Basta odio basta hate speech !

di Antonio Luzi

Nel nostro paese l’espressione Hate Speech viene tradotta con la frase “Incitamento all’odio”, e negli ultimi tempi grazie, e non certamente per colpa esclusiva, ai cosiddetti social network come Facebook, Twitter e così via, il florilegio di attacchi a persone, idee e sembra essere divenuto uno sport nazionale.  Molto spesso personaggi politici, o semplicemente conosciuti perché hanno avuto notorietà televisiva, lanciano messaggi di odio fregandosene ampiamente, di verificare se ciò che dicono corrisponde alla verità e non tenendo in alcuna considerazione il fatto che il loro modo di esprimersi oltre che falso è, soprattutto, inutilmente offensivo. Potremmo fare migliaia di esempi, ma in questo articolo vorrei cercare di approfondire il concetto di Hate Speech e cercare di collocarlo all’interno di una analisi che prenda anche in conto ciò che accade nel resto del mondo.

Iniziamo quindi dal definire il concetto di Hate Speech.

Si tratta, di un discorso che attacca, minaccia o insulti una persona o un gruppo sulla base di origine, etnia, colore, religione, genere, identità di genere, orientamento sessuale o disabilità nazionale.

Nella legge di alcuni paesi, il discorso dell’odio è descritto come un discorso, un gesto o un comportamento, una scrittura che è vietato perché incita violenze o azioni pregiudizievoli contro un gruppo o un individuo in base alla loro appartenenza al gruppo o perché disprezza o intimidisce un gruppo protetto.  Il negazionismo, l’odio politico, l’apologia di regimi, la discriminazione etnica o basata sulle abitudini sessuali, l’odio religioso e razziale, l’attacco al diverso in ogni sua accezione, la propaganda terroristica sono i temi che vengono affrontati nei vari Hate Speech e su cui è nostro dovere non far cadere l’indifferenza e che bisogna contrastare. In alcuni paesi, una vittima dell’Hate Speech può richiedere il risarcimento sotto il diritto civile, il diritto penale o entrambi. Un sito web che utilizza il linguaggio dell’odio può essere chiamato sito fomenta l’odio.C’è stato, ed ancora c’è un dibattito sulla libertà di espressione, il linguaggio dell’odio e la legislazione per l’odio, su cui poi torneremo.

Vale la pena di ricordare che nel corso delle Elezioni Europee del 25 maggio 2014, l’Associazione ENAR (European Network Against Racism) ha monitorato le dichiarazioni discriminatorie segnalate dai cittadini, ed ha lanciato un rapporto che può essere letto andando su questo link : http://www.enar-eu.org/NoHateEP2014-campaign-second-hate .

C’è da dire che se nel resto d’Europa i vari candidati politici alle elezioni europee hanno attaccato diverse categorie di persone, quali migranti, stranieri e richiedenti asilo, persone LGBTI (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender e Intersexual, musulmani, il nostro paese si è caratterizzato per il maggior numero di dichiarazioni discriminatorie verso migranti, richiedenti asilo e musulmani. Questo è frutto di strategie elettorali che hanno giocato sul disagio socio economico che colpisce, da vari anni, il nostro paese, per creare confusione ad esempio sulla differenza tra clandestini e rifugiati politici: il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione.

L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Inoltre la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, un trattato delle Nazioni Unite nato dall’esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976, stabilisce le categorie di diritti umani e al punto tre recita delle misure per la protezione contro le discriminazioni basate sul sesso, l’etnia o la religione, e quelle di altro genere.

In Italia non esiste, a quanto io sappia, una normativa specifica sull’Hate Speeech, mentre in altri paesi essa è stata emanata. In Germania il “Volksverhetzung”, (incitamento all’odio popolare),  è un reato punibile ai sensi della Sezione 130 dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco) e può portare a cinque anni di reclusione. La sezione 130 lo rende un crimine per incoraggiare pubblicamente l’odio contro parti della popolazione o per chiedere misure violente o arbitrarie contro di loro, o insultare, o diffamare in modo violento la loro dignità umana (costituzionalmente protetta). In Germania è punibile anche se commesso all’estero e anche se commesso da cittadini non tedeschi, se solo l’incitazione dell’odio si attua all’interno del territorio tedesco.E’ sufficiente, per esempio, che il sentimento sedizioso sia stato espresso in scrittura tedesca o in lingua e reso accessibile in Germania.

Prima di arrivare a capire e definire quali siano le possibili strategie per contrastare l’Hate Speech, non dimenticando ovviamente che un sanzionamento legato ad una norma di legge sarebbe necessario, dovremmo però chiederci da dove nasce questo odio che cammina nella nostra società, cosi come in molte altre parti del mondo, in maniera subdola e che sta avvelenando le nostre relazioni. C’è chi dice che molti fra i commentatori violenti esprimono la loro violenza, il proprio odio, apertamente ed in forma non anonima, perché hanno “sentito” nell’aria che la propria opinione era legittima. E’ stata legittimata dalla violenza dei commenti verbali quotidiani, dalla violenza della narrazione giornalistica, e soprattutto di quella televisiva, dalla violenza di alcuni movimenti politici come FN o Casa Pound, o di alcune frange di movimenti politici (Grillo ma non solo lui, accompagnato da Salvini o dai fratelli d’Italia).

Insomma per questa tipologia di commentatori, esprimere la violenza espressa per iscritto o verbalmente non è solo socialmente accettabile, ma è anzi addirittura socialmente legittima, poiché essi hanno la percezione che il mondo intorno a loro sia violento. Ci sono addirittura alcuni esperimenti neuro scientifici condotti negli USA da Chon Noriega che hanno dimostrato che l’esposizione a programmi commerciali radiofonici trasmettenti messaggi violenti nei confronti degli immigrati clandestini messicani provocava, negli ascoltatori statunitensi, un aumento dei livelli di stress e ansia misurabili attraverso marcatori quali cortisolo e testosterone presenti nella saliva.

(Chon Noriega, F.J. Iribarren (2012), USING BIOLOGICAL MARKERS TO MEASURE STRESS IN LISTENERS OF COMMERCIAL TALK RADIO (PDF) – UCLA)

Come contrastare l’Hate Speech?

Ci sono varie possibilità e varie e/o proposte che circolano.

Si va da proposte come quelle di Raphael Cohen-Almagor (2014, COUNTERING HATE ON THE INTERNET – A REJOINDER), che propone l’inutilità di contrastarlo con una contro-propaganda (speech vs speech) e propone invece l’adozione di regolamenti nelle scuole primarie e secondarie, nelle università e nei luoghi di lavoro che vietino le espressioni d’odio e vengano accettati dagli utenti che verrebbero messi a conoscenza di essere sottoposti a controlli online e offline. In aggiunta a questo Raphael propone anche un’azione sugli algoritmi dei motori di ricerca per filtrare i discorsi d’odio mascherati da fonti storiche.

Ora bisogna dire e ricordare che le piattaforme sui cui circolano espressioni d’odio, da Facebook a Twittet o Instagram e così via, sono tutte statunitensi e sono nate basandosi sull’idea statunitense che il Governo non deve intervenire in alcun modo nel regolamentare il libero mercato delle idee, altrimenti vi è il rischio che si alteri l’intero ecosistema, mentre noi europei ci aspettiamo, come da nostra tradizione, un certo tipo di tutela e di intervento dello Stato. C’è poi il fatto che l’odio online rimane attivo per lunghi periodi di tempo, e che anche se rimosso dal web, può facilmente ritornare online sotto diversa forma o titolazione, e in più c’è il fatto che una delle cose che fa sentire i produttori di odio impuniti è che hanno la possibilità di rimanere anonimi sulla rete.

Da un punto di vista puramente teorico raggiungere lo scopo di eliminare l’Hate Speech potrebbe essere molto semplice. Si tratta di metter in piedi un sistema computerizzato che analizzi tutti le comunicazioni che circolano in rete e che blocchi le espressioni d’odio. Facile da dirsi, ma praticamente impossibile da attuare.

La difficoltà maggiore e quasi insormontabile è legata alla complessità del linguaggio umano, qualunque sia la lingua che viene utilizzata, ed è per questa ragione che oggi, in attesa di sviluppi del computer, che però sembrerebbe trasformarlo sempre più in un grande fratello, ci si affida quasi unicamente alle segnalazioni degli utenti, cercando di dare alla comunità degli utenti, un ruolo da “cane da guardia”, che ci aiuti a reagire, in tempo quasi reale, e ci permetta il blocco di episodi critici. L’altra strada è quella di fare un grande lavoro politico e sociale che riesca ad elaborare un modello di intervento che possa coniugare tecnologia, educazione e diritto.  La tecnologia cosi come è in grado diffondere l’odio, sarebbe perfettamente in grado di diffondere amore, pacatezza e a far ragionare.  A ciò va aggiunto che è necessario, anzi direi indispensabile, un forte aumento di attivismo civico che porti molte persone a contrastare, in maniera ferma ma pacata, tutte quelle espressioni d’odio che si basano su falsità, stereotipi e fotomontaggi o alterazione, anche sottile, della verità.

È vero che il dialogare con chi semina odio è sempre molto complesso (chi odia sembra sempre essere molto più motivato di chi cerca di intavolare discorsi ragionati) e spesso la prima reazione è quella di lasciar perdere, ma è anche vero che, in molti casi, il restare fermi contribuisce a questo clima e a questi fatti. Il diritto rimane un grande problema perché lo scontro fra la libertà di espressione ed il diritto a non essere offesi e insultati, è un dilemma che, personalmente, non so come possa essere risolto.  Il primo rischio che mi viene in mente è che tutto possa tradursi in un attacco contro la rete in sé e non ci si concentri al contrario, sui comportamenti e sui fenomeni, colpendo, invece, le tecnologie.

Sono molto più d’accordo sul fatto che è nostro dovere e diritto difenderci dall’Hate Speech, usando il dialogo, anche se credo che una certa regolamentazione di legge sia necessaria. La tecnologia, per ultimo potrà aiutare solo se, finalmente, sarà compresa nelle sue potenzialità, non tanto dalle nuove generazioni, ma soprattutto dal mondo politico, cosa che sinceramente con questo clima in cui i politici hanno visto che il qualunquismo becero paga in termini elettorali, lo vedo molto ma molto difficile.

Dobbiamo mobilitarci tutti insieme conto l’incitamento all’odio e dobbiamo fare anche e soprattutto un lavoro con noi stessi per capire le ragioni per cui queste forme di intolleranza esplodono nella società. Dobbiamo infine riconoscere che queste esplosioni a volte sono dentro di noi, e fare uno sforzo per spegnerle.

Concludendo vorrei proporre la lettura di un libro di Arnold Mindell che si intitola:

Essere nel fuoco. Conflitto e diversità come strumenti di trasformazione sociale

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