Il senso del Volontariato

di Shata Diallo.

Seduta sul sedile del pulmino sento i sassi sui quali si muove, la terra. Alzo gli occhi e vedo una scuola diversa dalle altre. Delle maestre con i loro bambini neonati sono sedute e mangiano nel caldo umido delle tre di un pomeriggio di Zanzibar. Sento un brivido correre lungo la schiena ed il cuore scoppiare. Scendo dall’auto con uno di quei kit di primo soccorso così tanto arancioni da trasmettermi calore. Pesa. Pesa come l’impegno nel realizzare dei corsi di primo intervento delle maestre, pesa come la passione e la volontà che ho investito in questo progetto, pesa come la pelle malata dei bambini, pesa come la scabbia e come l’importanza che tutto questo avrà per i villaggi che con Gocce d’Amore supportiamo.

Era settembre 2017 quando, durante l’ultima cena a Zanzibar e pronti al rientro in Italia, abbiamo iniziato a riflettere sul feedback delle maestre sui Giochi che avevamo organizzato per i mille bambini dei dieci asili di Zanzibar che Gocce d’Amore supporta: un supporto medico, in quel contesto, sarebbe stato utile. È così che è nata l’idea di organizzare dei corsi di primo intervento per le maestre. Serviva un esperto, un medico disposto a venire con noi in Africa per poter dispensare consigli e portare supporto alla popolazione. In una frazione di secondo ho pensato a Barbara: un medico italiano che avevo incontrato sei mesi prima durante una breve riunione con di un’associazione che opera a Roma. In una pausa caffè di cinque minuti, Barbara mi aveva raccontato che era un medico e che viaggiava spesso per cause di volontariato, curando malati di tutto il mondo. Colpita dai suoi racconti l’aggiunsi su Facebook. Era a Zanzibar, Barbara era a Zanzibar e ci sarebbe rimasta almeno un anno.

Da settembre a marzo abbiamo organizzato tutto. Il telefono squillava ogni giorno per le chiamate di Josephine che, nel frattempo, girava Roma, Napoli e Salerno per farsi fare il miglior preventivo per acquistare valigette di primo soccorso da poter dispensare a tutti gli asili. Una corsa contro il tempo nel vendere palline e piattini di Natale con la speranza di poter ricavare la somma necessaria per acquistare quei Kit. Giorni a scrivere ed attendere risposte da parte del Kiwengwa Clinical Service, clinica di Zanzibar gestita da italiani nella quale Barbara lavora insieme a Mara, altro medico che ha scelto di dedicare la sua vita a qualcosa di diverso, qualcosa di più grande.

Quando sono scesa da quel pulmino è diventato tutto così reale: c’erano le maestre, c’eravamo noi, c’erano i kit di primo soccorso, c’erano le dottoresse, c’era la volontà di rispondere ad un’esigenza dei villaggi.

Entro in quell’aula calda, accogliente, dignitosa. Le maestre si siedono ed estraggono dalla borsa quaderni e matite. Una lacrima, contenuta, scende dal mio viso, nel rispetto di quella dignità.

Le maestre non sanno cosa sia la febbre, non riescono a capire dove posizionare il ghiaccio secco in caso di ferita, si chiedono come mai i neonati rigurgitino dopo le poppate. Impassibili e dignitose, le maestre domandano ciò che non sanno e Mara e Barbara rispondono, spiegano.

Ero incredula, sconvolta, stupita, profondamente toccata. Si, ma non per le differenze di conoscenza medica. Guardandomi intorno vedevo dignità, ancora dignità e rispetto. Intorno a me vedevo speranza, intorno a me vedevo tutti i volti di coloro che, da settembre ad oggi, hanno dato il proprio contributo per permettere tutto questo. Eravamo li, uniti.

Le dottoresse del Kiwengwa Medical Service faranno visita agli asili durante tutto l’anno per dare sostegno medico ai bambini ed alle loro maestre.

Il corso finisce e salgo sul pulmino, questa volta senza il Kit, che ora è nelle mani di una delle maestre degli undici asili di Gocce d’Amore. Piango, non riesco più a trattenermi. Le maestre corrono con quei Kit arancioni per prendere il Daladala (mezzo di trasporto locale). Corrono leggiadre e sembra proprio che quel Kit non pesi più così tanto. Il peso dell’impegno era arrivato a destinazione ed era imploso nella consapevolezza che, ora, quella strada piena di sassi sarebbe stata meno tortuosa, insieme.

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*