Le relazioni pericolose

Tana Anglana – Cooperatrice Internazionale.

Qualunque progetto di Cooperazione è un progetto di Migrazione e Sviluppo” mi sento dire spesso, “portando crescita economica, contribuiamo a contrastare i flussi migratori”.

Mettendo da parte la frustrazione di sentire reiterato un parallelismo errato (è notorio che a fronte di una stabilizzazione economica dei contesti di partenza, il tasso di emigrazione tende a crescere) e ribadito un obiettivo che non dovrebbe appartenere agli interventi di cooperazione, colgo l’occasione e lo spunto per concentrarmi sul tema dell’interdipendenza e coerenza delle politiche.

Consideriamo due eventi. Due notizie apparentemente non collegate. Una che riguarda l’Italia e l’altra che riguarda un paese straniero.

Primo fatto:  26 Gennaio 2017.

Il Ministero dell’Interno Italiano dirama un telegramma verso alcune questure per disporre il rintraccio di cittadini nigeriani irregolarmente residenti in Italia, ai fini di attuare un rimpatrio di massa. Un provvedimento dai contorni chiaramente discriminatori, un pericoloso precedente che pone l’Italia in una posizione delicata, visto che le espulsioni collettive sono esplicitamente vietate dal diritto internazionale. Sono tanti i motivi per cui è possibile parlare di un provvedimento odioso e tossico, avviato con lo scopo di “defibrillare” il sistema in stallo dei pochi accordi di rimpatrio tra l’Italia e alcuni paesi di origine dei migranti.  Senza dubbio però, è un atto di forza che mostra i muscoli e strizza l’occhio alla crescente fetta di opinione pubblica che percepisce l’immigrazione come la principale minaccia per l’Italia. Si potrebbe parlare forse di seduzione – o meglio – sedazione elettorale, visto che la nazionalità nigeriana è nella top ten degli arrivi via mare verso le coste italiane.

Secondo fatto: Dicembre 2016.

I media italiani riportano la notizia dell’accusa agli alti vertici dell’ENI di concorso in corruzione internazionale, per circa un miliardo e 300 mila dollari di tangenti versate – secondo l’accusa – all’ex governo nigeriano per ottenere, insieme alla Shell, i diritti esclusivi di sfruttamento del giacimento Opl245. Non mi voglio addentrare nel dedalo delle questioni giudiziarie che meriterebbero un’analisi approfondita, ma piuttosto approfittare di questo riflettore per cercare di capire che impatto ha il nostro sistema imprenditoriale in un paese che preoccupa così tanti per i suoi flussi migratori verso l’Italia.

I numerosi rapporti di Amnesty International chiariscono che la presenza di aziende petrolifere (non solo italiane) nella zona del Delta del Niger sono responsabili di un disastro ambientale di proporzioni imponenti. La quota di sversamenti di greggio a causa di rotture e falle negli impianti è allarmante: nel 2015 si sono contati 656 sversamenti nei soli impianti dell’Agip nigeriana.

Dal Rapporto Amnesty 2015-2016: “A 20 anni dall’esecuzione dell’ambientalista Ken Saro-Wiwa e di altri otto attivisti, l’inquinamento prodotto dall’industria petrolifera ha continuato a causare devastazioni ambientali nella regione del Delta del Niger, provocando danni ai mezzi di sostentamento delle comunità residenti e alla loro salute. Durante l’anno si sono verificate centinaia di nuove fuoriuscite di petrolio e le società petrolifere non hanno provveduto alla bonifica della contaminazione causata dalle precedenti fuoriuscite, alcune delle quali risalivano anche a decenni prima.

Paradossalmente, l’economia nigeriana è la 26ª economia mondiale per PIL nominale ed è la prima del continente africano. Ma la ricchezza di greggio è una condanna più che una benedizione: corruzione e proventi divisi solo tra privati e funzionari governativi hanno creato uno squilibrio sociale atroce, dove il 10% della popolazione detiene il 90% delle ricchezze.

Il sostentamento di oltre il 60 per cento delle persone che vivono nella regione del Delta del Niger dipende dall’ambiente naturale (pesca e agricoltura). Le attività estrattive contaminano le risorse naturali, l’impatto che gli sversamenti e il gas flaring hanno avuto su fonti di sostentamento, alloggi, cibo e acqua sono devastanti.

Quando non hai più fonti di sostentamento e il tuo ambiente vitale è un inferno bituminoso, cosa fai? Rimani in questo territorio contaminato – dove il disastro ambientale va a braccetto con corruzione, violenze e mancanza di diritti – oppure provi a trovare un’opportunità di vita dignitosa per te e la tua famiglia altrove?

Molto probabilmente farai la scelta della migrazione. Molto probabilmente andrai verso i paesi di cui conosci la ricchezza dalla presenza di compagnie petrolifere nel tuo paese. Molto probabilmente sceglierai l’Italia. Un’Italia che ancora si percepisce come elemento passivo di fronte al fenomeno migratorio.

Ora si vede, si capisce bene la relazione fra i due fatti ?