di Antonella Rita Roscilli ( Roma )
Alla Casa della Memoria e della Storia di Roma, un pubblico attento e partecipativo ha assistito alla conferenza per la presentazione del volume “Storia dell’immigrazione straniera in Italia: dal 1945 ai giorni nostri” (ed. Carocci), scritto da Michele Colucci, ricercatore del Cnr ed esperto in storia delle migrazioni, del lavoro e delle politiche sociali. Il libro propone una ricostruzione storica dell’immigrazione straniera in Italia, a partire dal 1945. Una diversa analisi quindi, rispetto ai luoghi comuni che fanno risalire la prima immigrazione agli anni ’80, catalogando l’Italia come un paese “giovane” su questo tema. In realtà, l’immigrazione straniera in Italia si può suddividere in quattro grandi stagioni. La prima va dagli anni dell’immediato dopoguerra alla fine degli anni sessanta: i movimenti sono riconducibili essenzialmente al lavoro domestico, alle ex colonie, agli studenti universitari e ai profughi. La seconda va dagli anni settanta al 1989: iniziano a essere significativi i flussi di lavoratori e lavoratrici. Il Censis nel 1978 stimava una presenza di stranieri di poco inferiore al mezzo milione di persone. La terza fase cominciò nel 1989, caratterizzata dall’apertura delle frontiere a est con l’arrivo prima degli albanesi e poi dei rifugiati dalla ex Jugoslavia. L’ultima fase coincide con il decennio successivo alla crisi del 2008, segnato dal ridimensionamento complessivo della crescita dell’immigrazione e dal cambiamento delle motivazioni alla base dei nuovi arrivi: meno permessi di soggiorno rilasciati per lavoro e più permessi rilasciati per asilo politico e protezione umanitaria. Da tutte queste fasi emerge il profilo sfaccettato di una grande trasformazione storica, indispensabile per capire la realtà dell’Italia di oggi. Dopo gli arrivi degli anni ’50 del secolo XX, uno dei primi movimenti significativi fu quello dei tunisini che dal 1968 si dirigevano in provincia di Trapani ove erano reclutati per lavorare sui pescherecci di Mazara del Vallo. Nello stesso periodo ebbe inizio anche l’immigrazione delle donne che occupavano prevalentemente il settore domestico, come nel caso delle lavoratrici capoverdiane.
I dati sui censimenti rivelano una notevole crescita dell’immigrazione nel ventennio 1991-2011: si passa dalle 356.159 persone straniere del 1991, a 1.334.889 del 2001, fino a giungere a 4.029.145 nel 2011. Un incremento costante che si è tuttavia interrotto negli anni successivi alla crisi economica scoppiata nel 2008, fino a giungere a diversi dati. Infatti, se nel corso del 2010 in Italia venivano rilasciati 598.567 permessi di soggiorno a cittadini non comunitari, nel 2016 la cifra scendeva a 226.934.
Alla conferenza di Roma hanno partecipato Sandro Portelli, docente e presidente del Circolo Gianni Bosio; Tana Anglana, del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS); Amin Nour, attore e regista somalo; coordinati da Alessandra Gissi, ricercatrice di Storia Contemporanea all’Università di Napoli “L’Orientale”.
E’ stata messa in evidenza la tendenza da parte delle istituzioni italiane a gestire il fenomeno attraverso le periodiche sanatorie, la difficoltà da parte delle classi dirigenti a governare i flussi di richiedenti asilo, riconosciuti come tali in modo compiuto solo nel 1990 con la legge Martelli. Il fenomeno è stato considerato quasi sempre come una emergenza, e scarsamente riconosciuto con leggi che favoriscano l’ inclusione, come accade in altri paesi europei.
Un capitolo molto interessante ci riporta gli inizi dell’ accordo Schengen, alla Convenzione di Berlino e al ruolo dell’Italia in tutto questo. Ma ciò che per l’autore costituisce indubbiamente uno spartiacque nella storia dell’immigrazione in Italia è l’omicidio dell’esule sudafricano Jerry Masslo, avvenuto tra il 23 e il 24 agosto 1989 a Villa Literno, in provincia di Caserta, ove si recava ogni anno per la raccolta dei pomodori. Il tema del lavoro stagionale degli stranieri in agricoltura, lo sfruttamento, il razzismo strisciante fu al centro di polemiche, dibattiti, discese in piazza. Eppure, a tutt’oggi, il discorso della organizzazione inclusiva degli immigrati rimane un nodo da sciogliere.
“Non organizzare in modo inclusivo l’immigrazione in Italia “, ha sottolineato Sandro Portelli “significa voler continuare a considerarlo come problema”. L’Altro viene sempre o quasi recepito nella sua intromissione nel tessuto sociale italiano, non visto come una possibilità di apertura, di ricchezza, di scambio, come ben evidenziato da Colucci: “Solo con la conoscenza storica si rompono le barriere, si entra in contatto e si trasforma la realtà. Non possiamo sempre e solo parlare dell’alterità per il concetto di emigrazione. Bisogna recuperare la dimensione normale della mobilità che è presente da sempre nella storia degli esseri umani”.
Poi, con dati e tabelle ha spiegato che da tempo è finita l’emergenza, e che all’inizio del 2018 gli stranieri in Italia erano in tutto 5.064.000.
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