L’Italia degli ultimi anni ?

di Stefania Dall’Oglio. ( Roma )

Molte delle concause all’origine dell’attuale situazione socio – politica e culturale sono emerse dalle riflessioni e considerazioni dei relatori e del pubblico durante l’incontro organizzato da “MONDITA” e “Fondazione Intercammini”, tenutosi lo scorso 15 febbraio 2019 a Roma.

Personalmente non posso che concordare con tutte le concause già evidenziate, alle quali desidero aggiungerne altre, scaturenti dalla mia esperienza personale e professionale, cercando di porle in una visione che riproponga un quadro di insieme delle problematiche emerse, senza peraltro alcuna pretesa di essere esaustiva. Innanzitutto la Comunicazione, ossia la estrema necessità di trovare una diversa ed efficace strategia comunicativa per la narrazione del fenomeno migratorio in Italia. Occorre davvero proporre all’opinione pubblica la realtà della nostra Italia multi-inter etnica in tutta la sua “normale” positività. Per troppo tempo troppo spazio è stato dato ad una comunicazione distorta al servizio di una politica populista, nonostante sin dal 2011 esista il protocollo deontologico della “Carta di Roma” ed operi l’omonima associazione giornalistica , e nonostante sin dal 2003 (Dlgs. N. 215/2003) il nostro ordinamento abbia recepito la direttiva europea n. 2000/43/CE in materia di discriminazione, introducendo il rimedio giurisdizionale contro le azioni discriminatorie innanzi al giudice civile ordinario, cui è seguita una ricca giurisprudenza in materia. Come si sa, tuttavia, la sanzioni hanno scarsi effetti preventivi e, a parere di chi scrive, certamente da sole non creano cambiamento culturale. In realtà, c’è bisogno di una vera contro–comunicazione, semplice e diretta, da veicolare con apposite campagne di informazione e di sensibilizzazione che passino dal “porta a porta” nei quartieri, nelle parrocchie, nei circoli, nelle scuole, oltre a servirsi dei tradizionali strumenti di informazione e dei social media. I dati sul fenomeno migratorio non possono e non devono rimanere ingabbiati unicamente in pubblicazioni destinate agli esperti, o snocciolati in convegni con un target di pubblico già competente, interessato, sensibile e informato.

La necessità di una diversa strategia comunicativa appare lampante dai dati desolanti che emergono da recenti ricerche. Dalla relazione finale della “Commissione Jo Cox” (luglio 2017) , ovvero la commissione di inchiesta sull’intolleranza, la xenofobia il razzismo e i fenomeni di odio, istituita presso la Camera dei Deputati nella precedente legislatura, risulta che l’Italia è il Paese con il più alto tasso del mondo di ignoranza sull’immigrazione (viene a sua volta citato l’Ignorance Index di Ipsos MORI). La maggioranza degli italiani pensa, infatti, che gli immigrati residenti siano il 30% della popolazione, anziché l’8% e che i musulmani siano il 20% della popolazione quando sono il 4% e rappresentano circa un terzo degli stranieri in Italia, mentre il 52,6% degli italiani pensa che l’aumento degli immigrati favorisca il diffondersi del terrorismo e della criminalità.

L’ultimo speciale Eurobarometro (n. 469 dell’ottobre 2018) sull’integrazione dei migranti nell’UE, ci dice che complessivamente metà dei cittadini europei (54%) ritiene che l’integrazione degli immigrati abbia successo mentre, al contrario, il 55% degli italiani percepisce l’integrazione degli immigrati come non riuscita. Il 51% degli intervistati italiani considera l’immigrazione come un problema, rispetto al 6% che la vede più come un’opportunità. A fronte di una maggioranza di europei che ritiene che ci siano più immigrati regolari rispetto agli immigrati illegali, il 47% degli intervistati italiani ritiene che in Italia ci siano più immigrati illegali rispetto agli immigrati regolari. In questo scenario, i social media non sembrano aver contribuito a contrastare la disinformazione. Personalmente ritengo che il linguaggio dei social media abbia al contrario contribuito ad alimentarla, quale strumento duttile che agevola la banalizzazione e semplificazione di fenomeni complessi, in linea con la contemporanea tendenza della comunicazione ove tutto va etichettato in breve, senza troppo riflettere, senza analisi dei dati, preferibilmente con toni aggressivi che non lasciano spazio al dialogo e senza obbligo di citare l’attendibilità delle fonti di informazione, generando il proliferare delle “fake news”. In una contemporaneità dove il culto della velocità, del “multi tasking”, dell’immagine portano alla carenza di profondità, ad una frenesia del vivere che ne fa perdere il significato, alla parola è stata sottratto il suo valore, mentre le conseguenze del suo uso distorto, in molti casi pesantissime come la storia ci insegna, vengono minimizzate o ignorate.

Assistiamo purtroppo ad una involuzione culturale generalizzata: nel 2017 (dati Istat pubblicati a dicembre 2018) , per il 42,6% degli editori attivi è il basso livello culturale della popolazione italiana il fattore responsabile della modesta propensione alla lettura nel nostro Paese mentre il 38% attribuisce tale criticità alla mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura mentre più di un terzo indica come ostacolo alla lettura il fatto che il tempo dedicato in passato ai libri viene oggi destinato alla fruizione di contenuti digitali. L’educazione scolastica risulta carente quanto a formazione civica ed educazione all’Intercultura, che vengono lasciate all’iniziativa dei singoli docenti o, più ottimisticamente, delle singole scuole. Il peggioramento progressivo del sistema educativo in generale, di ogni ordine e grado, porta altresì ad una scarsa o mancante conoscenza della storia delle migrazioni nel e dal nostro Paese, che ne hanno creato l’identità culturale (ed inter culturale), della quale dovremmo essere così orgogliosi e, al contrario, risultiamo così insicuri, inconsapevoli e, purtroppo, ignoranti.

La crisi economica e la conseguente crescita delle disuguaglianze sociali naturalmente hanno acuito lo scollamento della politica tradizionale dalla base, mettendone in evidenza l’inadeguatezza nell’affrontare i problemi delle persone ed aprendo così gli argini al dilagare del populismo. Secondo l’ultimo rapporto Istat (giugno 2018) l’incidenza della povertà assoluta in Italia è pari al 6,9% per le famiglie e all’8,4% per gli individui: i valori più alti della serie storica che prende avvio dal 2005. Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016 e nel 2017 riguarda 3 milioni 171mila famiglie residenti e 9 milioni 368mila individui. Ecco così che il populismo va creando il capro espiatorio, il classico stereotipo del nemico da combattere e sul quale riversare disagio, rabbia, frustrazione, ma anche solo paura di perdere il benessere acquisito.

Cresce la grettezza nel linguaggio politico, ove il dibattito sulla gestione della migrazione si è ridotto alla conta degli esseri umani sbarcati o di quelli espulsi, in una ossessiva quanto allucinante gara tra schieramenti politici su chi ne ha fatti sbarcare di meno e ne ha espulsi di più. Numeri appunto, non più persone. Numeri ridicoli tra l’altro, che nulla hanno a che vedere con paventate invasioni . Sembra lontano anni luce il periodo in cui il nostro Paese veniva elogiato dalla comunità internazionale, durante la Revisione Periodica Universale al Consiglio Onu per i diritti umani, per il numero di vite umane salvate in mare grazie alla missione “Mare Nostrum”. Eppure era soltanto il 2014.

Errori pesanti sono stati fatti da ogni schieramento al governo per lo meno negli ultimi 10 anni, quando il fenomeno migratorio è stato ostinatamente affrontato come perenne emergenza, per mezzo di un sistema straordinario di accoglienza incentrato sui CAS (sistema disomogeneo sul territorio e carente sotto l’aspetto della prestazione dei servizi e nella trasparenza della gestione) , oltre che sui grandi centri (vedi il centro di Mineo per tutti), di ostacolo ad una efficace integrazione e con impatto negativo sui territori. A ciò si aggiunga la carenza di un sistema strutturato e continuativo di monitoraggio sui centri di accoglienza, ove il sistema di controllo, affidato dal regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione alle singole prefetture , si è rivelato negli anni inefficace e dunque idoneo a favorire il proliferare dell’illegalità e della cattiva gestione della accoglienza da parte degli enti no profit.

La politica ha inoltre contestualmente, progressivamente ed inesorabilmente rinunciato a governare il fenomeno della migrazione legale ordinata attraverso il sistema dei flussi, con la conseguente quasi totale chiusura dei canali di ingresso legali , dimostrando la mancanza di volontà da parte di qualunque schieramento al governo a mettere mano al sistema dei flussi in maniera ragionata, eliminando il meccanismo “perverso” dell’articolo 3 del testo unico sull’immigrazione , il quale prevede che in caso di mancata pubblicazione del decreto flussi annuale attraverso la complessa procedura ordinaria, il Presidente del Consiglio dei ministri possa provvedere in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite nell’ultimo decreto emanato. Il risultato è che si continua ad andare avanti con decreti transitori, che possono diminuire a piacere le quote di ingresso, ma non possono aumentarle rispetto a quelle previste l’anno precedente. Così, a fronte della permanenza di un forte fabbisogno di lavoratori stranieri , la politica ha scelto di non permetterne il soddisfacimento attraverso gli ingressi legali. Parimenti, tutti gli schieramenti politici succedutisi hanno perso l’occasione di riordinare il sistema di accoglienza rendendo finalmente obbligatorio per i comuni l’ accoglienza diffusa mediante lo SPRAR (rinominato SIPROIMI dal “decreto sicurezza”), anziché lasciare alla demagogia di certe amministrazioni locali la possibilità di non aderire ai bandi per lo SPRAR, per poi sfruttare la mala gestione dei CAS (imposti) sul territorio allo scopo di giustificare politiche anti –immigrati, volte ad incassare consensi.

A tutto ciò si aggiunga la tolleranza di fatto del fenomeno (reato) del Caporalato e il fallito contrasto allo sfruttamento lavorativo della manodopera immigrata , soprattutto nei settori dell’ agricoltura e dell’ edilizia, ove in agricoltura la presenza delle nuove “agro mafie” si fa sempre più potente, come ci dicono le stime del IV rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto CGIL FLAI (Giugno 2018) , secondo il quale le infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare e nella gestione della domanda e offerta di lavoro attraverso la pratica del caporalato muovono un’economia illegale e sommersa di oltre 5 miliardi di euro e che oltre quattrocentomila lavoratori stranieri sono esposti al rischio di ingaggio irregolare mentre tra questi centotrentamila sono in condizione di grave vulnerabilità.

Sul fronte dell’integrazione, le buone pratiche e i modelli virtuosi messi in atto nel corso degli anni soprattutto nell’ambito dei progetti SPRAR stentano a diffondersi sull’intero territorio a causa delle storture del sistema generale di accoglienza e dell’opposizione di certa demagogia, nonostante sia evidente come l’integrazione passi soprattutto dalla conoscenza personale e per questo l’accoglienza in famiglia andrebbe supportata e potenziata, così come l’arte, la musica e lo sport andrebbero utilizzati quali strumenti principe per l’integrazione dei ragazzi. Eppure il primo Piano Nazionale per l’Integrazione, salutato con entusiasmo nel 2017 (sebbene la sua elaborazione fosse stata prevista sin dal 2014 con il decreto legislativo n. 18), contiene affermazioni ed obiettivi assolutamente condivisibili e di buon senso. Vi si legge, tra l’altro, “che alcune attività̀ di supporto all’integrazione siano offerte fin da subito anche ai richiedenti oltre che ai beneficiari di protezione internazionale, risulta una scelta strategica indispensabile per qualsiasi politica d’integrazione” e coerentemente tra gli obiettivi troviamo “La creazione delle condizioni che consentano il precoce avvio del percorso d’integrazione sin dalla prima accoglienza, in particolare includendo l’insegnamento della lingua e l’orientamento culturale sin dall’inizio”. Se non fosse che il recente “decreto sicurezza” si è mosso in direzione esattamente contraria, precludendo, tra l’altro, l’accesso allo SPRAR ai richiedenti asilo, relegati nei centri di prima accoglienza e nei CAS, per i quali il nuovo capitolato d’appalto ha previsto, oltretutto, l’esclusione dei servizi di integrazione, insegnamento della lingua italiana incluso . Sorge spontaneo domandarsi quale sia dunque l’utilità pratica dei piani. Nessuna. In quanto nessuno degli impegni presi è realmente vincolante, visto che non si tratta di strumenti normativi. Conseguentemente nessuna allocazione di risorse può essere prevista né alcuna attività di controllo sulla loro attuazione può essere effettiva. Insomma il Piano per l’integrazione non è vincolante neanche per il governo di turno che lo ha elaborato e dunque tanto meno per i governi che seguono.

L’unica residuale utilità potrebbe consistere nel suo utilizzo quale strumento di advocacy, da parte della società civile organizzata e delle organizzazioni non governative, nei confronti delle istanze nazionali e degli organismi sovranazionali, a condizione che quella stessa società civile organizzata sappia davvero mettere in atto una strategia di advocacy efficace. E proprio parlando di advocacy che vado tristemente concludendo la panoramica di concause che hanno contribuito allo scenario attuale e che non lasciano, a mio parere, esenti da colpe le organizzazioni non governative impegnate nel settore. Mi riferisco alla mancanza di una strategia unitaria nell’attività di advocacy e alla difficoltà di unire le forze per cause comuni, quando, piuttosto, dominano divisione e competizione. A ciò si aggiunga una talvolta eccessiva estremizzazione e politicizzazione delle posizioni delle ong, spesso inclini più a guadagnare in visibilità che a costruire un dialogo con la politica lontano dai riflettori, ove d’altro canto, a ragion del vero, la politica rimane reticente ad un dialogo costruttivo con la società civile sul tema dell’immigrazione.

NOTE _____________________________________________  

1.https://www.cartadiroma.org 2.http://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/uploadfile_commissione_intolleranza/files/000/000/001/RELAZIONE_FINALE.pdf 3.http://ec.europa.eu/commfrontoffice/publicopinion/index.cfm/Survey/getSurveyDetail/instruments/SPECIAL/surveyKy/2169 .

4.https://www.istat.it/it/files//2018/12/Report-Editoria-Lettura.pdf 5.https://www.istat.it/it/files/2018/06/La-povertà-in-Italia-2017.pdf Vedi, per tutti, ultimo servizio di Milena Gabanelli sui numeri delle espulsioni 6.https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/migranti-irregolari-quando-ne-ha-rimpatriati-salvini-8-mesi-governo/accb467e-3c37-11e9-8da9-1361971309b1-va.shtml) .

7.l’Italia non è né il paese con il numero più alto di immigrati né quello che ospita più rifugiati e richiedenti asilo. Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.047.000 a fine 2017,), viene dopo la Germania, che ne conta 9,2 milioni, e il Regno Unito, con 6,1 milioni, mentre supera di poco la Francia (4,6 milioni) e la Spagna (4,4). https://www.cliclavoro.gov.it/Barometro-Del-Lavoro/Documents/2018/Ottavo-Rapporto-Annuale-Gli-stranieri-nel-mercato-del-lavoro-in-Italia.pdf I 2,4 milioni di stranieri lavoratori apportano l’8,7% di ricchezza al Pil italiano 8.http://www.fondazioneleonemoressa.org/new/wp-content/uploads/2018/10/infografica-2018.pdf cfr. da ultimo, il rapporto “Straordinaria Accoglienza” 9.https://www.inmigrazione.it/it/dossier/straordinaria-accoglienza, ed anche: Idos “Intra moenia. Il sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in Italia nei rapporti di monitoraggio indipendenti” in Affari sociali internazionali, n. 1-4/2016; “InCastrati”, rapporto 2016 10.https://www.cittadinanzattiva.it/files/primo_piano/giustizia/inCAStrati-report.pdf art. 22, D.P.R. 394/1999 il decreto flussi non stagionali e stagionali 2018 (DPCM 15 dicembre 2017) a stabilito in 30.850 la quota massima dei lavoratori non comunitari subordinati, stagionali e non stagionali, ed autonomi, di cui solo 12.850 per lavoro subordinato non stagionale ed autonomo. Numeri ridicoli se pensiamo che nel 2008 il decreto flussi prevedeva l’ingresso di 150.000 lavoratori subordinati non stagionali (DPCM 3 dicembre 2008).

11.Dlgs n. 286/1998

12.Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, nella sua relazione annuale 2018 ha affermato che, viste le dinamiche demografiche e la struttura del mercato del lavoro, “in Italia c’è una forte domanda di lavoro immigrato” e che “in presenza di decreti questa domanda si riversa sull’immigrazione irregolare”.https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Rapporti_annuali/relazione_presidente_XVII.pdf  

13.https://www.istat.it/it/archivio/222223 Secondo l’ISTAT, Nel 2016, le unità di lavoro irregolari erano 3 milioni 701 mila, ove l’incidenza del lavoro irregolare è particolarmente rilevante nel settore dei Servizi alle persone (47,2% ), ma risulta significativo anche nei comparti dell’Agricoltura (18,6%), delle Costruzioni (16,6%) e del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,2%).

14.https://www.flai.it/osservatoriopr/osservatorio-placido-rizzotto/   15..http://www.interno.gov.it/sites/default/files/rapporto_annuale_buone_pratiche_di_accoglienza_2017_ita_web_rev1.pdf 16.Decreto legge n. 113/208 convertito in legge n. 132/2018 17.http://www.interno.gov.it/it/amministrazione-trasparente/bandi-gara-e-contratti/schema-capitolato-gara-appalto-fornitura-beni-e-servizi-relativo-alla-gestione-e-funzionamento-dei-centri-prima-accoglienza   

 

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