Camminando con Édouard Glissant, Edward Said e gli altri

Michela Becchis – Università Tor Vergata di Roma

«L’artista ha il compito di trarre da molte un’unica cosa e di creare un mondo  dal più piccolo frammento» (R. M. Rilke, Su Rodin)

Cominciare una rubrica che parli di arte in chiave multietnica, obbliga a qualche riflessione preliminare e condivisa, una sorta di benvenuto a chi si misurerà con la difficoltà più semplice del mondo, guardarsi agire nelle relazioni.

L’arte è di per sé multietnica anche quando non è frutto di un manifesto programmatico che l’assegna a questo ambito. Se non ci si dimentica il valore della storia, apparirà più facile pensare che non esiste – e mai è esistito-  un oggetto artistico che non sia scrigno anche inconsapevole di infinite culture, appartenenze ed esperienze e tanto più un’opera d’arte, o un pensiero artistico, raggiungono un alto livello di compiutezza, tanto più si pongono al mondo come “crocevia”.

Come scrive Édouard Glissant un’opera «è “completa” perché nella stessa vocazione al radicamento propone anche, immediatamente, la vocazione all’erranza». Non è mai banale ricordare che l’arte è una relazione e che senza quella relazione il senso viene meno. Ogni identità si costruisce in base a delle interconnessioni tra due o più soggetti, siano essi individuali o collettivi e mai come nell’arte questa costruzione si esibisce, è fulcro del progetto artistico quand’anche capricciosamente o maliziosamente negata. Nel corso di questa rubrica, si vedranno luoghi, artisti, mostre dove anche la riflessione su proprie specificità non intende mai costruire una separazione. Sempre Glissant, grandissimo testimone della ricchezza delle molte radici che si intrecciano tra di loro, scrive nell’emblematico Poetica del diverso «Vivere la totalità-mondo a partire dal luogo che ci è proprio significa stabilire una relazione, non consacrare un’esclusione». L’arte e chi la produce sono in un continuo de-localizzarsi che diventa strumento di conoscenza per tutti e non può che venire in mente quell’idea di necessario movimento del pensiero che si fa azione, nel caso della nostra rubrica oggetto estetico, che accomuna il pensare mondialmente di Gramsci alla Traveling Theory di Edward Said.

Said metteva in evidenza il fatto che se esisteva il pericolo che la transumanza della riflessione filosofica, artistica di una data cultura ne potesse in parte disinnescare il potenziale cruciale e rivoluzionario (cioè di capovolgimento del mondo), tuttavia era questo il solo modo, auspicato da Gramsci stesso, affinché quella stessa riflessione trovasse nuova forza, nuovi motivi per mantenersi cogente, viva e capace di tradursi in un’azione di cambiamento. Ma chi guarda un’opera d’arte, allora chi è? È l’Intruso cioè quello che, secondo l’etimologia, vuole passare attraverso. Passare attraverso confini, differenze, culture, visioni, forme ed emozioni altrui per farne tesoro. Anche senza saperlo.

Buon viaggio allora, alla prossima con Anish Kapoor, dentro il MaaM, (Museo dell’Altro e dell’Altrove di ROMA) seduti al bar con Leila Mirzakhani, Takoua Ben Mohamed….e gli altri.