Euro Sì Euro No

di Francesco Pisa.

Sono giorni difficili quelli che stiamo vivendo e oggi mi piacerebbe fare un po’ di chiarezza riguardo al capro espiatorio per eccellenza: l’Euro, raccontando quei miti che stanno alle base delle assunzioni più forti, soprattutto politiche, sulla moneta unica.

Primo

Il commercio estero per via dell’apprezzamento dell’euro sulle altre valute ha sofferto, solo in parte è vero, ma ha recuperato bene. L’andamento dell’euro, oggi, risponde a fattori che riguardano l’unione dei 19 paesi, tra i quali una politica monetaria unica che tiene conto dell’insieme dell’Eurozona e non di un singolo paese. Non si può negare che la bilancia commerciale italiana abbia un po’ sofferto.

In termini reali l’Italia è andata in deficit durante tutto il primo periodo dell’euro – quando il cambio effettivo era piuttosto elevato per i forti flussi finanziari in arrivo e ancora di più durante la grande recessione, ma dopo la crisi è tornata rapidamente in surplus: l’avanzo, in termini reali, ha recuperato i livelli degli anni 90, quelli rimpianti dai “nostalgici” del cambio flessibile. Proprio nel momento delle maggiori difficoltà l’Italia è dunque tornata a essere, da metà 2012, un esportatore netto. Le esportazioni, sempre in termini reali, sono cresciute a ritmi costanti sia prima che dopo la crisi. E anche l’export verso la Germania ha mantenuto – in questo caso in termini nominali – un trend in crescita (malgrado la parentesi della Grande Recessione) non rapidissima ma comunque sostenuta.

Secondo

Non si può svalutare, è vero, ma è un bene. Il desiderio di svalutazione è piuttosto bizzarro tra i populisti. Soprattutto in un paese come l’Italia, che importa carburanti, la flessione della valuta comporta sempre una riduzione dei salari reali: benzina e gasolio salgono, si riduce quindi il reddito disponibile per altri acquisti. Senza contare che tutta la struttura dei prezzi può aumentare in seguito all’aumento del greggio, con stipendi e salari costretti a inseguirli, a volte senza riuscirci. Se poi è vero che una svalutazione può premiare le imprese esportatrici – imprenditori, ma anche lavoratori – è innegabile che l’effetto sia sempre meno importante per le economie avanzate, che devono competere sulla qualità e la produttività, non sul prezzo. Il Giappone ha recentemente provato a svalutare la propria moneta per risollevare le esportazioni, ma dopo un inizio brillante presto l’effetto è svanito.

Terzo

L’Italia non stampa moneta, è vero, la politica monetaria è decisa a Francoforte dalla Bce per tutti i paesi dell’Eurozona. L’Italia ne ha però tratto vantaggi di cui, restando “sovrana” non avrebbe potuto godere. I tassi di interesse sono calati rapidamente per tutte le scadenze. Nel ’93 il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia era ancora al di sopra del 10%, poi è rapidamente sceso fino al 3% di inizio ’99, in vista dell’adesione all’euro. In termini reali è passato dal 6%, un livello altissimo, che segnalava quanti rischi erano attribuito al nostro debito pubblico, fino all’ 1 %.

Per il lungo periodo la media dei rendimenti dei decennali nell’età dell’euro è stata del 4,2%, quella del periodo 1980-92 – prima che iniziasse la flessione di “avvicinamento alla moneta unica” del 14,5%. Lo spread sui decennali tedeschi è arrivato da un massimo di 1175 punti base nell’82 fin quasi a zero dopo l’introduzione della moneta comune: i titoli italiani rendevano poco più di quelli emessi dalla Germania. Oggi il “Quantitative Easing” della Bce permette ai titoli italiani di avere di nuovo rendimenti molto bassi e spread decisamente inferiori a quelli del periodo della crisi fiscale dell’Eurozona. Sono state, per il nostro paese, due grandi occasioni perdute.

Vorrei concludere precisando che questo articolo non vuole prendere le parti di nessuna fazione, ne favorevole ne contraria alla moneta unica.

Spero solo di aver fatto un minimo di chiarezza riguardo la storia dell’ Euro e del suo impatto sulla nostra economia.

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