L’economia in Europa e Italia cresce grazie ai rifugiati

di Marco De Cave

A fine 2017, la Commissione Europea prevede l’arrivo totale di 3 milioni di rifugiati in Europa, un numero mai visto nel continente europeo che non può essere più ignorato, nemmeno dal punto di vista economico. Secondo studi del Fondo Monetario Internazionale, è possibile corrispondere l’arrivo dei richiedenti asilo ad un aumento della spesa pubblica e quindi della domanda aggregata. Ciò significa che, nel breve periodo, l’arrivo di un numero consistente di persone, corrisposto alle spese di accoglienza, porta ad un modesto aumento del PIL (prodotto interno lordo). Questo effetto si concentra soprattutto in tre paesi, Germania, Austria e Svezia. Anche l’Italia ha avuto effetti positivi sul PIL, soprattutto per la destinazione di investimenti che hanno prodotto un sistema di accoglienza definito a “cipolla”, per cui si affiancano  Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).

A livello Europeo, la crescita del PIL è prevista dello 0,2%, con forti differenze nazionali a seconda dell’impatto dei rifugiati e delle operazioni politiche di integrazione messe in atto dai governi. Le cifre di diverse fonti sono sugli stessi valori, ma tutte arrivano alle stesse conclusioni.

Le prospettive di crescita risultano fortemente condizionate dall’evoluzione del tasso di partecipazione dei rifugiati e dalla rapidità con cui essi vengono inseriti nel mercato del lavoro. In altre parole, se lo stato di accoglienza, di concerto con l’Europa, non interviene con progressive misure di facilitazione di lavoro, alloggio, formazione, i rifugiati diventeranno progressivamente un problema sociale di integrazione e competizione al ribasso nel mercato del lavoro. Tali misure, tra l’altro, debbono essere correlate con più ampi interventi sul fenomeno della povertà.

Quindi, nel periodo più lungo, gli effetti macro-economici positivi possono essere mantenuti solo con politiche lungimiranti, che non creino competizione tra poveri. Questo si sta già verificando in Italia, per cui si parla di cifre stratosferiche, con un ammontare di spesa sui 15-30mila euro per migrante, ma che non riesce a produrre effetti strutturali, soprattutto per l’orientamento al profitto dell’intera accoglienza. Hotel, ex resort, cooperative, consorzi: sono 700 e gli 800 milioni assorbiti nell’anno 2014.(Internazionale, Stefano Liberti 2014). “Di questi”, come continua Liberti, “una porzione minima arriva dall’Unione europea, attraverso il Fondo asilo, migrazione e integrazione (Fami), che destina all’Italia per il periodo 2014-2020 poco più di 320 milioni di euro, ossia circa 45 milioni l’anno. Il resto lo mette il governo centrale” (dati del 2014).

Secondo le ricostruzioni fatte con i dati del governo centrale, nel 2014 si sono spesi 139 milioni di euro per i centri governativi d’accoglienza, 277 milioni per le strutture temporanee, 197 milioni per i centri Sprar comunali. E ancora: per il 2015 il Viminale fissa «in 918,5 milioni le spese relative alle strutture governative e temporanee e in 242,5 milioni le spese relative ai centri Sprar, per un totale quindi di 1.162 milioni». Non solo. Visto l’aumento clamoroso dei migranti accolti (oggi ben 171mila rispetto ai 103mila del 2015), i costi sono destinati a lievitare ulteriormente. Sul 2016 le cifre sono ancora in fieri, come mostra invece un altro prezioso lavoro di Caritas Italiana insieme ad altri importanti enti italiani.

Tale flusso di denaro, tuttavia, non va affatto ai migranti, come viene proclamato da partiti xenofobi. Ciò che accade è che lo stato finanzia un indotto virtuoso, o meglio: che potrebbe anche essere più virtuoso. Moltissime persone lavorano nel settore, italiane, specializzate, che trovano nello SPRAR una forma importante e dignitosa di lavoro: oltre 8.200 gli impiegati in totale. È certo che gli SPRAR possono essere duraturi solo se l’accoglienza sarà seria e strutturale: l’Italia, purtroppo, di lungimiranza è mancata, a partire dalla propria storia repubblicana. Vedere un’integrazione seria sarà difficile, soprattutto se si fa il confronto con la presenza degli “altri” stranieri che oggi costituiscono quasi il 10% della popolazione dell’Italia a cui mai nessuno ha detto #welcometoItaly.

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