Imagine all the people walking on the road

di Tana Anglana.

 

Ho attraversato un confine camminando su un ponte.

Solo 15km alle spalle quel giorno, ma tutto il Portogallo del nord già percorso a piedi sul Cammino di Santiago di Compostela. La fatica si dissolve quando il Rio Minho si mostra e, con lui, anche l’approdo alla Spagna. L’ultima città del Portogallo e la prima città spagnola sul cammino portoghese si guardano dalle sponde opposte del fiume che segna il confine. Un ponte fa da cucitura, da preziosa fibbia che tiene uniti i lembi di due paesi.

Immediato il senso di privilegio: la libertà di attraversamento, di accesso al territorio, la certezza dell’accoglienza, il benvenuto ai pellegrini. Inevitabile il confronto con gli altri confini chiusi e feriti. Impossibile non pensare ad altri esseri umani a cui l’accesso è negato, il cui passo è sbarrato.

Camminare purifica, ci restituisce ingenuità e innocenza e quindi non posso fare a meno di immaginare un’umanità in cammino in cui le regole del pellegrinaggio si applicano alla convivenza umana.

I Cammini sono molti, partono da diversi paesi e ne attraversano altrettanti. Immaginate un reticolo di vie percorse da migliaia di pellegrini che puntano tutte verso il luogo sacro – nel senso più ampio del termine – che è destinazione finale. Immaginate gente di tutto il mondo che si unisce in una comunità dinamica, che comunica attraverso una originalissima e altrettanto dinamica mescolanza di tutte le lingue possibili, che osserva un regolamento non scritto il cui cardine è il rispetto: per l’altro, per la natura, per i luoghi che si attraversano e in cui ci si ferma.

Le difficoltà di uno sono quelle di tutti. Nessuno rimane indietro da solo. Mai. Le risorse di ogni pellegrino sono condivise: dai rimedi per gli acciacchi da camminata prolungata e durissima, alle piccole riserve di energia (noci, banane, fichi secchi) per affrontare lunghi percorsi deserti, senza mai dimenticare il supporto morale, l’ascolto. In cammino si ascoltano storie di vita incredibili, si mettono in prospettiva le difficoltà, si guarda alla propria vita come un piccolo pezzo perfetto di un puzzle complesso e magnifico.

Arrivare da soli non è divertente. Le poche tappe in cui non ho condiviso nulla con altri camminanti sono state le più tristi. Arrivare in gruppo è la gioia più grande. Per poter arrivare tutti insieme a volte si rallenta il passo, ci si ferma. Farsi raggiungere dai compagni di cammino è un piacere che prepara alla gioia travolgente di arrivare a destinazione tutti insieme. Come non pensare alle politiche economiche europee, a quanto fino ad ora siano state l’opposto, a quanto abbiano lasciato indietro i paesi in difficoltà e non abbiano aggiustato il passo per creare una comunità orgogliosamente in cammino verso un obiettivo costruttivo per tutti.

Spesso, la via giusta è in salita. Così come per molte scelte importanti, non ci sono scorciatoie. La fatica e la sofferenza vanno accettate. Nessuno prenderebbe una strada alternativa pianeggiante, sapendo che comporterebbe molti chilometri in più di cammino. Non ci sono accomodamenti per assecondare la diffusa preferenza per percorsi meno faticosi. Il cammino non ascolta “la pancia” dei pellegrini…

La natura è il tempio magnifico che accoglie. Chiedete a qualunque pellegrino quali sono i passaggi peggiori di un percorso, scommetto che vi risponderà “i tratti su asfalto”, “le periferie delle grandi città”. Chi è in cammino non ha dubbi sull’urgenza di arrivare a politiche condivise per una solida sostenibilità ambientale. Perché ha vissuto il caldo torrido e senza appello che restituisce una strada asfaltata. Perché ha sentito come una cicatrice sulla pelle la periferia industriale tossica che lo ha strappato da boschi freschi che sembrano usciti da una favola incantatrice.

La condivisione è un passaggio imprescindibile. Tutto è in comune: la tavola dei pasti, i lavatoi per il bucato, i bagni, i letti e, con loro, il faticoso percorso di accettazione delle umane debolezze. Tutti i compiti quotidiani sono svolti con il pensiero fisso di lasciare sempre spazio e risorse agli altri pellegrini. Nessuno viene prima degli altri per qualche oscuro diritto acquisito.

Il denaro è solo un mezzo. La vita del pellegrino richiede pochissimo, non acquisti cose superflue perché ne sentiresti il peso sulle spalle caricandoti lo zaino. Si potrebbe addirittura parlare di “Decrescita Felice” applicata, se non fosse diventato così stupidamente impopolare. Molti degli ostelli che ti ospitano riportano la scritta “donativo”: significa che lascerai qualcosa se puoi, ma se non hai risorse puoi contare sulla maggiore disponibilità di altri pellegrini passati prima di te.  Prima o poi, in cammino, tutti hanno bisogno. Lo capisci chiaramente al termine di una lunga salita affrontata sotto un sole impietoso, quando ti trovi davanti a un banchetto allestito da qualche amorevole locale con tanto di acqua fresca e limoni. “Prendete liberamente” dice la scritta. Mi ritrovo a benedire uno sconosciuto che mai incontrerò, adorando la semplice perfezione di acqua fresca e limone.

L’unico documento richiesto è la credenziale del pellegrino. C’è scritto solo il tuo nome, da dove sei partito e dove sei diretto. Riporta se il tuo cammino lo farai a piedi, a cavallo o in bicicletta. Nient’altro. Sei parte di una vasta comunità transnazionale ricchissima e questo senso di appartenenza non lo perderai più, conferisce orgoglio, sicurezza e libertà. Sei un essere umano in cammino, definizione semplice, completa e liberatoria. Non hai bisogno d’altro e ti senti al sicuro.

Molti dicono che il cammino sia una metafora della vita, una versione concentrata di tutte le fasi che affrontiamo nell’arco della nostra esistenza. Io credo piuttosto sia una finestra aperta su una possibilità. Il cammino ti offre il privilegio di vedere come potrebbe essere un’umanità solidale, rispettosa e attenta. Riesci a toccare con mano l’utopia di una società sostenibile in tutti i suoi pilastri: ambientale, sociale ed economico…così come prescrivono i nuovi obiettivi dell’agenda di sviluppo UN.

Rido intimamente di queste mie riflessioni mentre sono in fila con altri pellegrini a Santiago, aspettando di ricevere la mia Compostela, il mio “certificato di pellegrina”.

Alle mie spalle un camminatore britannico, un gentleman di altri tempi che sfoggia il viso radioso di chi ce l’ha fatta ad arrivare fino qui. Si ride, come sempre, raccontando storie di viaggio, esperienze al limite del credibile. Ad un certo punto Joseph si fa serio, mi guarda e dice: “Voglio stilare il manifesto del cammino. Si, sarà una sorta di decalogo. Non ho ancora chiaro cosa scriverò, ma una cosa è certa: proporrò l’obbligo per ogni politico di fare il cammino almeno una volta nella vita”.

Forse le mie riflessioni, i miei paragoni azzardati, non sono poi così ingenui allora… Effetti del cammino: l’utopia si veste di possibilità.

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