Le Donne dell’Est : un’altra prospettiva

di Tana Anglana.

Colgo ispirazione da un fatto di cronaca e costume – la manifestazione pubblica del perdurare dei pregiudizi sulle donne dell’Est in formato show televisivo – che poco ha fatto se non confermare lo stato confusionale cronico che accompagna la nostra epoca, per proporvi di posare lo sguardo su un interessante paradosso che coinvolge il nostro sistema sociale, la Cooperazione Internazionale e… le “donne dell’Est”.
Parliamo allora di Care Drain e Welfare Transnazionale.
Andiamo con ordine e partiamo dall’osservazione del nostro sistema sociale in termini di Welfare: è noto a tutti quanto la fotografia della società europea ritragga una popolazione sempre più anziana (secondo i dati del World Population prospects, in Europa ¼ della popolazione ha già più di 60 anni e, per il 2050, si stima che i decessi saranno di 32 milioni superiori alle nascite) e quindi bisognosa di assistenza e cure. Per contro, alcuni elementi importanti emergono e rendono più fragile la risposta a questo bisogno di cure: prima di tutto una crisi economica perdurante che drena risorse al sistema sociale di molti paesi europei. Come purtroppo accade spesso, la spesa sociale sembra essere la prima voce sacrificabile nei bilanci nazionali. Il benessere dei cittadini viene visto come non monetizzabile, non rilevante nella rendicontazione del corretto funzionamento di un paese.
Altro elemento rilevante è quello del cambiamento culturale che coinvolge le società europee (soprattutto della sponda mediterranea), quello “dell’esternalizzazione” della risposta assistenziale al di fuori dalla cerchia familiare. Sicuramente frutto di un cambiamento socio-antropologico più centrale e più legato alla mutazione della natura stessa della famiglia nel nostro tessuto sociale. A margine di questi due elementi prominenti, una menzione speciale va anche alla fuga dalle professioni sociali, e in particolare dalle professioni di cura alla persona, che ha interessato il settore fino al 2015, secondo dati Inps. Ora la crisi economica ha reso la professione di Badante attrattiva anche per gli italiani stessi e gli effetti di questa controtendenza si vedranno probabilmente solo tra qualche tempo.
Questo scenario di incremento del bisogno ha, in ogni caso, provocato un aumento della domanda di assistenti famigliari a cui affidare i propri cari, in sostanza, uno spazio vuoto nel sistema del welfare nazionale.
A conferma della natura fortemente razionale alla base della scelta migratoria, i recenti dati del Dossier Statistico Immigrazione ci forniscono l’identikit di chi ha risposto a questo richiamo nel settore assistenziale e di cura in Italia, di chi ha colmato questo vuoto: nel 2015 i badanti stranieri rappresentano l’80.9% degli impiegati nel settore e, più nello specifico, per il 93.8% sono donne, di cui il 75% provenienti dai paesi dell’Est Europa. I paesi sono principalmente Romania, Ucraina, Moldavia e Albania. Insomma, le “donne dell’Est”.
Ma usciamo immediatamente dalla trappola dei numeri e delle percentuali, che rischiano sempre di cancellare identità specifiche di esseri umani, seppellendo in fosse comuni concettuali le storie delle persone che, in questo caso, costituiscono una colonna del nostro welfare. Il percorso migratorio è da sempre costellato di strappi, distacchi e abbandoni soprattutto nel tessuto famigliare di chi sceglie di partire, ma se ad abbandonare la famiglia sono soprattutto donne in piena età lavorativa e madri che in molti contesti di origine sono ancora considerate le principali fonti di cura della famiglia stessa, ecco che abbiamo una cornice chiara di dove porre il concetto di Care Drain: la perdita, per le società nei paesi di origine della migrazione, di risorse di assistenza e welfare, unitamente all’emergere di nuove forme di esclusione e povertà, caratteristiche di contesti a forte emigrazione femminile.
Ecco il paradosso: le persone che stanno aiutando paesi come l’Italia a far fronte ad una carenza di welfare pubblico e che materialmente si prendono cura dei nostri cari, stanno impoverendo i loro paesi e le loro famiglie della stessa cura, creando un ulteriore squilibrio nelle condizioni di vita delle società alle due sponde del loro percorso migratorio.
Lo squilibrio in queste società è diventato talmente evidente che, recentemente, in Ucraina, Romania e Moldavia, le autorità politiche stanno facendo pressioni per bloccare il flusso di emigrazione di future badanti.

Ed è qui che entra in gioco il potenziale ruolo della Cooperazione allo Sviluppo, partendo da una presa di coscienza dell’interrelazione tra i sistemi di welfare interni ed esterni e della natura particolare del sistema attuale di cura e assistenza, che in Europa interessa più paesi contemporaneamente.
La possibilità di promuovere politiche sociali transnazionali, di collaborazione tra territori, istituzioni, società civile e famiglie nelle comunità di origine e residenza delle nostre “care givers”, rappresenta un ambito rilevante per la cooperazione allo sviluppo, con l’obiettivo di creare un sistema sostenibile di benessere e di sviluppo umano, ponte fra paesi.
La Cooperazione può giocare un ruolo importante su due fronti, quindi: da una parte il miglioramento dell’offerta professionale per le “care givers” attraverso formazione ad hoc e quindi “professionalizzazione” del capitale umano potenzialmente migrante che si impegna nella catena di Welfare privato nei paesi europei. Dall’altra, può rafforzare il ruolo tradizionale di impegno contro l’esclusione sociale nelle aree di origine, con una particolare attenzione ai membri di quelle famiglie su cui l’emigrazione ha avuto un forte impatto, per cercare di mitigare gli effetti negativi del Care Drain. Questa duplice azione potrebbe essere possibile solo attraverso la messa in campo di una Cooperazione tra comunità e reti di attori locali e nazionali.

Sono molti gli esempi di cooperazione sanitaria transnazionale attuati in forma sperimentale – e principalmente attraverso la Cooperazione Decentrata – a cui guardare come modello. Si veda, ad esempio, il caso della Ong Soleterre che ha costituito tra Italia, Ucraina e El Salvador, un network di Centri per il sostegno legale, psico-sociale e orientamento al lavoro ai migranti, cercando di contrastare la frammentazione dei servizi territoriali e colmando la loro scarsa presenza nei paesi di origine. Per saperne di più, il riferimento è: Centro per cittadini e famiglie migranti di Milano.
Parliamo chiaramente di politiche e pratiche di Co-Sviluppo, anche se in con caratteristiche particolari: di co-sviluppo si parla spesso riferendosi a politiche di valorizzazione degli elementi positivi della migrazione concentrate principalmente su risorse economiche tradizionalmente produttive. Nel caso invece di politiche di welfare transnazionale, la Cooperazione può marcare l’accento sul benessere delle persone, su temi di sviluppo umano, a cui comunque riconoscere il grande valore legato alla crescita sociale: società e famiglie sane e funzionali rappresentano anche una ricchezza economica inestimabile. Decisamente da aggiungere alla lista sulle donne dell’Est.
Riferimenti
• Madri migranti. Le migrazioni di cura dalla Romania e dall’Ucraina in Italia: percorsi e impatto sui paesi di origine – Eleonora Castagnone, Michael Eve, Enza Roberta Petrillo, Flavia Piperno, con la collaborazione di Jonathan Chaloff
• Welfare transnazionale, un ambito strategico di intervento per la cooperazione decentrata? – Ferruccio Pastore e Flavia Piperno
• Welfare transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali – Flavia Piperno e di Mara Tognetti Bordogna

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