Lampedusa : Il respiro dell’Isola

di Maria Cristina Mauceri  – Univ. Sydney

Dialogo con Giovanna Pandolfelli sul suo romanzo “Il respiro dell’isola”

Già nel 2017 ebbi modo di scrivere di Giovanna Pandolfelli, un’italiana che da anni risiede in Lussemburgo e che si occupa di bilinguismo e aveva pubblicato due raccolte di racconti http://www.mondita.it/scrittrici-migranti/. Ha anche pubblicato un bel libro per bambini, in italiano col testo a fronte in inglese, Le avventure di Arpetta, (Edizioni Didattica attiva 2017,) scritto a quattro mani insieme alla figlia, Livia van der Jeught e illustrato magnificamente da Sonia Lagorio. Come ha detto Pandolfelli si tratta di un testo che unisce l’amore per la musica e l’interesse per la letteratura. È una favola che racconta come nasce una complicità e un dialogo tra la protagonista, Lucilla, e l’arpa che impara a suonare.

Più recentemente Pandolfelli ha pubblicato un romanzo, Il respiro dell’isola (Edizioni d’Arte Kalós 2020), con cui ha rivelato la sua solida formazione letteraria, l’intensità del lavoro di ricerca che prelude alla scrittura e una grande sensibilità per tematiche femminili nonché migratorie. Va precisato che questo romanzo non tratta solo di migrazione, ma anche della realtà di crescere e vivere su di un’isola che subisce nel corso del tempo rapide trasformazioni, come del resto è accaduto nella terra ferma. Non ho voluto scrivere una recensione, se ne possono trovare diverse e interessanti a questo indirizzo https://www.sfogliami.it/fl/201654/y2xtdgu2pv2qbp8n4dt78em5prt62tf#page/1. Ho preferito invece dialogare con la scrittrice, facendole alcune domande.

MCrM: In quanto italiana che vive da anni all’estero ti interessi da tempo ai temi dell’alterità e li hai declinati in modi diversi, penso alla tua raccolta di racconti Terra mare altrove. Vorrei sapere come è nata l’idea di scrivere questo romanzo e di trattare il modo in cui reagisce una comunità che da tempo è esposta all’arrivo di stranieri?

GP: La tua domanda coglie proprio nel segno, l’alterità è ciò che mi interessa investigare, in tutte le sue forme. La tematica della migrazione in questo romanzo fa da sfondo all’isola, che risulta essere uno spazio metaforico di incontro tra il sé e l’altro. La dimensione isolana mi affascina per le sue caratteristiche di accoglienza pur nella condizione concreta, geografica, di confini limitanti, di ponti tagliati. Quasi a voler sfidare le leggi della fisica, gli isolani gettano ponti emotivi laddove non ci sono collegamenti geografici. L’idea iniziale di questo romanzo l’ho dentro da tanto tempo, da quando ho letto L’isola di Arturo che è uno dei miei fari guida nella scrittura. L’altro è Gita al faro di Virginia Woolf che esplora metaforicamente la dimensione dell’isola. Di entrambe queste opere sono pregne le mie righe da cui emerge una rielaborazione emotiva dell’Isola.

MCrM: Nel romanzo dimostri di conoscere bene l’isola, i lati positivi e anche negativi dei suoi abitanti, mi domando se sei stata a Lampedusa e/o come ti sei documentata?

GP: Non sono stata a Lampedusa e dopo lunga riflessione durante la stesura del romanzo ho deciso di non andarci appositamente poiché il mio romanzo voleva essere il risultato di un’interiorizzazione di concetti e una connessione viscerale con una dimensione che trascende il luogo geografico. Per questo scopo è stato nondimeno necessario documentarmi sulla realtà di Lampedusa, ho letto tanto a cominciare dalle testimonianze del dottor Bartolo, ai saggi dell’antropologo Marco Aime, del giornalista Davide Cammarone, oltre a studi scientifici su tematiche inerenti ai confini e alla migrazione di Paolo Cutitta e di Gilles Reckinger. La fase di ricerca è un momento molto bello della scrittura, ti permette di esplorare nuovi mondi, di immergerti in nuove realtà. Spesso lo paragono ad un attore che deve interpretare un nuovo personaggio, diverso da sé ma a cui si sente legato: il momento di interiorizzazione del mondo del personaggio permette allo scrittore di tuffarsi in acque meno sicure, fuori dal controllo del confort quotidiano, portandolo a scoprire realtà inaspettate anche dentro se stesso. È questo che mi è successo scrivendo Il respiro dell’Isola, ho scoperto nuove isole interiori.

MCrM: Bella la tua metafora di ‘tuffarsi in acque meno sicure’, un po’ quello che succede a chi si trasferisce in un altro paese. Ho trovato molto interessante il modo in cui hai trattato il tema dell’alterità. La protagonista, Angela, che essendo claudicante fin da piccola ha sperimentato cosa significhi essere diversa, si identifica subito e ama Mariasole. Nel romanzo viene detto “la donna si rispecchiava nella condizione della bambina, poiché entrambe portavano sul proprio corpo i segni visibili della loro diversità”. Angela però ci tiene ad insegnare alla bambina a non sentirsi diversa, in una società che sta cambiando e dove arrivano sempre più persone straniere che si inseriscono. Sei d’accordo con questa analisi?

GP: D’accordissimo. Angela si rispecchia nel sentimento di diversità della bambina. Tuttavia, lei stessa da bambina ha sofferto e combattuto per accettarsi e spera che la sua esperienza possa servire a sua figlia nel percorso di crescita di quest’ultima. Il romanzo è una storia di diversità che si intrecciano, Angela, Adele, Amina sono tutte confrontate con una società che giudica. Scopriamo poi che anche nei personaggi minori esiste un lato imperscrutabile che li rende unici, la madre di Angela che a modo suo tenta di lottare contro i pregiudizi, il barcaiolo, figura a cui sono particolarmente affezionata, ormai ultimo costruttore di barche sull’isola, combatte l’oblio e l’indifferenza recuperando oggetti perduti nei naufragi che nessuno poi verrà a reclamare. Il padre di Angela anche lui alla sua maniera lotta contro il pregiudizio di genere. Quasi tutti i personaggi anche quelli minori tendono verso un centro che vorrebbe vedere azzerati stereotipi e ingiustizie.

MCrM: Angela, Adele , Amina, persino la bambola ha un nome che inizia con la lettera A perché? GP: Potrei dirti che dietro c’è stata una ricerca etimologica o un intento di attribuire loro un ruolo di nuovo incipit, di alpha di una nuova esistenza. Ma lascio ai critici letterari queste riflessioni. A volte la penna va da sola e lo scrittore è suo prigioniero. Quanto alla bambola, Antonella è l’unico personaggio realmente esistente, è sgraziata e di pezza come l’ho descritta e si chiama Antonella anche nella “realtà”. Ci sono alcuni video di Antonella a testimonianza di ciò che dico. MCrM: Mi è sembrato che tu abbia voluto attribuire ad Angela e Adele, seppur in modo differente, la funzione di guaritrici, perché? È una funzione anche simbolica?

GP: Certamente, ed è presente anche in altre figure femminili del romanzo. Ognuna di loro, a modo suo, ha un potere di curare le ferite, proprie e di chi sta loro attorno. È un ritorno al potere ancestrale del matriarcato, il potere di dare la vita, di curare e talora di toglierla. Proprio come il ventre marino. Che accoglie, dà la vita e può anche toglierla. È il potere del femminile che emerge dalle acque, il potere antico della soffio vitale, quel respiro di cui l’Isola è pregna.

MCrM: Nel romanzo hai evidenziato aspetti diversi della maternità, hai donne che accolgono con gioia figlie che agli occhi della comunità appaiono differenti. Hai però creato anche personaggi femminili che rifiutano la figlia, penso alla madre di Angela che non accetta la sua scelta di adottare una bambina africana. Amina stessa rifiuta la maternità, vorrebbe poter abortire perché la figlia che porta in grembo nasce da una violenza. In questo modo vuoi far riflettere come la maternità sia a volte un mito e non sempre un’esperienza gioiosa?

GP: Il diverso atteggiamento delle donne del romanzo vuole essere un affresco del panorama emotivo che la maternità può provocare nella donna. Nel pieno rispetto dei desideri e delle esperienze di tutte, ma nel pieno rispetto anche della vita che nasce, non c’è intento ideologico dietro i miei personaggi, ma la ferma volontà di osservare con il giudizio sospeso, le reazioni e i desideri delle donne rispetto all’esperienza di diventare madri. Tra queste, sono d’accordo con l’affermare che intorno alla maternità c’è ancora oggi un mito di gioia e spensieratezza, cosa che non agevola la comprensione delle reali ed effettive difficoltà e disturbi della donna legati alla maternità.

MCrM: Hai attribuito a Mariasole qualche stranezza dovuta alle sue origini diverse. Io percepisco queste stranezze, la sua sinestesia (associare le persone a colori, suoni e numeri) come un tocco di esotismo che hai voluto dare a questo personaggio. Non pensi che in questo modo sottolinei ulteriormente la sua diversità?

GP: Al contrario, Mariasole può presentare “stranezze” proprio come chiunque altro. La sinestesia la rende piuttosto particolarmente sensibile nei rapporti con gli altri. La sinestesia è una condizione non tanto rara quanto si possa pensare e può manifestarsi in chiunque, indipendentemente dall’origine, dal colore della pelle o dalle esperienze pregresse. Nel caso specifico, ho voluto inserire un elemento che contiene un riferimento autobiografico. La sinestesia rende Mariasole unica, speciale e non per il suo colore della pelle o il suo passato, ma piuttosto per un fenomeno neurologico che le concede di vedere oltre le apparenze. La “trappola” dell’esotismo è la stessa che coglie Angela, sua madre adottiva, nel difficile processo di accettazione e adattamento ad una realtà altra, regalatale dalla vita, sebbene da lei fortemente voluta e auspicata. Anche ciò che più si ama e si desidera può necessitare poi di uno sforzo di accettazione da parte nostra.

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