”, una pallina di riso e sugo di pomodoro con al centro una sorpresa (da cui deriva il nome) di mozzarella filante soprattutto quando è bella calda. Idem per gli arancini siciliani dove gli ingredienti da mescolare con il riso variano, dal ragù alle melanzane. Da qui siamo sconfinati nei fritti con tutte le variazioni sul tema. Dal cuoppo napoletano (un misto di quel che c’è a disposizione sia vegetale che latticino) alle polpette come i falafel mediorientali o al cartoccio di pesce e ai filetti di baccalà che ci fanno “viaggiare” dal Mare Nostrum al Mare del Nord passando per il Portogallo.
A questo punto verrebbe da dire che con lo street food “tutto il mondo è paese”. Preferisco pensare che grazie alle tante culture oggi il cibo per strada ci fa spaziare con maggior facilità e soprattutto in economia da una tradizione gastronomica all’altra. E in Italia sono nati anche molti festival del Cibo da Strada, il primo è stato quello di Cesena ( Forlì ) ogni ottobre ancora attivo con migliaia di frequentatori che si abbuffano : Festival Internazionale del Cibo di Strada di Cesena www.cibodistrada.com.

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