Perché dalla Nigeria all’Italia

di Clement I. Thomas.

(Continuiamo a pubblicare alcuni brani di un libro che sarà edito nelle prossime settimane dalla Fausto Lupetti di Bologna : Io sarò la tua voce – Storie di viaggi migranti, scritto da C.I.Thomas con altre testimonianze di sette migranti africani. La traduzione e l’editing è a cura di Mili Romano e le traduzioni delle “Altre voci” sono di Marta D’Errico e Francesco Maselli.) Sono nato in Africa, in Nigeria, il 25 novembre del 1988. Io sono originariamente un Edo africano della Nigeria occidentale. Non è nuovo per noi, soprattutto nella Nigeria africana e occidentale che nel corso di molti anni e da molti anni chi appartiene agli Edo deve andar via, partire per l’Europa, e molta gente ha venduto terre e proprietà per affrontare il viaggio verso l’Europa e verso una vita migliore. Ricordo che la mia famiglia ha venduto molte proprietà e anch’io ho dovuto lavorare sodo e mettere da parte i soldi per potere almeno iniziare, a Lagos, le procedure per ottenere il visto per l’Europa. Ma dopo aver provato e riprovato, gli agenti non mi hanno potuto aiutare, e questo accade spesso in Africa occidentale: tu paghi e ciò che ricevi è un falso visto. E questo è un gravissimo problema. Molti africani emigrati illegalmente si spostano verso l’Europa o qualsiasi altra parte del mondo, e avrebbero tutte le ragioni per ottenere un visto per arrivare a destinazione sani e salvi. E invece, sai cosa succede?, che moltissimi agenti ti mangiano i soldi per anni e poi ti offrono dei falsi documenti. (…) E succede anche che molti emigrati illegali che hanno pagato a qualche agente in Libia molto denaro perché li si portasse in Europa diventano essi stessi connection, così li si chiama, connection men and women. Li si può chiamare Bugar, e sono coloro a cui paghi dei soldi perché ti trasportino in Europa. I Bugar sono i trafficanti ai quali si danno i soldi. I trafficanti di umani si chiamano con nomi diversi. (…) Potrebbe anche sembrarti buffo e inverosimile che il 40% dei migranti illegali che si trovano oggi per strada non sapessero minimamente che sarebbero incorsi in tutto questo. Alcuni talvolta non sanno neanche che dovranno attraversare molti paesi prima di arrivare alla meta, credono soltanto a questi uomini o donne che promettono loro di farli arrivare in Europa e che lì troveranno un lavoro. Molti di loro solo davanti al deserto si rendono conto che per raggiungere il paese straniero devono attraversare paesi e acqua. Una frase che essi normalmente ci dicevano quando ero ancora in Libia era: nessuno ti dice niente, nessuno può decidere. Questo significa che non si è in grado di sapere cosa sarà della tua vita sin da quando hai deciso di venire all’estero senza documenti e visto, e al momento in cui si è nel deserto non si può più tornare indietro, e si diventa automaticamente schiavi di tutte le traversie e di coloro che possono darti cibo e acqua. (…)

Cosa mi ha spinto a venire in Europa? Tutto. Il nostro governo nigeriano non ci ha dato un futuro: nessuna buona istruzione, nessun buon ospedale, nessun buon trattamento per nessuno. Così ho preso mia moglie e siamo andati via. E’ stato così duro, così difficile: il deserto del Sahara, il Niger, molti altri paesi che non ricordo neanche. Il deserto è stato terribile…. Faceva così caldo, così caldo che la pelle si spaccava. Il deserto non ha nome, non sai dove sei quando sei nel deserto.

Sono arrivato in Libia con mia moglie dopo una lunga sofferenza nel deserto del Sahara, il più grande deserto del mondo dove mi sono reso conto della morte e della sofferenza dei giovani africani, delle donne incinte e dei bambini che vengono in Europa per una vita migliore. Arrivammo a Sabha il 26 settembre del 2016, nel ghetto di Tony che è uno dei più grandi ghetti di Sabha e che è una sosta d’obbligo per i migranti che vanno in Europa. Vi si trovano migliaia di ragazzi e ragazze africani, bambini, donne incinte, sofferenti e battuti come animali. La gente ci muore ogni giorno nel ghetto di Tony, ci muore di fame e di sete, alcuni impazziscono, altri vengono sparati e le ragazze vendute e immesse nel traffico della prostituzione. Si dice che non si può scappare dal ghetto di Tony (….) In Libia per gli uomini è ancora molto difficile trovare un lavoro. E’ più semplice se si ha esperienza di un qualche lavoro in Africa. E ci sono in realtà vari tipi di lavoro che si possono fare: se non sei pigro puoi anche fare i soldi. Ma bisogna ricordare che alle donne non è permesso lavorare, nel senso che che ogni lavoro che si può trovare è per gli uomini: gli uomini fanno ogni tipo di lavoro, anche quelli generalmente ritenuti femminili. Le donne devono stare a casa. (..)

Il 21 maggio 2017 io e mia moglie siamo saliti su un barcone a mezzanotte. Era la prima volta che vedevamo il mare ed ero molto agitato perché il mare era molto grande. Eravamo 200 africani e tutti vedevamo il mare per la prima volta. Era tutto buio e freddo, c’era molto freddo e non avevamo giacche. C’erano bambini piccoli e donne incinte, e anche mia moglie era incinta, era al settimo mese. (…) Dopo poco tempo, seguendo la direzione che ci era stata indicata abbiamo trovato una nave soccorso italiana. Eravamo in mare solo da tre ore. Abbiamo iniziato il viaggio all’una e alle tre ci eravamo già persi, poi abbiamo incontrato i libici e poi la nave dei soccorsi. Prima i bambini, le donne incinte, gli adolescenti e poi le altre donne. Tutti gridavano, volevano essere salvati per primi, spingevano, ma io sono riuscito a calmarli e a convincerli. E li ho aiutati a scendere e poi per ultimo sono sceso io. Siamo stati molto fortunati perché il tempo ci è stato favorevole. Ci abbiamo messo cinque ore a passare dal barcone alla nave-soccorso. E il fatto che gli italiani si fossero congratulati con me mi ha dato forza e mi ha spinto a continuare. Ho trovato una nuova forza, una forza che non conoscevo.

Poi il viaggio verso l’Italia, verso la Sicilia, è durato tre giorni. Siamo arrivati a Pozzallo. Quando siamo arrivati in Italia eravamo forti e in salute e anche mia moglie era così forte…era al settimo mese di gravidanza e per tutta la traversata del mar mediterraneo e sulla nave-soccorso è stata bene e questo mi ha dato molta gioia perché avremmo avuto un figlio che sarebbe nato in Europa. E questo significava che i miei sogni sarebbero stati realtà, ed era una grandissima opportunità avere un figlio nato in un paese occidentale. E questa è la speranza che hanno tutti gli altri migranti africani che cercano di raggiungere l’Europa con ogni mezzo.

Noi siamo nati in un ambiente orrendo dove non possiamo facilmente frequentare la scuola e imparare, e dove c’è una carenza di sviluppo della società e attenzione e cura da parte del governo. E’ per questo che molti giovani africani arrivano in Italia con molte aspettative, sicuri e fiduciosi di guadagnare dei soldi. Ma poi i soldi son costretti a farli per la strada, e le ragazze diventano prostitute.

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