Trieste interetnica a rischio

di Melita Richter.

Il 23 maggio è stata una giornata decisamente interculturale a Trieste. Intendo intercultura, quella che si respira e vive in ambiti diversi, non la mera disquisizione teorica. Il volano degli eventi è stato ancora una volta il Progetto “Conoscere, condividere rispettando le differenze” che l’associazione dei mediatori culturali Interethnos sta realizzando con il supporto finanziario della Regione FVG nell’ambito del Programma Immigrazione 2017, assieme alle associazioni partner Luna e l’altra, associazione culturale di donne, Comitato per i diritti civili delle prostitute, associazione culturale Benkadì e Tenda per la Pace e i Diritti di Staranzano (Go).

L’appuntamento nella Casa di Musica ha coinvolto giovani delle seconde generazioni di immigrati – per quanto il termine rimane discutibile! – che hanno potuto rivelare alla cittadinanza le proprie competenze nell’ambito creativo, musicale, nel canto, ballo, disegno, scrittura. Si sono esibiti artisti in erba assieme a coloro che hanno toccato le vette di un alto riconoscimento internazionale nell’ambito pianistico. Mi riferisco alla straordinaria giovane pianista di origine serba, Antonina Tea Sala, allieva di alcuni dei maggiori docenti di fama internazionale, vincitrice di numerosi concorsi pianistici internazionali, già assistente del Direttore artistico al Teatro dell’opera Giuseppe Verdi di Trieste. Ma non solo di eccellenze si trattava al nostro incontro triestino. Si sono intrecciate storie di vita di coloro che in prima persona, o di riflesso, da ormai consolidata terza generazione di memoria migratoria, hanno evocato i valori culturali dei paesi di provenienza delle famiglie e la cultura della terra di riferimento della loro esistenza, l’Italia.

In una parola, siamo stati partecipi ed esposti piacevolmente al “metissage” culturale che trae origini dall’educazione e dalla cultura di origine assorbita fin dalla nascita e apre ai giovani (immigrati o figli di coppia mista) la via della ricerca di una propria identità. Si sono delineati così dei ruoli a volte inversi, come per esempio nel caso della comunità cinese dove sono le seconde generazioni a mediare l’integrazione delle famiglie di primo arrivo, attente a realizzare il progetto economico e di prosperità e poco inclini all’inclusione nella società italiana.

Si è parlato di stereotipi e di malessere, ingredienti d’obbligo sulla via dell’acculturazione. Si è riflettuto anche sui diritti di cittadinanza dei figli dell’immigrazione nati e/o cresciuti in Italia, di cui aveva parlato ancora nel lontano 2007 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Un tema sicuramente da portare avanti, nonostante lo stop politico formale. E’ una questione di civiltà e le seconde generazioni lo sentono. Ci sono forme di democrazia alla quale partecipano, una è stata raccontata a voci plurime; la Consulta degli immigrati residenti in Trieste, eletta recentemente, un organo dal volto nuovo, giovane e competente.

Valorizzando il protagonismo sociale e artistico dei giovani immigrati il Progetto ha tradotto in realtà il dialogo interculturale.

Ma, non è finita. La giornata si è conclusa con un altro significativo passo sulla via della promozione della cittadinanza attiva. In collaborazione con il Teatro lirico Giuseppe Verdi, abbiamo assicurato la presenza di donne di recente immigrazione, donne dall’Afganistan, dagli USA, dal Malawi, dalla Nigeria e dal Brasile, all’opera lirica “L’italiana in Algeri” di Gioacchino Rossini. Al contatto con il Teatro, i loro occhi e i loro volti si sono illuminati di stupore e di godimento. Anche questo rientra nell’obbiettivo che il Progetto insegue:

Avvicinare i luoghi simbolici di ‘cultura alta’, come lo è il Teatro dell’Opera, luoghi che per vari motivi non sono frequentati da immigrati, a questa popolazione dei nostri concittadini, con convinzione che il teatro e la cultura universale siano potenti veicoli di diffusione di conoscenza e di inclusione culturale. E a volte di un’autentica gioia.

Ma non tutto è oro quello che luce a Trieste e nei dintorni.

Alle partner del progetto, le associazioni Benkadì e Tenda per la Pace e i Diritti  che operano sul territorio  monfalconese, alla richiesta al Comune di poter  prendere parte alla mostra-mercato in piazza in occasione della manifestazione primaverile  “Monfalcone in fiore” dedicata al tema dei fiori, dove le donne bengalesi – componenti la significativa presenza degli immigrati sul territorio cittadino -, avrebbero potuto esibire la loro arte di creare i fiori di carta e portare l’oggettistica del proprio paese, pronte a dialogare con i visitatori, alla semplice domanda di apparire in piazza assieme agli altri esercenti, ecco cosa risponde la Giunta comunale (estratto):

 “Il documento Unico di programmazione prevede la valorizzazione e promozione di eventi e identità locale; in seguito agli elementi sopracitati si esprime parere sfavorevole alla realizzazione della manifestazione da voi proposta in quanto l’evento (…) non possiede le caratteristiche volte  a valorizzare la tipicità e la tradizione del territorio.”

Ci risiamo. L’ottica di chi governa il Comune di Monfalcone (sindaca Lega Nord) interpreta il territorio come spazio dove esibire la purezza nazionale. Non rendendosi conto / non volendosi rendere conto del fatto che chi oramai da decenni vi abita e lavora negli stabilimenti Fincantieri sono prevalentemente stranieri, a maggioranza bengalesi. Chi ci vive e lavora e manda i figli a scuola, fa parte del territorio.

Un’altro avviso preoccupate, ma un chiaro segnale dei tempi della svolta politica della prospettata ‘terza repubblica’ è le dichiarazione del neoeletto governatore della Regione FVG, (Lega Nord) in occasione della prima riunione dell’esecutivo: “Via i migranti dalle strade e stop all’accoglienza diffusa”.[1]

La fatica e l’entusiasmo che molte associazioni della società civile investono quotidianamente in un processo di inclusione degli immigrati e contro la loro ghettizzazione, possono essere messi a rischio e/o cancellati da chi ancora trova la soluzione al fenomeno migratorio in marginalizzazione dell’altro e diverso.

[1] Il Piccolo, Trieste, 25 maggio

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