Identità variabili fra Istanbul e Oxford

Elif Shafak e le identità multi culturali  Sull’ultimo libro della scrittrice turca “Le tre figlie di Eva”. 

di Giovanna Pandolfelli        ( Univ. del Lussemburgo ) .

Elif Shafak (Strasburgo, 25 ottobre 1971), è una scrittrice turca che scrive e pubblica sia in turco che in inglese e vive fra Istanbul e Londra ed è l’autrice più venduta in Turchia. Le sue opere sono tradotte in più di trenta lingue. Contro il bigottismo e la xenofobia, è profondamente legata ai temi del femminismo, del sufismo e della cultura ottomana. Negli ultimi anni su La Repubblica sono comparsi suoi interventi o interviste sulla crisi della Turchia di Erdogan.

Imponente voce femminile della narrativa turca, Elif Shafak è al suo decimo romanzo, Tre figlie di Eva (Three Daughters of Eve), uscito in italiano nel 2016 per Rizzoli. Scrive in turco e in inglese e i suoi libri sono tradotti in varie lingue. Nata a Strasburgo in Francia, cresciuta, dopo la separazione dei genitori in tenerissima età, con la madre, della quale prenderà il cognome, vissuta in diversi Paesi oltre che in Turchia, la Shafak mostra anche in quest’ultimo romanzo il suo interesse per culture diverse. In particolare, mette a fuoco il ruolo della donna nelle società mediorientale e occidentale, dipingendo personaggi femminili come fossero l’una una sfumatura cromatica dell’altra. In un mosaico di nuances, si delineano posizioni emotive e mentali in gradazione rispetto a temi centrali quali la religione, la concezione di Dio, le tradizioni e la posizione delle donne.

Ancora una volta l’autrice conferma la propria particolare maturità narrativa nell’analisi mistica, che non si risolve in un’opinione su determinati dettami religiosi, ma li supera giungendo ad un’approfondita contemplazione del sacro.

La trama si dipana tra Istanbul e Oxford, in un’altalena temporale narrativamente molto ben costruita, tra passato e presente. La vita della protagonista Nazperi, detta Peri, oscilla tra un passato di inquietudine ed un presente di apparente benessere, in cui si insinua una violenza feroce, inattesa che apre e conclude simbolicamente il romanzo in una ciclicità di eventi. Peri oscilla altresì tra medioriente e occidente, tra osservanza religiosa e ateismo, tra l’ostentazione della femminilità e la sua negazione, presa in una morsa che la disorienta e da cui esce devastata. Incapace di prendere posizione, sbattuta dalla violenza degli estremismi, finisce per reagire con inaspettato egoismo, nel passato così come nel presente, per difendere se stessa dal mondo circostante, ‘Lei che fece il Male’.

Il romanzo è sì la storia di tre ragazze, così diverse tra loro eppure in qualche maniera capaci di convivere con le altrui differenze, ma è anche la storia di una Peri divisa in tre, un’unica protagonista, Peri- Eva generatrice di tre identità in cerca di conciliazione. La spregiudicatezza di un sentimento proibito si incarna in Shirin, che vive la propria femminilità e sessualità incurante dei dettami religiosi della sua cultura iraniana; gli insegnamenti materni, tanto aderenti alle tradizioni quanto vincolanti, incarnati in Mona, americana di origine egiziana, musulmana osservante, con le difficoltà che un velo e determinati obblighi di comportamento implicano in una società occidentale impaurita dalla minaccia fondamentalista. Riemerge nuovamente l’incertezza di Peri, cresciuta tra l’ateismo del padre e le convinzioni religiose della madre,  una Peri piena di interrogativi, sempre tesa nel tentativo di trovare una via di conciliazione.

‘A-ha, come pensavo. Sei mezza e mezza’, così l’etichetterà l’amica libertina. Le tre ragazze non sono altro che la proiezione del suo sé frammentato: la peccatrice, la credente, la dubbiosa. Ma anche colei che vide il Male, colei che sentì il Male e colei che fece del Male.

‘Il divario tra la persona che portava dentro di sé e quella che ci si aspettava che fosse le sembrava più ampio che mai. Percepiva la distanza, in tutta la sua incolmabilità, fra l’ambiente da cui proveniva e quello verso cui desiderava dirigersi’.

La trasversalità di Peri, tra osservanza e trasgressione, percorre una verticalità identitaria intersecata dall’orizzontalità delle altre tre Peri: quella del passato, quella del presente e quella del futuro.

‘Dopotutto era stata davvero un’altra ragazza, una Peri diversa dalla donna che era diventata, quella che fu prima la studentessa preferita di Azur e, più avanti, la causa della sua rovina.’

Queste Peri-tre figlie di Eva si muovono lungo la linea del tempo in un processo di metamorfosi interiore.

Ma il romanzo è anche la storia dei tre figli di Adamo: un marito comprensivo, con una buona posizione sociale, moderato, onesto, e le sue proiezioni maschili estremiste, Azur, il professore che si erge a studioso di Dio, sconvolgendo gli animi vulnerabili dei suoi studenti e spezzando il cuore di Peri, e il padre di Peri, ateo convinto e sprezzante delle tradizioni. Tra gli uomini non c’è un fervido  credente, poiché la questione dell’ubbidienza ai dettami religiosi è un fatto soprattutto femminile: essere credente o meno per un uomo non comporta adattamenti comportamentali specifici come per la donna. Per la quale il velo è il segnale esteriore di una condizione intima che parte da una convinzione del tutto mistica per invadere la sfera emotiva, psicologica, privata e, in ultima analisi, prettamente sessuale.

‘Lei non sarebbe stata una sposa di quel tipo. Non avrebbe fatto la vita di sua madre. Non si sarebbe lasciata inibire, limitare, ridurre a qualcosa che non era. […] “Meglio se non sposo un uomo di queste parti”. ‘ Così rifletteva Peri. Il comportamento linguistico evidenziato dall’autrice ben rispecchia queste consuetudini: Le signore della buona borghesia […] non dicevano una parola men che corretta […] Gli uomini, invece, erano liberi di usare le parolacce […] il turpiloquio teneva insieme la specie dei maschi.’

Il pretesto di studi all’estero permette a Peri, e all’autrice, di riflettere su concetti tipici del mondo globalizzato, ma anche del migrante in genere, di ieri e di oggi: dov’è casa? ‘[…] e adesso eccomi qua, più inglese del pudding di Natale ma fuori posto come una torta di datteri!’ dichiara Shirin, l’amica iraniana che dice di trovarsi in Inghilterra suo malgrado, per una scelta della famiglia. E più avanti esclama: ‘Beata te! […] se hai nostalgia di casa vuol dire che da qualche parte una casa ce l’hai’.

Per Peri trascorrere un periodo di studi a Oxford è non solo un’opportunità per il suo futuro professionale ma anche e soprattutto l’occasione di prendere le distanze dalla famiglia e dal suo Paese: ‘A Oxford, senza il peso della cultura di origine sulle spalle, si godeva la solitudine’.

Anche l’uso di una lingua diversa dalla lingua madre contribuisce a sentirsi liberi, persino in patria. ‘Era più facile – e per qualche verso meno offensivo – dire l’indicibile in una lingua altrui, come quando una va a una festa in costume e si lascia andare celata dal travestimento e dalla maschera.’ La lingua straniera interviene come filtro dei retaggi culturali e permette di esprimersi come celati dietro una maschera. La condizione del migrante, appartenente a qualunque strato sociale, gli permette di liberarsi di obblighi imposti anche grazie all’uso di una lingua altra dalla lingua materna, viscerale e infantile; piuttosto la lingua di accoglienza è quella della crescita, della speranza, dell’accettazione del sé. Tuttavia, quest’ultima si rivela per il migrante anche l’ostacolo principale all’espressione dei sentimenti più profondi ‘Le sue sensazioni […] non era certa di poterle esprimere a parole, men che mai di fronte a estranei e in una lingua che non era la sua.

E ancora una riflessione sulla lingua come espressione dell’identità culturale di un popolo: una discussione accesa, che infervora gli animi, in un Paese come la Turchia allenta i vincoli stilistici per lasciare spazio all’emotività, mentre in Inghilterra la forma è la prima preoccupazione del parlante: ‘Qui tutti si esprimevano in modo da mettere la forma, anziché il contenuto, al primo posto’. Un’analisi semplice e al tempo stesso estremamente profonda e significativa che, a ben guardare, contiene l’essenza della diversità tra il nord e il sud del mondo europeo e occidentale.

Concluderei con una riflessione di Peri sulla condizione del migrante, la sua doppia identità e doppia nostalgia: ‘Non è facile rimanere e non è facile partire. […] quelli che sarebbero rimasti […] avevano amicizie durature e ampie cerchie di conoscenze, mentre quelli che emigravano definitivamente si ritrovavano incompleti, come un puzzle a cui manca un pezzo essenziale’. Casa.

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*