Tra idealismo e impegno quotidiano

 

di Tana Anglana.

Alcune riflessioni sulla professione di Cooperatore-trice nel sistema internazionale.

Era una mattina di lavoro come le altre. Era il 2009. Come cittadina del mondo avevo già partecipato a molte manifestazioni: contro i respingimenti, contro scelte di chiusura ai flussi migratori, contro politiche di violazione dei diritti umani di base. Molte battaglie civili, condotte in nome della fratellanza universale e del concetto “nessuno indietro mai”. Da sei anni ormai avevo messo la mia testa e le mie mani a disposizione di un organismo internazionale. Per strada combattevo la mia battaglia da cittadina e alla scrivania la mia battaglia da professionista del settore umanitario. Tutto era chiaro, fluido e l’impegno profuso era lo stesso.

Poi quella mattina del 2009 sono arrivati i manifestanti sotto la finestra dell’ufficio. I membri di un movimento della società civile che urlavano a me e ai miei colleghi “Assassini! Razzisti!”.

Vernice rossa sulle pareti, volantini contro le nostre attività internazionali. Ricordo di essermi sentita tradita, di essere sprofondata in una confusione destabilizzante: ma come? I miei compagni di manifestazioni, le persone con cui condividevo ideali, ora erano lì a dirmi che anche io ero colpevole?

Eppure da parte mia era davvero naïve non comprendere che ero solo una pennellata su un quadro davvero imponente, composito e complesso e che, si, potevo essere chiamata a rispondere anche per politiche da cui ero distante ma che erano espresse dal sistema di cui facevo parte.

Il passo indietro è d’obbligo, la ricostruzione di come sono arrivata a quel momento è necessaria.

Appena laureata, tutte le mie energie ed interessi erano concentrati nel capire in che modo riuscire a lavorare per una organizzazione internazionale. Nessuno però mi aveva preparato a capire cosa sarebbe successo una volta entrata ufficialmente a farne parte.

Ho sempre vissuto il mio obiettivo di lavorare per il sistema UN come una sorta di vocazione, come la conquista di uno spazio nel luogo che per me rappresentava l’avanguardia della resistenza per lo sviluppo umano. Un percorso impegnativo ma anche privilegiato mi ha portato a far parte dello staff di un’Organizzazione Internazionale per oltre tredici anni.

L’ambiente che si è dispiegato oltre i confini della scrivania a me assegnata non era un ambiente di laboratorio, dove lo scopo umanitario è l’unico faro delle attività.

Il sistema delle Organizzazioni Internazionali (OOII) è principalmente governato dagli stati membri, i finanziatori di quasi tutte le attività portate avanti. Certo, esiste un mandato specifico per ogni organizzazione, ma le modalità per raggiungere gli obiettivi e gli strumenti utilizzati sono tutti da definire insieme ai finanziatori. Chi entra a far parte della comunità internazionale, deve sapere che avrà molto a che vedere con scelte politiche, indirizzi dettati dagli stati membri.  Non si tratta di una situazione di laboratorio, isolata da elementi critici. Non ci si trova nello spazio salvo di chi è sempre dalla parte giusta, ma si è esposti quotidianamente a scelte di carattere etico. Ci si muove a cavallo di una linea sottile.

Ma non mi fraintendete: c’è tantissimo da fare a cavallo di questa linea.

Ho visto colleghi cambiare le vite di tantissime persone, grazie a normative di tutela esistenti e che aspettano solo che qualcuno abbia il coraggio e la forza di farle valere. Altri colleghi che – con solo una manciata di ore di sonno alle spalle – assistono, supportano, indirizzano persone disperate che non hanno altri riferimenti oltre al logo di un’Organizzazione Internazionale su una pettorina blu.  Quelli che durante le riunioni istituzionali, scavalcano il recinto della formalità per affermare con forza posizioni impopolari, indirizzi politici difficoltosi, tenendo bene a mente lo scopo di essere utili a nessun altro che alle persone in difficoltà. Ho visto grandi cose fatte da piccole persone, che mi hanno fatto vivere il privilegio di commuovermi, colma di orgoglio, per la forza che esprimono questi operatori della comunità Internazionale.

Come in ogni ambito, la differenza la fanno le persone e le loro motivazioni.

In tutti questi anni ne ho incontrati diversi di professionisti internazionali, persone di ogni tipo con variegate motivazioni.

Con la deformazione di chi ha studiato sociologia, ho stilato la mia personale tassonomia di alcuni di questi personaggi:

Gli Indiana Jones – quelli per cui la vita ha senso se si è immersi solo nelle emergenze, quelli che si nutrono di adrenalina da intervento tragico. Vogliono solo sedi disagiate, vogliono raccontare di quando erano pedinati, di quando hanno rischiato di essere rapiti. Vogliono le montagne russe. Ma sono anche professionisti di grande ispirazione, che – anche se per puro amore del rischio – riescono a raccogliere informazioni preziose, ad agire per il bene altrui in contesti che spaventerebbero la maggior parte di noi.

I “sul bel Danubio blu”– in genere sono di un grado alto, il top management. Amano l’allure della professione internazionale, i privilegi che conferisce (perché sono tanti e bisogna stare attenti a non rimanerne ammaliati al punto di non ricordare più chi si è). Amano parlare delle missioni più lussuose che hanno fatto, raccontare di luoghi esclusivi. Non andranno mai in sedi disagiate, non fa per loro. Il confine è il Mediterraneo e a sud di lì è tutto disagiato. Grazie al talento che hanno per le pubbliche relazioni, avranno sempre qualche alleato per tenerli in una posizione nella regione del fiume blu.

C’è, tuttavia, anche chi a quelle latitudini riesce a fare piccoli miracoli diplomatici, influenzando politiche istituzionali e cambiando la rotta di strategie sovranazionali…e tutti sappiamo quanto siano preziosi questi cambiamenti.

I lungimiranti – sono la versione junior dei “sul bel Danubio blu”, sono giovanissimi che impostano il loro lavoro con l’obiettivo di diventare parte del top management privilegiato. La carriera è il loro faro, ma sono talmente determinati da essere anche maledettamente bravi nel loro lavoro. Stra-utili per imparare da loro a capire ciò che conta nei meeting, tra le righe di un documento ufficiale e nei consessi internazionali.

I parcheggiati – sono gli impiegati un po’ fantozziani, quelli che lavorano nel settore come se fosse un qualunque impiego amministrativo. Le persone oggetto degli interventi sono fascicoli in un faldone. Non aspirano a partire per una missione, la scrivania è la loro rassicurante zona di intervento. Working 9 to 5, per dirla con una canzone di Dolly Parton. Tra questi, si muove la sottocategoria dei Mimetici, i maestri della scomparsa. Sai che ci sono, li percepisci nell’ambiente, ma quando si tratta di esprimere una posizione definita su questioni controverse, scompaiono magicamente. Temono la loro stessa ombra. In genere si muovono veloci per i corridoi schermati da fogli presi a caso dalla stampante, a simulare un’indefessa operatività e la conseguente indisponibilità. Mai un’opinione, mai una posizione netta. Sono esecutori silenziosi e acritici, infallibili a confondersi nella moltitudine sullo sfondo. Indispensabili alla categoria “sul bel Danubio blu”. C’è da dire, però, che senza di loro sarebbe difficile far fronte alla montagna di adempimenti richiesti dalla pesante burocrazia di una OOII.

I Passionari-romantici – Sono quasi sempre dietro le quinte, sono polemici, litigano agli staff meeting, fanno di ogni decisione una questione etica (perfino la sostenibilità degli acquisti di cancelleria). Amati dai propri team e odiati da tutti gli altri, raramente fanno carriera. Sono dei piantagrane. Sono quelli che ci credono davvero e per questo sbagliano molto, ma sono capaci di fare cose straordinarie.

Gli Hollywoodiani – Sono narcisisti egocentrici, vogliono un’immagine pubblica da eroi e farebbero qualunque cosa per essere immortalati con un bambino in braccio appena strappato al pericolo. Sono sempre visibili sulla stampa e in TV, parlano con timbro commosso e il piglio di Robespierre. Raramente seguono le operazioni dall’inizio alla fine e raramente si sobbarcano tutto il lavoro che precede il momento dello scatto di cui vanno alla caccia. Eppure sono proprio loro che hanno il ruolo cruciale di sensibilizzare il largo pubblico a temi tanto importanti quanto considerati noiosi. Sono loro che portano le persone a sentire propria una causa che è distante migliaia di km dalla piazza di una manifestazione.

La maggior parte delle persone è un misto di tutti questi profili, un’alternanza di disposizioni mentali dovute al momento contingente. L’importante dovrebbe essere per tutti, però, non smettere mai di chiedersi perché si sceglie questo lavoro.

In tutti gli anni in cui mi sono occupata di concepire e costruire programmi di Cooperazione, non è mai passato un giorno senza che mi chiedessi: “Sto veramente contribuendo alla costruzione di un mondo più equo?”. Per tanto tempo la risposta è stata “un passo per volta, ci stai provando e il cambiamento non si concretizza in una singola azione”. Il mio faro, il riferimento supremo, era (e continua ad essere) Serge Latouche. Un suo libro sempre sul comodino a ricordarmi con severità il mio personale mandato. Così, riunione dopo riunione, documento su documento, concludevo le giornate con uno sguardo interrogativo al volumetto che vegliava i miei sogni. E’ stato esattamente quando alla mia domanda quotidiana non ho saputo più dare una risposta propulsiva, quando ho cominciato a percepire uno sguardo di rimprovero dal parte del mio ideale di riferimento, che ho deciso di prendermi una pausa di riflessione dalla passione di una vita: lavorare nella Comunità Internazionale.

Alzare la testa dalla stesura di documenti di progetto, estendere il mio orizzonte oltre la stretta visuale di una scadenza, oltre a dare più spazio al mio arricchimento personale, mi ha permesso di acquistare quella giusta distanza dalla macchina del sistema, che – finché sei solo ingranaggio – fatichi a vedere in tutta la sua estensione.

Allora tutto diventa più logico e meno conflittuale. La complessità si dispiega abbracciando anche le contraddizioni. Si, a volte devi manifestare contro il te stesso che ha dimenticato perché ha scelto questo mestiere. Si, il conflitto sarà sempre presente sul lavoro, ma tutti i personaggi che incontri potrebbero avere un ruolo fondamentale per far funzionare la macchina in modo virtuoso.

Infine, solo tuo è il potere di scegliere se rimanere a bordo, scendere, fare da ruota di scorta, stare al volante o… dirottare la macchina.

 

 

 

1 Comment

  1. Brava Tana ! Ho letto con piacere il suo articolo, con quella acuta e spiritosa tassonomia dei funzionari internazionali. Con qualche ( inevitabile ) variazione, comportata dal contenuto professionale parzialmente diverso, è una catalogazione che potrebbe applicarsi anche ai diplomatici…
    Cari saluti !

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