Un terribile viaggio verso l’Italia

di Clement Tomas. ( Bologna )

( Pubblichiamo l’ultimo brano di un libro che sarà edito nelle prossime settimane dalla Fausto Lupetti di Bologna : Io sarò la tua voce – Storie di viaggi migranti, scritto da C.I.Thomas con altre testimonianze di sette migranti africani. La traduzione e l’editing è a cura di Mili Romano e le traduzioni delle “Altre voci” sono di Marta D’Errico e Francesco Maselli.)

Dialogo fra Clement e Joseph Boi.

Mi chiamo Joseph Boi, vengo dalla Nigeria, sono di Delta State, a Est della Nigeria e dell’Africa. Sono partito nel 2016 il 29 luglio.

C: Come è stato il tuo viaggio dalla Nigeria alla Libia? J: Il viaggio dalla Nigeria ad Agades è andato bene ma ad Agades sono cominciati i problemi. Eravamo 50 uomini e 50 donne. Quando sono arrivato lì ho scoperto che il ghetto, il posto dove stavamo, e le persone che lavorano li, che chiamavano ghetto boys, usavano i loro privilegio per andare a letto con queste 50 ragazze. Molte gridavano e piangevano perché erano violentate e forzate ad avere rapporti. Chiedevano aiuto e venivano abusate e umiliate. Sono partiti 5 hylox da Agades alla Libia. Ogni hylox conteneva 25 persone, L’autista ci ha detto che avremo passato 5 giorni nel deserto prima di arrivare il Libia. Nel deserto però c’erano dei ceck-in points e per evitarli ci siamo persi e il viaggio è durato 1 settimana e 4 giorni.

C: come sei sopravvissuto a Agades? J: abbiamo passato 3giorni a Agades. Mangiavamo una volta al giorno banku(farina), non c’era altro cibo e neanche medicine o dottori. Dato che il viaggio è stato più lungo, le nostre scorte di acqua e cibo sono finite presto. Tre persone sono morte senza cibo e acqua, io li ho visti. L’autista ci ha detto che dovevamo seppellirli ma quando abbiamo cominciato a scavare abbiamo trovato un altro cadavere sotto la sabbia, morto probabilmente 5 giorni prima. Per tutta la notte abbiamo avuto paura perché sentivamo delle persone parlare ma poi non vedevamo chi era, forse erano spiriti.

C: Puoi dirmi di più di questi ragazzi morti? J: ne conoscevo uno che era nel mio Hylox, si chiamava Mondey. Quando Mondey è sceso dall’hylox, si lamentava che aveva male e non riusciva a muoversi e poi è morto. Quando eravamo a Agades mangiavamo e bevevamo insieme ed è stato molto doloroso vedere Monday morire. Mondey mi diceva che in Europa voleva diventare un musicista perché aveva una bellissima voce. Aveva grandi ambizioni, non lo dimenticherò mai. C: cosa ti ha fatto più male rispetto a Monday? J: mi faceva divertire, cantava benissimo. Quando non eravamo felici e pensavamo che non c’era futuro, lui cantava e ci faceva tornare il sorriso.

C: Quando è morto, hai pianto? J: Quando è morto, ho perso speranza nella vita. Ho pensato che sarei morto anch’ io nel deserto. Tutti avevamo paura. C: Come è stato seppellito quindi? J: Abbiamo scavato nella sabbia, ma abbiamo trovato l’altro cadavere, abbiamo scavato in un altro punto ed abbiamo scoperto degli scheletri di persone morte anni prima quindi l’abbiamo seppellito li. Ognuno di noi ha fatto una preghiera per Monday.

C: cosa è successo alle ragazze? J: Abbiamo dormito la notte e la mattina dopo abbiamo continuato il viaggio. Una donna che ha cucinato nel deserto, aveva marito e un bimbo di 6 anni, Lucky. Quando siamo ripartiti la donna non stava bene e le giravano gli occhi ma l’autista non si voleva fermare, andava velocissimo, lei è collassata ed è svenuta. Quando siamo arrivati in un altro posto ci siamo accorti che la donna era morta. Il marito dopo la morte ha detto che la donna era incinta di 4 mesi.

C: Cosa ha fatto il marito? J: L’uomo ha pianto tantissimo, tutti noi piangevamo. Diceva che era meglio per lui morire assieme alla moglie, ma tutti l’abbiamo protetto per impedirgli di fare gesti estremi. Anche il bambino piangeva molto, tutti cercavamo di consolarlo ma continuava a piangere. Il marito ha seppellito la moglie. Quello che mi dava sofferenza è che pensavo continuamente che sarei morto anch’io. In quel viaggio molti di noi hanno perso la vita e io non li dimenticherò mai. C’è un’altra cosa che mi ha toccato molto. L’autista aveva detto che sapeva dove avremmo potuto trovare l’acqua a circa 100 km . Tutti e 5 gli hylox sono ripartiti verso l’acqua. Il primo andava velocissimo e sentivamo rumore del motore di questo hylox che ha cominciato a ondeggiare e abbiamo visto le persone cadere giù. Ci siamo fermati ed abbiamo visto che c’erano feriti, qualcuno aveva le gambe rotte. Sono morti in due.

C: Cosa avete fatto? J: Quelli che erano sopravvissuti sono stati trasferiti nei nostri hylox. Siamo arrivati dove dovevamo trovare l’acqua e l’abbiamo trovata. Abbiamo riempito le bottiglie. Quando siamo scesi ci siamo accorti che qualcuno dei feriti era morto. Eravamo talmente tanti che non potevamo scoprirlo prima. Quando abbiamo bevuto l’acqua dal pozzo però ci siamo accorti che nel pozzo c’era un uomo morto. Delle persone che erano li da qualche giorno prima ci hanno detto che un loro amico che cercava di bere è caduto dentro il pozzo, noi però abbiamo continuato a bere perché ne avevamo bisogno e non potevamo fare altrimenti. C: Avete fatto tutti la stessa cosa? J: Si, non avevamo alternativa. C: Cosa è successo dopo? Cos’è successo alle donne nel deserto? J: Sono tutte sopravvissute, due avevano le gambe fratturate. La maggior parte dei morti erano uomini. Siamo arrivati a Sabha di notte, tutti e 4 gli hylox. Eravamo contenti ma non sapevamo fosse un altro posto terribile. Il responsabile del ghetto era Tony e si lamentava che non era stato pagato e chiedeva a noi di esser pagato. Noi dicevamo che avevamo già pagato al Connection man ma lui diceva no, dovete pagarmi di nuovo. Tony diceva che se non avessimo pagato ci avrebbe ucciso ed ha cominciato a vendere le donne del ghetto. Le vendeva per prostituzione.

C: A quanto pensi che le vendesse? J: 10 mila dinas, circa 300€. Le picchiava per forzarle a pagare. Se pagavano le avrebbe fatte arrivare in Europa. Se non avevano soldi dovevano prostituirsi. Nessuno aveva i soldi e sono state vendute tutte. Qualcuna era vergine, qualcuna minorenne ma sono state ugualmente vendute tutte. Tutte le mattine Tony chiamava il ghetto boys e faceva picchiare tutti. Ci facevano spogliare e ci picchiavano. Ci facevano chiamare casa in Nigeria per farci chiedere dei soldi per pagare il viaggio. C: Come sei sopravvissuto? J: Nel mio caso, avevo conosciuto persone che erano li da anni perché non avevano soldi per pagare. Gli uomini dovevano pagare 1000 dinars per continuare il viaggio. La mia famiglia non aveva soldi per pagare. Tony mi ha venduto ad un uomo libico, assieme ad altre 2 persone. Quest’uomo aveva una fattoria e ci ha portato a casa sua. Ci dava da mangiare 1 volta al giorno, non c’era acqua per lavarci e ci picchiava e ci faceva lavorare. Tony ha detto che avremmo dovuto lavorare per 6 mesi e poi saremmo potuti andare. Non so per quanti dinari Tony mi ha venduto a lui. Dopo questi 6 mesi era arrivato il giorno in cui sarei dovuto andar via ma durante la notte una macchina è arrivata a prenderci, gli uomini avevano le pistole ed ho capito che quest’uomo ci aveva venduti ad un altro uomo libico. Ci hanno chiusi in una stanza, sono stato li 3 giorni senza cibo e acqua. Ci facevano chiamare a casa ma la mia famiglia non aveva soldi da pagare. Ho chiamato Tony per chiedergli aiuto ma lui mi ha detto che sarei dovuto morire li e non sarebbe venuto a salvarmi perché era tutta causa mia. Ogni notte ci facevano andare sul soffitto per pulirlo. Abbiamo passato più di 4 mesi, 2 settimane con queste persone. Ci hanno portato a lavorare ogni giorno, lavoro duro ed avevano sempre le pistole puntate per non farci scappare. Un giorno ci hanno portato molto lontano ed abbiamo visto altri hilos arrivare. Un mio amico, Happy, ha cercato di scappare ma è stato sparato da quelli dell’hilos ed è morto. L’autista dell’hilos e i nostri sfruttatori hanno cominciato a litigare e per me e il mio amico è stata una buona occasione per scappare.

C: Dove sei andato? J: Non so, ero confuso…Ho passato 1 anno e 6 mesi in Libia, ci sono tante cose nella mia testa che non posso dire. Quando siamo scappati siamo stati nel deserto per 3 giorni, poi abbiamo trovato un negozio di un uomo Ghanese, gli abbiamo spiegato cos’era successo e lui ha mostrato comprensione. Ci ha portato a casa sua e ci ha chiesto cosa volessimo fare. Ci ha fatto chiamare la nostra famiglia per farmi mandare dei soldi. Ma la mia famiglia ancora non ha niente da darmi. Keivi, il ragazzo che era scappato con me, ha chiamato la sua famiglia e la sua famiglia aveva dei soldi da pagare, 120 mila dinas. Dopo due giorni sono arrivati i soldi e l’uomo ghanese però non ha visto nessuna notifica di arrivo dei soldi. Noi gli dicevamo che la famiglia aveva mandato i soldi. L’uomo ghanese ha detto che se continuavamo a fargli problemi avrebbe chiamato la polizia. Non avevamo altre opzioni, ci ha chiesto se volevamo lavorare con lui. Abbiamo lavorato per lui 7/8 mesi. Lavoravamo in un campo, molte persone lavoravano li. Non c’erano opzioni per me.

C: Cos’è successo dopo? J: Dopo tutti questi mesi, quest’uomo mi ha detto che dopo circa 2 settimane ci avrebbe fatto partire per l’Europa. C: Qual è il tuo consiglio per chi è in Libia o per chi vuole andare in Libia. J: Sto dicendo a tutti di non andare in Libia. La Libia non è un paese in cui sopravvivere. A tutti quelli che stanno programmando di venire dico che qualsiasi cosa stanno passando nel loro paese, di avere pazienza e non andare in Libia. Gestite la vostra vita con quello che avete, è meglio. Ho lasciato la Libia il 12 luglio del 2017. Siamo partiti alle sei del mattino. Vedevamo il mare , che io non avevo mai visto, ma non vedevamo il cielo perché c’era molta nebbia. Era la seconda volta che provavo a partire. La prima volta era stato in maggio: i connection men misero in acqua sei barconi. Io ero nel quinto barcone. Il capitano ci aveva detto che ci avrebbe portato in Tunisia. A un certo punto della navigazione è arrivato un motoscafo con la mafia libica e ha minacciato tutti e poi ha tolto il motore al primo barcone perché i connection men non avevano pagato quanto dovevano alla partenza. Il capitano ha cercato di convincerli e si è pure battuto perché questo non succedesse ma nella lotta a un certo punto il motore è caduto e si è fatto un buco nella barca. Ha cominciato ad entrare acqua e le persone che erano lì sono morte tutte. Eravamo tutti insieme, le nostre barche erano lì accanto e abbiamo visto tutto, il mare era pieno di corpi che annaspavano, che gridavano di aiutarli, di prenderli su, cercavano di attaccarsi alle altre barche ma noi non potevamo prenderli, Eravamo 164 nella nostra barca e io avevo una grande paura, tutti avevamo una grande paura, era terribile, e io mi chiedevo “perché, perché perché?”. Non sapevamo cosa fare. In acqua tutti ci pregavano di salvarli e noi con le nostre barche dovevamo passare oltre, dovevamo passare oltre tutti quei corpi, in messo a quei corpi. Non era possibile salvare nessuno che stava morendo, ci tendevano le mani e noi non potevamo afferrarle… Non posso spiegare cosa succede quando una persona è sul punto di morte e ti chiede di aiutarla e tu non puoi fare niente. Ero così spaventato, ero in mezzo al Mediterraneo e nessuno poteva aiutarci. Alì. Mustafà, erano tutti connection men. Ho pensato che quello che era successo agli altri poteva succedere anche a me. Ho perduto ogni speranza per me vedendo gli altri morire…164 persone. Qualche minuto dopo che tutti erano morti la mafia libica si avvicinò dicendo che dovevamo tornare tutti indietro. E tornando vedemmo un’altra barca affondata.

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